Cibo e vino Archivi - Business.it https://www.business.it/tag/food-beverage/ I segreti del potere - Notizie e retroscena Thu, 06 Jun 2024 06:38:24 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.7 https://www.business.it/wp-content/uploads/2023/01/cropped-Favicon_Business.it_-32x32.jpg Cibo e vino Archivi - Business.it https://www.business.it/tag/food-beverage/ 32 32 Startup, arriva Zazu Food: le eccellenze italiane supportate dal digitale https://www.business.it/startup-zazu-food-eccellenze-italiane-digitale/ Tue, 26 Mar 2019 11:18:55 +0000 https://www.business.it/?p=43374 L’Italia è terra di eccellenze alimentari, qualità delle materie prime e tradizione culinaria senza uguali. Nel mondo contemporaneo, dove la grande distribuzione rappresenta la parte più capillare del settore, le piccola e media impresa alimentare fatica a trovare il proprio spazio di azione. Ma tre giovani ragazzi toscani hanno deciso di ribaltare la situazione, grazie… Leggi tutto »Startup, arriva Zazu Food: le eccellenze italiane supportate dal digitale

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L’Italia è terra di eccellenze alimentari, qualità delle materie prime e tradizione culinaria senza uguali.
Nel mondo contemporaneo, dove la grande distribuzione rappresenta la parte più capillare del settore, le piccola e media impresa alimentare fatica a trovare il proprio spazio di azione.
Ma tre giovani ragazzi toscani hanno deciso di ribaltare la situazione, grazie ad un’idea a dir poco originale: creare una piattaforma attraverso la quale il ristoratore e il produttore possono interagire monitorando esigenze, qualità dei prodotti, e offrendo una risposta immediata sul mercato di riferimento.

ZazuFood: la startup

Il sogno e le ambizioni si sono trasformate in un progetto concreto, che ha preso il nome di Zazu Food nel gennaio 2019.
La mission della startup è quella di promuovere la piccola e media imprenditoria italiana nel settore alimentare, favorendo i rapporti tra i produttori e i ristoratori con la figura dell’intermediario. Mirando al mercato ho.re.ca, ai produttori italiani e ai distrubutori/grossisti del settore, Zazu vuole colmare quel gap di comunicazione ancora esistente tra il produttore di materie prime e il ristorante attento e responsabile.
Di fatto, ciò che propone la startup si traduce in un ruolo chiave: fornirà al ristoratore tutto ciò che c’è da sapere sulle richieste del cliente, prevenendo gusti e necessità, e proporrà al produttore il giusto contatto per la vendita dei propri prodotti.
La startup si affaccia sul mercato con un approccio positivo e più che rispettoso nei confronti dei propri rivenditori: infatti non è prevista nessuna commissione sulla vendita degli ordini effettuati. Qui sta la grande convenienza, perché rispetto agli altri canali di vendita del settore, Zazu garantisce un risparmio fino al 20%.

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I servizi di Zazu

Dal produttore al ristoratore”: questo il motto della startup, che evidenzia la costruzione di un rapporto privilegiato, diretto, senza perdite di tempo né di denaro tra chi propone prodotti certificati e chi li cerca per utilizzarla nella propria ristorazione.

Zazu si fa carico di scovare le eccellenze alimentari italiane, che meritano di essere utilizzate dai produttori e utilizzate dalle cucine dei suoi clienti.
Il legame tra chi decide di offrire un prodotto di qualità, fresco, genuino e tra chi sceglie di utilizzarlo è garantito attraverso un contatto diretto e senza nessuna commissione.
La piattaforma di Zazu consente di osservare, analizzare e selezionare i migliori prodotti sul mercato, siano essi di largo consumo o di eccellenze ricercate (tra distributori nazionali e locali) e di poterle conseguentemente selezionare tramite un unico ordine.
La startup si propone inoltre come strumento di promozione e visibilità verso tutti quei produttori che faticano a far conoscere il proprio prodotto sul mercato. Zazu si offre come il collegamento che mancava tra la richiesta di presenza sul mercato e un’offerta in più per il ristoratore più attento alla propria offerta.

Il team e gli strumenti innovativi

Zazu è una startup innovativa, che unisce i prodotti della tradizione con la tecnologia più efficiente: il giovane team, che ha unito le competenze trasversali (informatica, economia, ristorazione) di tre ragazzi intraprendenti, ha saputo realizzare una piattaforma digitale, vestita da Social Network, che appare chiara ed userfriendly: i ristoranti che sceglieranno di usufruirne avranno una pagina a loro dedicata, da utilizzare per caricare contenuti come foto, video e descrizione dei prodotti. La piattaforma sarà utile anche per ricercare e gestire in maniera diretta gli ordini, le fatture e garantire i tempi di consegna previsti.
Il ristoratore avrà infatti un intero contesto a disposizione in cui muoversi e scegliere cosa fa al caso suo: effettuare ricerche tramite filtri già preimpostati garantisce immediatezza e precisione per orientarsi più facilmente tra gli ambiti dei prodotti a km zero, i biologici e quelli a basso impatto ambientale. Tutta la gamma sarà disponibile e ordinabile tramite la piattaforma e i prezzi sono visualizzatili in tempo reale.
Se infine il ristoratore matura indecisione, Zazu propone la possibilità di acquistare prodotti campione con lo scopo di provarli in anticipo, e capire se è si tratta di quel che si cercava, per poi procedere con l’effettivo ordine in azienda.

I contatti tra ristoratore e produttore possono gestirsi privatamente tramite chat, telefono o sms.

Come già sottolineato Zazu si propone non solo come un collegamento tra il produttore e il ristoratore, ma anche come una vetrina comunicativa: il team si occuperà di pubblicare materiale promozionale anche a scopo informativo e didattico per tutti coloro che si dimostrano interessati a capire come si gestisce una sala, una cucina, fino a chi avrà desiderio di spingersi verso il digital marketing e il menu marketing.
I vantaggi sono molteplici: senza nessun tipo di intermediario, i costi di acquisto clienti vengono dimezzati.
I produttori avranno la possibilità di gestire i propri ordini online, gestendo personalmente la propria pagina e ottenendo un report mensile con la lista dei ristoranti più inclini alla propria produzione.

Lo scopo è dunque quello di acquisire visibilità non solo tra gli utenti della piattaform, ma anche per gli utenti esterni.

Zaza Food: dal produttore al ristoratore, il servizio è servito.

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Starbucks: arriva a Milano, sfida il caffè italiano https://www.business.it/starbucks-arriva-milano-sfida-caffe-italiano/ Fri, 07 Sep 2018 09:55:11 +0000 https://www.business.it/?p=30813 Un’inaugurazione in grande stile per il primo Starbucks italiano. La caffetteria di Piazza Cordusio (la più grande per il brand in Europa con i suoi 2.300 metri quadri)ha aperto con

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Un’inaugurazione in grande stile per il primo Starbucks italiano. La caffetteria di Piazza Cordusio (la più grande per il brand in Europa con i suoi 2.300 metri quadri)ha aperto con una grande festa per solo 1200 selezionatissimi ospiti giovedì 6 settembre; mentre il pubblico potrà accedervi da oggi venerdì 7 settembre. Non si tratterà di un comune Starbucks, ma di una Reserve Roastery (caffetteria con torrefazione). Ne esistono solo altre due al mondo, a Seattle e Shanghai.

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Starbucks sfida il caffè italiano

Se ne parlava già due anni fa, poi i tempo si sono allungati. Ora il gigante americano debutta in Italia con la caffetteria più grande d’Europa, 2.300 metri quadrati nello storico Palazzo delle Poste, vicino al Duomo. Uno dei tre soli Reserve Roastery – locali di lusso – dopo Seattle e Shanghai, uno dei 28mila negozi nel mondo. Entro fine anno, Starbucks potrebbe aprire altri 3 locali, sempre a Milano. Ma caffè, cappuccino e frappuccino (che, per ora, non è il lista nel locale di Milano) non sono certo tra i più economici: un espresso costa 1,80, un caffè americano 3.50.

Sono 300 i dipendenti che ci lavorano e tra di loro ci sono ragazzi in difficoltà, provenienti da comunità, lavoratori appartenenti alle categorie protette. Il protagonista della Roastery è il caffè, che viene lavorato in ogni sua fase nel locale al cui centro campeggia una grande macchina tostatrice. Lo store si sviluppa tutto attorno, in un bancone bakery con i prodotti del panificio Princi di Milano, nella zona dove viene preparato e servito il caffè, dall’espresso. Nella zona Reserve Roastery i clienti potranno assaggiare i migliori caffè riserva della giornata e infine, nella parte alta, campeggia un bar dove si potrà bere un aperitivo ad un bancone realizzato in marmo di Carrara.

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Cosa potrà mai insegnare Starbucks agli italiani? L’azienda sa che “è qui che il caffè è nato” (o perlomeno il culto del caffè) e che non sarà facile fare breccia in un mercato nel quale il livello medio delle caffetterie è già altissimo. La sfida, però, non si rivolge solo allo spirito di sperimentazione di nuovi caffè, ma soprattutto sull’esperienza estetica. Secondo la società, infatti, la caffetteria che aprirà oggi 7 settembre a Milano sarebbe lo Starbucks “più bello al mondo”. Basti dire che il bancone in marmo è dotato di un sistema di riscaldamento che proteggerebbe i polsi dal freddo invernale. La location della centralissima piazza Cordusio, poi, si preannuncia di assoluta eleganza, ma resta da vedere se lo store resisterà all’effetto-novità attirando una stabile base di clienti decisi a pagare un costo extra per sperimentare il caffè Starbucks.

Howard Schultz, dal 26 giugno scorso ex CEO di Starbucks è rimasto affascinato dalla cultura dell’espresso e dall’atmosfera dei bar milanesi nel suo viaggio italiano nel 1983 e nel primo store in Italia ha voluto ricreare le stesse emozioni, anche grazie al design, all’arredamento anni ’70 e alle luci. Certo, le scenografiche macchine per la torrefazione possono destare curiosità, gli interni impreziositi di marmo e bronzo, appagare lo sguardo, le preparazioni scenografiche di bevande a base di caffè, stuzzicare la fantasia. Ma non possono, da soli, costituire la premessa per il futuro sviluppo di Starbucks in Italia.  Per il momento l’azienda afferma di voler ampliare in futuro la sua presenza nello Stivale, ma senza fornire dettagli sui numeri e le tempistiche. Data la solida tradizione del caffè nel Bel Paese, Starbucks non poteva che offrire “la più bella” delle sue caffetterie per trovare il uno suo spazio anche qui.

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Ikea Space 10, un laboratorio per il futuro https://www.business.it/ikea-space-10-laboratorio-futuro/ Tue, 06 Mar 2018 15:39:22 +0000 https://www.business.it/?p=20018 Per chi sogna una città più “green”,in cui ciascuno coltiva direttamente verdure, ortaggi e piante aromatiche nel proprio orto urbano, c’è già una soluzione pronta all’uso. Parliamo di Growroom, padiglione a forma di sfera progettato per essere montato con pochi gesti e studiato per assicurare luce e acqua adeguati alla produzione autonoma dei vegetali per la nostra… Leggi tutto »Ikea Space 10, un laboratorio per il futuro

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Per chi sogna una città più “green”,in cui ciascuno coltiva direttamente verdure, ortaggi e piante aromatiche nel proprio orto urbano, c’è già una soluzione pronta all’uso. Parliamo di Growroom, padiglione a forma di sfera progettato per essere montato con pochi gesti e studiato per assicurare luce e acqua adeguati alla produzione autonoma dei vegetali per la nostra tavola, frutto della collaborazione tra Ikea e il laboratorio di idee e hub creativo di Copenhagen Space 10.

Il laboratorio di innovazione Space 10 di IKEA ha creato una fattoria pop-up durante il London Design Festival, coltivando minuscole verdure utilizzate per preparare 2000 insalate nutrizionali. Lo spazio è stato creato per mostrare  il progetto Lokal di Space 10, che mira a fornire un modo sostenibile e salva-spazio per le persone a coltivare il proprio cibo. 

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 Il progetto Growroom

Ideata dai giovani architetti Mads-Ulrik Husum e Sine Lindholm, la struttura, fatta di semplici fogli di compensato e viti, nasce con l’obiettivo di incentivare una nuova agricoltura local e sostenibile, superando con questo piccolo orto a sviluppo verticale il problema dello spazio tipico dell’ambiente urbano.

Grazie alla sua forma sferica e alle dimensioni compatte (solo 2,5 x 2,8 metri), the Growroom è un orto domestico che può essere collocato nel giardino di casa, in un cortile o anche in uno spazio pubblico facilmente accessibile, diventando una micro isola ecologica che produce cibo gratis a chilometro zero.

Le bio-sfere possono essere realizzate proprio da tutti perché i disegni di progetto, l’elenco dei materiali e le istruzioni di assemblaggio, tipiche della filosofia Ikea, sono liberamente scaricabili dal sito di Space 10 (www.space10.io): un modo per diffondere nel mondo e presso chiunque voglia diventare un coltivatore in proprio questi intelligenti mini orti urbani. Sperano i progettisti che la semplicità del progetto e la sua libera fruizione porteranno alla moltiplicazione di Growroom, portando nelle nostre città salute, benessere e un rinnovato rapporto con la natura.

Queste colture sono state coltivate in maniera idroponica, il che significa che sono state immerse in acqua piena di sostanze nutritive, piuttosto che di terreno, con le luci artificiali sopra la testa. Davanti alla fattoria è stato allestito un salad bar, in modo che il cibo potesse essere servito immediatamente. Simon Perez, chef-in-residence dello Space10, ha prodotto un totale di 2000 insalate durante il London Design Festival di sei giorni.

Non solo mobili low-cost

L’Ikea svedese ha fatto il suo nome in mobili low-cost flat-pack – quasi un brillante esempio di sostenibilità. Ora, però, il gigante globale (che guadagna 35 miliardi di euro ogni anno) sta promuovendo una nuova visione verde pionieristica attraverso il suo laboratorio di innovazione Space 10 con sede a Copenaghen.

IKEA ha lanciato il laboratorio di innovazione Space10 alla fine del 2015, per testare i prototipi di prodotto e trovare modi per aumentare il benessere dei consumatori. Da allora il laboratorio ha lavorato su diversi progetti riguardanti il cibo. Più recentemente, il laboratorio ha creato una cupola per la coltivazione di microalghe, come parte di un’esplorazione in fonti di cibo insolite. Lokal costituisce la continuazione di questo progetto, guardando i microgreens – piccole colture simili a germogli con una breve durata di conservazione.

I microgreens vengono generalmente raccolti entro 14 giorni dalla germinazione e utilizzati come “confetti di verdure” per guarnire il cibo. Ma Space10 ha scoperto che la radice, il seme e il germoglio di queste piante minuscole sono pieni di nutrimento, abbastanza da diventare una delle principali fonti di cibo. Ma per essere efficaci, devono essere serviti poco dopo essere stati raccolti.

“I microgreens hanno una durata di conservazione piuttosto breve, mentre il nostro intero sistema di produzione alimentare è orientato alla crescita su larga scala e per resistere realmente al viaggio”, ha detto a Dezeen Simon Caspersen di Space10. “La parte più bella dei microgreens è che il germoglio contiene in realtà la stessa quantità di sostanze nutritive della sostanza cresciuta, quindi ciò significa che ottieni pieno valore dei prodotti”.

Space 10 sta introducendo la tecnologia intelligente per rendere la coltivazione delle piante facile, in modo che il concetto di fattoria e insalate possa essere facilmente esteso ai consumatori. Le piante sono collegate al dispositivo home controllato da Google, in modo che gli agricoltori possano parlare con le piante e conoscere i livelli di nutrizione.

Progettare un futuro migliore

Carla Camilla Hyort ha fondato Space10 nel 2015, dopo che il CEO di Ikea, Torbjon Loof, le ha detto che voleva progettare un futuro migliore. Ora la sua squadra (composta da oltre 20 dipendenti permanenti) realizza una vasta gamma di idee, interamente finanziate da Ikea.

Molti progetti hanno al centro la sostenibilità, ma assicurano anche che la tecnologia sia per tutti, “C’è troppa attenzione in questo momento sul potenziale commerciale degli strumenti digitali piuttosto che su come migliorare il mondo”, dice Hyort.

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Incredibili progetti verdi

Uno dei progetti preferiti di Hyort è la Growroom, una sfera rotonda in legno progettata per la coltivazione urbana. Sappiamo che mangiare le verdure fa bene, gli scienziati raccomandano almeno dieci porzioni al giorno. Per rendere tutto più semplice è possibile coltivarla da casa con un delizioso pacchetto  “Growroom”.

Per chi ha sempre desiderato un giardino, ma vive in una città, lo Space 10 con sede in Danimarca può aiutare. L’azienda, supportata da IKEA, ha progettato un giardino pop-up DIY che sarà possibile costruire a casa. Dopo aver costruito la struttura che le istruzioni forniscono, non sembra solo bella dall’esterno, ma si può ammirare la propria spesa dall’interno. Consente alle persone di coltivare il proprio cibo da casa in un modo bello e sostenibile” afferma il team di Space 10.

Infatti Growroom di Ikea non è solo una bella stravaganza. Coltivare i gustosi verdi di cui abbiamo bisogno in modo tradizionale sta diventando sempre più problematico. L’agricoltura convenzionale è un processo costoso che richiede molto spazio; qualcosa che ci manca mentre la nostra popolazione cresce. Inoltre, le nostre fattorie semplicemente non sono dove abbiamo bisogno che siano (oggi il 50% della popolazione mondiale vive nelle città, e questo salirà all’80% entro il 2050).

L’agricoltura nei campi non è sempre pratica o rispettosa dell’ambiente: chi vuole versare sostanze chimiche e pesticidi nel terreno, generare solo pochi raccolti all’anno, sapendo bene che il 30% di esso si rovinerà prima di raggiungere il piatto.

Crescere a casa

In futuro le nostre fattorie diventeranno ancora più personali, poiché innovazioni come la NASA Smart Herb Garden rendono la coltivazione domestica facile. “Alla fine si avrà il proprio mini-frigo da giardino in cucina” il futurologo del cibo Dr Morgaine Gaye ha dichiarato a De Memo.

“Pensa alla possibilità di un sistema integrato – un po’ come un frigorifero – dove crescono diverse erbe e verdure e le estrai dal distributore – dice. – È un design straordinario, e sarebbe meglio per la tua salute, il tuo budget e la terra su cui vivi”

L’ascesa della fattoria personale è appena agli inizi. Oggi Ikea non sta solo aiutando miliardi di persone a costruire mobili per imballaggi piatti : sta costruendo un mondo migliore.

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Un hotel a tema birra? É nato in Ohio grazie al crowdfunding! https://www.business.it/un-hotel-tema-birra-nato-ohio-grazie-al-crowdfunding/ Sat, 03 Mar 2018 08:00:11 +0000 https://www.business.it/?p=21759 Se siete amanti della birra e desiderate investire nella bevanda al luppolo sappiate che esiste una campagna di crowdfunfing adatta a voi: BrewDog, il noto brand di birra scozzese, ha lanciato su Indiegogo la raccolta fondi per la costruzione di un hotel tutto a tema birra! L’Hotel, la cui costruzione è pianificata nella città di… Leggi tutto »Un hotel a tema birra? É nato in Ohio grazie al crowdfunding!

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Se siete amanti della birra e desiderate investire nella bevanda al luppolo sappiate che esiste una campagna di crowdfunfing adatta a voi: BrewDog, il noto brand di birra scozzese, ha lanciato su Indiegogo la raccolta fondi per la costruzione di un hotel tutto a tema birra!

L’Hotel, la cui costruzione è pianificata nella città di Columbus, in Ohio, verrà chiamata Dog House e ogni dettaglio sarà predisposto per essere incentrato sulla bevanda più amata e consumata di sempre.

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Dalla birra in camera al trattamento al luppolo della Spa

Un vero e proprio parco divertimenti per chi alla birra non sa rinunciare e adora consumarla in tutta le sue forme. All’Hotel sarà infatti annesso un birrificio e le camere stesse saranno dotate di ogni comfort: ognuno di esser sarà dotata di un impianto di spillatura, insomma birra pronta a tutte le ore, direttamente in stanza! Inoltre sono previste vasche idromassaggio di Punk IPA, mica acqua! E poi il minibar nella doccia e una Spa interamente dedicata a trattamenti viso e corpo solo a base di birra e luppolo.

Per mettere in piedi il progetto finale sono stati preventivati circa 6 milioni di dollari, e la particolarità del progetto non è solo quello del tema straordinario, ma il fatto che venga interamente supportato dal crowfunding.

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Perchè una campagna di crowdfunding

Ci chiediamo se una multinazionale della birra come BrewDog avesse bisogno di un espediente simile per raccogliere fondi in merito ad un progetto di sicuro successo come un Hotel-Birrificio.

Sicuramente no, si tratta più che altro di una scaltra strategia di marketing in primo luogo per promuovere l’idea e la location ancor prima che sia disponibile, e poi per rafforzare il branding e fidelizzare maggiormente i clienti di tutto il mondo. I sostenitori, da semplici acquirenti della BrewDog, diventano followers della campagna, e potendo così restare aggiornati sui processi e l’evoluzione del progetto così esclusivo. A tal proposito l’azienda di birra scozzese ha fatto sapere che: “Questo è molto più di un investimento. Si tratta di condividere la visione, la filosofia, l’ideale di BrewDog”.

Il crowdfunding ha già raccolta una considerevole cifra ma per far partire il piano e concluderlo ci vorranno forse di più dei 6 milioni di dollari di stima iniziale. 

L’attenzione, intanto, è stata senza dubbio catturata e molti non vedono l’ora che l’Hotel venga inaugurato. 

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Enogastronomia e gusto: aumentano il business dell'economia italiana https://www.business.it/enogastronomia-gusto-aumentano-business-economia-italiana/ Mon, 12 Feb 2018 10:59:53 +0000 https://www.business.it/?p=18463 Paesaggio e cucina sono tra gli aspetti più amati del nostro Paese a livello internazionale e i prodotti alimentari stimolano gli acquisti degli stranieri. Il turismo enogastronomico mostra dati in crescita. In un mondo dove le tendenze sono cosmopolite, una risorsa economica di primaria importanza per l’industria dei viaggi va sicuramente alla ricerca delle specificità dei territori. L’enogastronomia si conferma fattore chiave… Leggi tutto »Enogastronomia e gusto: aumentano il business dell'economia italiana

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Paesaggio e cucina sono tra gli aspetti più amati del nostro Paese a livello internazionale e i prodotti alimentari stimolano gli acquisti degli stranieri. Il turismo enogastronomico mostra dati in crescita. In un mondo dove le tendenze sono cosmopolite, una risorsa economica di primaria importanza per l’industria dei viaggi va sicuramente alla ricerca delle specificità dei territori. L’enogastronomia si conferma fattore chiave per il successo del Brand Italia. Una tendenza emergente che diventa interessante non solo in termini di viaggi, ma anche di stili di vita.

Coldiretti sottolinea che “tra gli acquisti fatti in Italia il cibo batte di gran lunga i classici souvenir”. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti in occasione dell’apertura della BIT, la Borsa internazionale del turismo 2018, l’Anno del cibo italiano nel mondo. 

Questo l’identikit del segmento che emerge dalla ricerca Il turismo enogastronomico, driver della promozione del territorio a livello nazionale e locale, promossa da Fiera Milano Spa e dall’Osservatorio di Bit e condotta da Magda Antonioli Corigliano, Coordinatrice del Master in Economia del Turismo (MET) dell’Università Bocconi di Milano, e Sara Bricchi, Ricercatrice MET Bocconi.

enogastronomia-business-turismoL’enogastronomia il cavallo di battaglia dell’Italia

Coldiretti conferma che è l’enogastronomia il cavallo di battaglia dell’Italia, che ha registrato, una forte crescita nell’ultimo anno confermandosi come budget delle vacanze, superando persino quella dell’alloggio. Il cibo è certamente divenuto infallibile leva di comunicazione verso i turisti nazionali ed internazionali, che spendono per cibo e bevande circa 26 miliardi di euro su un totale di 75 miliardi del fatturato turistico complessivo annuale. Una stima fatta sulla base del consumo di pasti nella ristorazione 14 miliardi e l’acquisto di prodotti alimentari nei negozi e nei mercati 12 miliardi.

Perché oltre a pernottare in un ambiente confortevole immerso in paesaggi straordinari, gli ospiti non rinunciano ai piatti tipici della tradizione, considerata una primaria motivazione di viaggio in Italia. È necessario, allora, valorizzare ulteriormente le eccellenze del nostro patrimonio enogastronomico per attrarre nuovi flussi di visitatori nei territori rurali e dare maggiore impulso all’economia e all’occupazione locale.

L’acquisto di prodotti tipici come ricordo delle vacanze è una tendenza in rapido sviluppo, favorita dal moltiplicarsi delle occasioni di valorizzazione dei prodotti locali che si è verifica nei principali luoghi di villeggiatura, con percorsi enogastronomici, città del gusto, mercati degli agricoltori di Campagna Amica.

Risultati che confermano la grande opportunità offerta ai turisti di acquistare i prodotti della dieta mediterranea, considerati indiscutibilmente essenziali per garantire buona salute e un importante elemento di crescita delle giovani generazioni. Infatti quasi uno straniero su quattro (23%) riconosce nell’Italia il Paese della buona cucina, il 16% ai monumenti a pari merito con la moda, il 15% della pittura/scultura e il 7% del design e il 5% della musica e del teatro secondo una ricerca Ipsos per Enit. E il 59% dei turisti stranieri continua a comprare prodotti italiani una volta rientrato in patria, una tendenza – precisa Coldiretti – che riguarda il 25,9% dei visitatori francesi, il 22,5% di quelli tedeschi e il 16,9% di quelli del Regno Unito secondo una ricerca Bit/Bocconi. 

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I vantaggi del turismo enogastronomico

La riconoscibilità del marchio Italia e dei prodotti italiani fa da traino anche per le esportazioni agroalimentari: nel 2017 il volume ha superato i 40 miliardi di euro, con una crescita di oltre il 70% nell’ultimo decennio (Fonte: Coldiretti, 2017).

Un impatto che è però anche qualitativo: il turismo enogastronomico caratterizza la destinazione, valorizza le mete meno note, contribuisce alla destagionalizzazione e favorisce la fidelizzazione dei viaggiatori. Ma chi sono oggi i gastronauti? Sono tanto italiani (50,3%) quanto stranieri (49,7%) e, per quelli esteri, i principali mercati di provenienza sono Francia (25,9%), Germania (22,5%) e Regno Unito (16,9%) (Fonte: Unioncamere – Sicamera, 2016). Per il Censis (2017) sono 13,7 milioni gli italiani che nel 2016 hanno fatto vacanze o gite giornaliere enogastronomiche, per un giro d’affari complessivo stimato da Città del Vino (2017) in circa 2,5-3 miliardi di euro, con prospettive di crescita.

Social media e enogastronomia

Intrinsecamente legata al territorio e alla socialità, oggi anche l’enogastronomia non può comunque prescindere da uno stretto rapporto con il web e la scelta di “cosa” e “come” mangiare nasce spesso dal confronto con una community. Il 74% dei consumatori mostra fino al 40% di probabilità in più di acquistare da brand che comunicano online i loro valori e in particolare tramite i social media; il 46%delle aziende turistiche che interagiscono sul web riceve feedback mediamente più positivi (il 55% sostiene inoltre che i social media abbiano contribuito ad aumentare il business).

I viaggiatori condividono le esperienze enogastronomiche sui social media, ma sul web cercano anche recensioni e consigli (87% importanti; Fonte: TripAdvisor, 2017). Dopo gli Stati Uniti, l’Italia è il Paese più cercato per le recensioni di ristoranti (Fonte: Tripadvisor, 2017) e tre destinazioni italiane, Firenze (15ma), Milano (16ma) e Roma (25ma), sono tra le 25 di maggiore appeal enogastronomico (Fonte: Booking, 2016).

In conclusione, il turismo enogastronomico può essere uno strumento importante per uno sviluppo armonico e sostenibile in particolare per le aree rurali e le destinazioni al di fuori dei circuiti più noti, contribuendo a preservare il territorio e le tradizioni locali, nonché a garantire occupazione ed un futuro alle comunità residenti.

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Olio di palma: novità dall'EFSA https://www.business.it/olio-di-palma-novita-dall-efsa/ Mon, 22 Jan 2018 06:30:05 +0000 https://www.business.it/?p=17131 Non si fa che parlare di olio di palma. Fa male oppure no? Soprattutto da quando l’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, ha pubblicato un nuovo rapporto a riguardo. Nel testo si parla di oli vegetali, che comprendono anche il famigerato olio di palma, definiti contaminanti da processo. Di che si tratta? Sono sostanze (nocive) che… Leggi tutto »Olio di palma: novità dall'EFSA

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Non si fa che parlare di olio di palma. Fa male oppure no? Soprattutto da quando l’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, ha pubblicato un nuovo rapporto a riguardo.

Nel testo si parla di oli vegetali, che comprendono anche il famigerato olio di palma, definiti contaminanti da processo. Di che si tratta?
Sono sostanze (nocive) che si formano durante la lavorazione, nel momento in cui si utilizzano alte temperature per raffinare gli oli. Il problema riguarda il fatto in cui, durante questo processo, alcune molecole raffinate restano all’interno del grasso vegetale lavorato. Così va a finire negli alimenti per cui viene utilizzato.

L’allarmismo degli ultimi tempi ha fatto sì che molti prodotti pubblicizzassero la loro estraneità al prodotto, sottolineando la dicitura “senza olio di palma”, data la nomea negativa diffusasi velocemente.

Cosa afferma di nuovo il rapporto Efsa?

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In primo luogo si sono studiati i livelli di consumo della 3-MCPD, nient’altro che un contaminante da processo, che proviene dal glicerolo. Per la maggioranza delle persone non esistono veri e propri rischi per la salute. Ma, stando alle ultime ricerche, il problema sussiste quando si è forti consumatori e per i neonati.

Dove sta la novità? L’Efsa ha quindi deciso la tollerabilità della dose giornaliera: 3-MCPD in microgrammi per kg di peso corporeo. É stata di fatto alzata di due volte e mezzo rispetto allo stesso valore, già indicato due anni fa. Quindi adesso è pari a 2,0 microgrammi per Kgrammo di peso corporeo. Nel 2016 era stato fermato allo 0,8.

Aggiornando questo limite, la faccenda ha fatto discutere parecchio sugli effettivi danni dell’olio di palma. Benché gli studi non riguardino i GE, ma solo la la sostanza 3-MCPD. Infatti i potenziali effetti dei glicidi esteri degli acidi grassi (GE) continuano ad essere indicati come cancerogeni e genotossici, ma fanno parte degli ultimi studi dell’Enfsa.

Inoltre, gli eventuali effetti dannosi dell’olio di palma non interessano solo le persone. Anche l’ambiente ne fa la spese, data comunque la grande richiesta da parte dell’industria alimentare globale.

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Le zone dove viene filtrato e lavorato riguardano soprattutto il sud-est asiatico, in particolare Malesia e Indonesia, produttori del 90% dell’olio di palma utilizzato nel mondo.

Per tenere questa grande produzione, i coltivatori locali incendiano ettari ed ettari di foreste per creare nuovi campi nelle torbiere, ovvero terreni pieni di resti vegetali. In questo modo, col fuoco, si liberano nuvole di metano, monossido di carbonio e ozono, estremamente nocive per l’ambiente e per l’uomo.

Già nel 2016 il Parlamento Europeo aveva affrontata la spinosa questione introducendo un sistema unico di certificazione affinché arrivasse in europa solo l’olio di palma prodotto in maniera ecosostenibile. Aggiungeva inoltre il proposito, entro il 2020, dell’eliminazione completa di tutti gli oli vegetali per la produzione di biocarburanti.

Per ora si attendono ulteriori direttive, mentre dalla Malesia i lavoratori continuano a scioperare contro gli ultimi aggiornamenti, vista la forte occupazione (con circa 650mila piccoli agricoltori) e 3,2 milioni di persone coinvolte nel settore.

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Jollibee Food Corporation sbarca a Milano, l'avamposto per la conquista dell'Europa https://www.business.it/jollibee-food-corporation-sbarca-a-milano-lavamposto-per-la-conquista-delleuropa/ Wed, 17 Jan 2018 06:30:17 +0000 http://www.business.it/?p=16848 Jollibee Food Corporation punta con decisione su Milano, considerata la piazza da cui far partire l'offensiva che dovrebbe infine consentire al gruppo filippino di conquistare il vecchio continente

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Jollibee è ormai pronta a sbarcare anche a Milano. Il fast food delle Filippine ha infatti scelto la piazza meneghina come avamposto europeo dal quale far partire la campagna che dovrà infine portare alla conquista del Vecchio Continente.
Il primo ristorante di Jollibee Food Corporation sarà aperto a Piazza Diaz, proprio a due passi dal Duomo e sarà il primo di quella che il management spera sia una lunga serie sul suolo europeo. A livello mondiale il gruppo asiatico già vanta oltre 3mila ristoranti disseminati tra Filippine, Cina, Stati Uniti, Canada, Brunei, Vietnam, Singapore e Hong Kong.

Jollibee in cifre

Jollibee è ormai una vera e propria potenza commerciale, dall’alto dei quasi due miliardi di fatturato messi a segno nel 2016, con oltre cento milioni di utili. Derivanti dal lavoro di quasi 28mila addetti e in particolare dalla posizione di grande forza detenuta nelle Filippine, ove il suo 80% monopolizza o quasi il mercato.
Ora, però, il marchio ha deciso di espandersi con altrettanta energia anche all’estero, con particolare attenzione per i mercati cinese e statunitense. Proprio la Cina, per ora, costituisce una sorta di anomalia, in quanto la crescita di Jollibee nella Repubblica Popolare è stata più contenuta di quella a due cifre fatta registrare su tutte le altre piazze raggiunte.
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La strategia per conquistare l’Europa

Come abbiamo già ricordato, Milano è considerato l’avamposto da cui far partire un’offensiva ad ampio raggio che dovrebbe infine consentire al gruppo di conquistare l’Europa. Lo strumento individuato per cogliere l’obiettivo prefissato è l’accordo con Blackbird Holdings, un fondo di investimento di Singapore che ha ricevuto un quarto della Golden Plate, cui è stato delegato il controllo della società italiana alla quale è affidata la gestione della piazza meneghina.
Nel frattempo sono già iniziate le grandi manovre per trovare i fornitori più adatti, con la ricerca di imprese in grado di fornire alimenti di qualità, in particolare il pollo. Proprio il pollo fritto, in effetti, è considerato una vera e propria specialità dagli utenti del brand filippino e sarà quindi oggetto di grandi cure, a partire proprio dai rifornimenti.

Anche gli spaghetti nel menu

Se il pollo fritto è l’emblema di Jollibee, va rilevato come il gruppo asiatico abbia intenzione di dare luogo ad un vero e proprio tributo alla nostra cucina, proponendo gli spaghetti. Occorre comunque sottolineare che in questo caso non si tratterà dei famigerati noodles, ma sarà proposta alla clientela una imitazione della celebre pasta italiana.
Anche dal punto di vista strettamente culturale, quindi, l’approccio di Jollibee sembra differenziarsi da quello di Mc Donald’s, che in tanti hanno denunciato come una sorta di colonializzazione gastronomica in un Paese che vanta una grande tradizione culinaria come l’Italia.
Il modo in cui l’azienda filippina sta procedendo, sembra peraltro aver riscosso un notevole favore da parte dei possibili utenti italiani. Lo testimonia in particolare la pagina Facebook che Jollibee ha dedicato alla sua propaggine milanese, ove molti internauti hanno già espresso la loro curiosità ed eccitazione, chiedendo in particolare la data dell’inaugurazione.
Non resta quindi che attendere l’apertura di Jollibee Milano per capire la portata dell’operazione e le possibilità per l’azienda asiatica di scalfire la posizione di forza assunta da Mc Donald’s lungo la penisola.
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UberEats: il servizio di consegna del cibo dell'azienda di San Francisco si afferma con grande forza https://www.business.it/ubereats-il-servizio-di-consegna-del-cibo-dellazienda-di-san-francisco-si-afferma-con-grande-forza/ Tue, 09 Jan 2018 06:30:25 +0000 http://www.business.it/?p=16430 UberEats: entro la fine dell'anno il servizio che prevede la consegna di alimenti a domicilio dovrebbe raggiungere quota tre miliardi di fatturato, un terzo di quello del gruppo

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Si è molto parlato di Uber nel corso degli ultimi tempi, in particolare per la sentenza emessa dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea che ha stabilito come si tratti di un servizio di trasporto e come, in quanto tale, debba obbedire alle normative nazionali.
Ora però, si torna a parlare dell’azienda di San Francisco per un altro motivo, ovvero per il fatto che essa su molte piazze stia facendo più utili con UberEats, ovvero il servizio di consegna a domicilio di cibo, che con quello grazie al quale chi ha bisogno può trovare un mezzo di trasporto.

UberEats è in rapida espansione

La sempre più rapida espansione di UberEats ha sorpreso non poco analisti e addetti ai lavori. È stato Toussaint Wattinne, ovvero colui che guida il servizio di consegna di alimenti a domicilio londinese, a ricordare nel corso di un’intervista rilasciata a Business Insider come la crescita abbia portato ad un evento inaspettato: UberEats, infatti, in molte città, ha addirittura sorpassato il servizio di trasporto in termini di fatturato e di utili.
Va peraltro sottolineato come il servizio in questione si fondi su un’applicazione totalmente autonoma da quella tradizionale. Secondo alcune interpretazioni, in tal modo si è voluto dare vita ad una linea di demarcazione dal servizio di trasporto ormai screditato non solo dal duello con i taxisti europei, ma anche da una serie di scandali che hanno notevolmente appannato la sua immagine.
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I punti di forza di UberEats

Ad appena tre anni dalla sua nascita, UberEats ha chiuso l’ultimo anno con un fatturato prossimo ai 3 miliardi di dollari, reso possibile in particolare dal grande successo incontrato non solo a Los Angeles, ove il servizio è nato, ma anche su piazze come Londra, Milano, Grenoble e Madrid.
Il dato è stato desunto da un report visionato dal Financial Times, secondo il quale Uber, nel suo complesso, si posizionerebbe invece sotto i 9 miliardi di dollari. Insomma, in un triennio il servizio di consegna del cibo si attesterebbe ad oltre un terzo del fatturato complessivo del gruppo californiano.
Quali sono i punti di forza che hanno permesso all’azienda di food delivery di crescere così rapidamente? Secondo gli analisti proprio la rapidità di consegna unita alla logistica e all’efficienza che sono un tratto distintivo di Uber avrebbero permesso a UberEats di crescere in una maniera estremamente sorprendente.
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UberEats-2A proposito di Uber

Va comunque ricordato che se Uber si trova attualmente in una fase di notevole difficoltà, proprio a causa della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, dall’altro lato sta comunque consolidando le sue posizioni, in vista della quotazione attesa per il 2019.
In particolare sono stati alcuni investitori sauditi e giapponesi a portare nuova liquidità all’interno di Uber, decidendo di pompare nelle sue casse ben nove miliardi di dollari. Protagonista dell’operazione è stata SoftBank, che ha acquisito il 15% delle azioni, mentre un ulteriore 2,5% è finito nelle mani di un consorzio di investitori. Il prezzo concordato per l’acquisto di ogni titolo, 33 dollari, ha portato la capitalizzazione di Uber alla bella quota di 48 miliardi.
L’operazione guidata da SoftBank è stata interpretata come una vera manna dal cielo per il gruppo di San Francisco, considerato che le perdite di ogni trimestre, oltre un miliardo di dollari, avevano aperto una vera e propria voragine nei conti. Il tutto mentre anche a livello di immagine Uber era stata travolta da vicende, non solo di carattere economico, che ne avevano sensibilmente appannato l’aura vincente dei primi tempi.

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Tech-food: ecco come far fronte all’invasione di rifiuti hi-tech in costante crescita https://www.business.it/tech-food-ecco-come-far-fronte-allinvasione-di-rifiuti-hi-tech-in-costante-crescita/ Sat, 30 Dec 2017 06:30:14 +0000 http://www.business.it/?p=16155 Il tech-food è solo una delle cause della produzione di rifiuti hi-tech con la quale siano costretti a fare i conti e che ci obbliga a creare un nuovo modo di produrre oltre che a individuare una soluzione per smaltirli

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Stando ai dati, quello dei rifiuti elettronici è un problema con il quale ben presto saremo costretti a fare i conti. Per il momento, il cumulo di questi rifiuti ammonta a circa 9 volte la piramide di Giza e a ben 4.500 torri Eiffel. Lavatrici, telefoni cellulari, elettrodomestici, computer: sono questi solo alcuni degli oggetti che quotidianamente utilizziamo e che ben presto si trasformeranno in rifiuti difficili da smaltire.
Ma come fare a risolvere questo problema che potrebbe rivelarsi un vero e proprio boomerang per questa nostra società iper-tecnologizzata ma non ancora pronta a smaltire quanto prodotto?

Come riutilizzare le risorse

Le ultime ricerche in fatto di hi-tech parlano chiaro e raccontano un futuro fatto di rifiuti difficili da smaltire. Il dato ancora più preoccupante riguarda il fatto che nei prossimi anni tali numeri sono destinati a crescere.
Una cosa è certa: l’unica cosa per salvare il pianeta da una vera e propria invasione di rifiuti hi-tech è rappresentato dal riciclo che, però, ha un costo non indifferente e che prevede una fase di educazione e sensibilizzazione importante. A produrre più di tutti rifiuti hi-tech sono gli australiani. A seguire troviamo Europa, Russia e America.
Considerando che i dati sono in crescita, è necessario intervenire in tempi rapidi in modo tale da evitare che una simile deriva possa travolgere le future generazioni. Anche il tech-food è uno dei protagonisti di questa deriva iper-tecnologica che, però, potrebbe riuscire ad essere arginata non solo ragionando in ottica di recupero dei rifiuti ma anche di ottimizzazione della produzione.
Leggi anche: Obsolescenza programmata: fantasie visionarie o preoccupanti verità?

ecosostenibilità la cina blocca l'importazione di rifiuti problema per il mondo interoI caricabatterie unici

Un’idea decisamente molto interessante potrebbe essere rappresentata dall’utilizzo di un solo caricabatterie per più di un dispositivo. Se teniamo conto del fatto che proprio i caricabatterie rappresentano una tra le tipologie di rifiuti più importante, affrontare l’argomento della diminuzione dell’utilizzo di tali accessori potrebbe rappresentare un primo ed importante passo per fare in modo che i rifiuti tech da smaltire siano sempre meno.
Ovviamente, si tratta solo di una goccia nel mare che, seppur degna di nota, non è altro che uno spunto di riflessione per cercare di ridurre in maniera sensibile la produzione di questa tipologia di rifiuti. In buona sostanza, l’idea è quella di ottimizzare la produzione di tali tipi di prodotti, partendo dal presupposto che molti di essi possono bene adattarsi a più di un dispositivo.
In questa ottica, la crescita potrebbe riuscire ad andare di pari passo con le effettive necessità del nostro pianeta e, soprattutto, con le politiche di sostenibilità ambientale necessarie per poter guardare al futuro e alle generazioni che verranno con il giusto ottimismo.
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rifiuti-tecnologiciTech-food: il futuro del cibo

Ad essere più che chiaro è il fatto che, guardando al futuro, sono in crescita i settori che si stanno tecnologizzando e tra questi c’è proprio quello del food and beverage. Il cosiddetto tech-food, dunque, non può che tradursi in una ennesima produzione di rifiuti tecnologici difficilmente smaltibili.
Un circolo vizioso, pertanto, che pare non avere fine, a meno che non si abbia intenzione di creare un sistema attraverso il quale avere la possibilità di recuperare elementi tecnologici riutilizzabili o, possibilmente, compatibili con altri strumenti. Solo in questo modo, si avrà la possibilità di far andare di pari passo lo sviluppo tecnologico con il futuro del nostro pianeta ormai alle prese con una vera e propria invasione di rifiuti hi-tech.
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Laurea in scienze gastronomiche, corsi riconosciuti dal Miur: l'annuncio di Gentiloni https://www.business.it/laurea-in-scienze-gastronomiche-corsi-riconosciuti-dal-miur-lannuncio-di-gentiloni/ Mon, 04 Dec 2017 06:30:10 +0000 http://www.business.it/?p=15445 Dall'Università del Gusto di Pollenzo al resto d'Italia: i corsi di laurea in scienze gastronomiche annunciati dal premier. La novità riguarda triennali e magistrali

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Nasce ufficialmente la laurea in scienze gastronomiche. La notizia testimonia ancora una volta quanto sia cresciuta l’importanza della gastronomia anche a livello accademico.

L’annuncio di Gentiloni

In questo processo di crescita che appare sempre più inarrestabile, l’Università delle scienze gastronomiche e la Scuola di Pollenza rappresentano veri e propri precursori nel nostro Paese.
La consacrazione definitiva è arrivata lo scorso 20 novembre, direttamente dalle parole del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. In occasione dell’inizio del quattordicesimo anno accademico dell’università, il premier ha annunciato la nascita della laurea in scienze gastronomiche, finalmente riconosciuta ufficialmente dal Miur.
L’evento, secondo quanto dichiarato dallo stesso Gentiloni, rappresenta “una grande conquista” per l’Italia. Nonostante ammetta il “ritardo” con cui il Paese ha raggiunto questo traguardo, il premier si è mostrato entusiasta e positivo.
Gentiloni ha detto di sentirsi come a casa, in quella struttura tanto voluta dal gastronomo, attivista e scrittore Carlo Petrini all’inizio del nuovo millennio. Nato dall’associazione Slow Food, il progetto di Petrini è arrivato a costituire un nuovo punto di partenza per l’insegnamento della gastronomia in Italia.
Gentiloni confessa di aver imparato da Petrini “che una spinta a difesa della biodiversità è possibile”. Proprio dai progetti di Pollenzo parte un messaggio che interessa tutto il territorio nazionale. La laurea in scienze gastronomiche rappresenta un’importante novità per l’intero sistema universitario.
Nonostante i tanti aspetti positivi, però, il premier Gentiloni è attento a mettere in guardia da un particolare. Il “recupero della tradizione” non deve portare infatti all’esclusione dell’altro. Il progetto nato dall’idea di Petrini, a parere del presidente del Consiglio, deve essere una difesa dell’identità che tenda a connettere individui e culture diverse tra loro.
Leggi anche: Guida al Management del Food e Wine 1a parte

gentiloni-annuncio-su-laurea-in-scienze-gastronomicheI corsi nati da Slow Food

Slow Food, la creatura nata da un’idea di Carlo Petrini, ha quindi portato una grande innovazione nel sistema accademico italiano. In seguito all’annuncio di Paolo Gentiloni, nascono due corsi di laurea in scienze gastronomiche.
Nella fattispecie, si tratta di un corso di laurea triennale in Scienze, Culture e Politiche della Gastronomia, e un corso di laurea magistrale in Scienze Economiche e Sociali della Gastronomia.
La disposizione arriva direttamente dal Miur, con il ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli che ne ha fissato anche il periodo di inizio. La stessa Fedeli, proprio in occasione dell’incontro di Pollenzo, ha dichiarato che i primi corsi di laurea in scienze gastronomiche prenderanno il via dal prossimo settembre.
Evidente anche la soddisfazione di Carlo Petrini. Il presidente di Slow Food ha definito “storico” il nuovo corso di studi appena annunciato. Da Pollenzo parte un progetto innovativo che interesserà tutta Italia, apportando una notevole novità all’istituzione accademica nazionale.
Leggi anche: Guida al Management del Food e Wine 2a parte

L’arte della gastronomia

L’obiettivo dichiarato di Petrini è quello di offrire un nuovo modello delle scienze gastronomiche.
Per l’occasione e il traguardo raggiunto, il fondatore di Slow Food ringrazia il ministro Fedeli perché ha davvero “creduto in quest’impresa”, che riempie di orgoglio il gastronomo piemontese.
Come Carlo Petrini, anche Andrea Pieroni, rettore dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche, sono d’accordo nell’individuare soprattutto due componenti principali nel loro settore di competenza. Si tratta della valorizzazione delle conoscenze tradizionali e della proprietà multisciplinare tipica della gastronomia.
Per Pieroni l’istituzione della laurea in scienze gastronomiche è “l’inizio dell’età adulta” per l’università e per gli addetti ai lavori del settore. In Italia, e non solo.

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Niente più sprechi al ristorante con il progetto "Doggy Bag se avanzo mangiatemi" https://www.business.it/niente-piu-sprechi-al-ristorante-con-il-progetto-doggy-bag-se-avanzo-mangiatemi/ Wed, 22 Nov 2017 09:23:33 +0000 http://www.business.it/?p=14021 “La norma antisprechi sta contribuendo ad accrescere la sensibilità dei cittadini verso il cibo e il suo utilizzo consapevole specie nella prevenzione e nel recupero delle eccedenze”, afferma Maria Chiara Gadda, membro della Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici della Camera dei Deputati e relatrice della legge 166/16 sulla limitazione degli sprechi alimentari in merito… Leggi tutto »Niente più sprechi al ristorante con il progetto "Doggy Bag se avanzo mangiatemi"

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“La norma antisprechi sta contribuendo ad accrescere la sensibilità dei cittadini verso il cibo e il suo utilizzo consapevole specie nella prevenzione e nel recupero delle eccedenze”, afferma Maria Chiara Gadda, membro della Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici della Camera dei Deputati e relatrice della legge 166/16 sulla limitazione degli sprechi alimentari in merito al progetto “Doggy Bag se avanzo mangiatemi”.
“Le nostre scelte quotidiane di acquisto e di consumo degli alimenti sono importanti” continua Gadda. “Generare eccedenze può contribuire allo spreco oppure creare nuove opportunità che con la legge 166 vengono sostenute e valorizzate attraverso la filiera del dono finalizzato alla solidarietà sociale”. La partnership tra il progetto per portare a casa gli avanzi del ristorante, la Fipe, Federazione Italiana Pubblici Esercizi, e il Comieco, Consorzio per il Recupero e Riciclo degli Imballaggi a Base Cellulosica, è stata presentata ufficialmente il 23 ottobre scorso. Grazie a questa iniziativa, ogni ristorante italiano coinvolto potrà avere a disposizione un eco-contenitore di design Made In Italy.

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Oltre 1000 ristoranti coinvolti nell’iniziativa

La Doggy bag “può avere un ruolo strategico per vincere questa sfida dal punto di vista culturale e accompagna il cittadino in nuovo percorso di consapevolezza allungando la vita di un prodotto altrimenti destinato a finire nella spazzatura. Comieco ha realizzato un contenitore funzionale e accattivante che grazie a Fipe e al progetto “Doggy bag se avanzo mangiatemi” sarà veicolato nei ristoranti raggiungendo tanti cittadini e famiglie per dare un nuovo valore del cibo” ribadisce Gadda, che crede nel progetto come ottimo spunto per insegnare un nuovo comportamento verso gli avanzi quando si è fuori casa. I ristoranti coinvolti son 1000, ma saranno di più col tempo al fine di ottenere una copertura globale dell’iniziativa su tutto il territorio italiano.

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comieco

Affermare una pratica virtuosa

Sul progetto è intervenuto anche Carlo Montalbetti, direttore generale di Comieco, che afferma: Il progetto “Doggy Bag – Se avanzo mangiatemi“, nato nell’anno di Expo 2015, “ha riscontrato positive esperienze in oltre 50 ristoranti di Slow Food Italia e in più di 200 locali tra Milano, Bergamo, Varese e Roma, trovando un più che positivo gradimento in tutta Italia da un sondaggio effettuato con Last Minute Market”. Montalbetti sottolinea infatti il dato secondo cui, in Italia, ben il 58% degli imballaggi cellulosici immessi al consumo è legato al settore alimentare, per cui la doggy bag rappresenta la perfetta espressione del valore anti spreco che un packaging può diventare.
Il fine è anche quello di iniziare una “pratica virtuosa”, che partita dagli altri paesi, sarà finalmente essere riconosciuta anche in Italia.

Fonte: Adnkronos 

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Le eccellenze agroalimentari italiane non valgono i finanziamenti UE https://www.business.it/le-eccellenze-agroalimentari-italiane-non-valgono-i-finanziamenti-ue/ Sun, 05 Nov 2017 06:00:44 +0000 http://www.business.it/?p=13970 Le nostre eccellenze enogastronomiche godono di meritata fama in tutto il mondo. Prodotti della tradizione, tramandati da secoli, di altissima qualità, rappresentano unicità non sempre conosciute, sopratutto all’estero. E rimarranno tali se l’Europa decide di non investirci su. La Commissione Ue ha infatti approvato 52 programmi di promozione di prodotti europei nel settore agroalimentare. Il… Leggi tutto »Le eccellenze agroalimentari italiane non valgono i finanziamenti UE

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Le nostre eccellenze enogastronomiche godono di meritata fama in tutto il mondo. Prodotti della tradizione, tramandati da secoli, di altissima qualità, rappresentano unicità non sempre conosciute, sopratutto all’estero. E rimarranno tali se l’Europa decide di non investirci su. La Commissione Ue ha infatti approvato 52 programmi di promozione di prodotti europei nel settore agroalimentare. Il finanziamento complessivo stanziato è di 88 milioni di euro, ma l’Italia potrà usufruirne solo di 3.
I Consorzi presentati superavano i 30, solo 3 quelli approvati: il Formaggio Piave, la Mortadella di Bologna e il Consorzio Valtellina. Pensavamo di ottenere più finanziamenti rispetto al resto dei paesi europei, ma non è stato così. Le nazioni con più prodotti promossi e finanziati sono Francia e Spagna.

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settore agroalmentare

Un finanziamento per agevolare visibilità e promozione

Ben 36 i programmi italiani presentati presso la Commissione Ue per ottenere il finanziamento stanziato, tra cui note eccellenze enoalimentari come il pomodoro San Marzano, il pecorino Toscano e il prosecco di Valdobbiadene.  Eppure solo 3 l’hanno spuntata. In tutta Europa sono state bocciate 129 proposte, 30 delle quali sono, appunto, quelle italiane.
Davanti all’Italia si sono posizionate nazioni come la Francia, la Spagna, la Grecia e addirittura la Lituania.
Le prime due hanno visto l’approvazione, rispettivamente, di 16 e 9 programmi con 31 e 25 milioni di finanziamento a testa.
Questo progetto è stato creato per aumentare la visibilità e la promozione dei prodotti con lo scopo di agevolare la loro commercializzazione anche fuori dal paese d’origine.
Il tasso di finanziamento da parte dell’Unione Europea riguardo la comunicazione copre il 70% per i prodotti destinati al mercato interno, e fino all’80% per programmi finalizzati al commercio estero.

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finanziamenti settore agroalimentare

L’espansione commerciale dei nostri prodotti

L’Italia è stata dunque penalizzata, ma non demorde. Oltre ai tre programmi approvati ce ne sono altri 3 in riserva: il Consorzio Mela Alto Adige, il Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato e il Consorzio A.P.O Sicilia. Sono infatti stati inseriti nella lista di riserva con la possibilità di essere approvati nel caso in cui alcuni consorzi della lista ufficiale dovessero rinunciare al finanziamento.
Per quanto riguarda quelli approvati, il Distretto agroalimentare di qualità della Valtellina ha in programma l’espansione verso Francia e Germania, oltre al consolidamento del mercato interno. Per quanto riguarda invece il Consorzio di tutela del Formaggio Piave Dop, quest’ultimo ha come obiettivo i mercati di Austria e Germania. Infine, la Mortadella di Bologna vuole raggiungere i mercati agroalimentari del lontano Giappone, con un contributo di investimento europeo pari a 1, 221 milioni di euro.

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Pluralismo agricolo, da qui passa il futuro del nostro Paese https://www.business.it/pluralismo-agricolo-da-qui-passa-il-futuro-del-nostro-paese/ Sat, 28 Oct 2017 05:30:02 +0000 http://www.business.it/?p=13794 Il pluralismo agricolo sarà la scelta per poter rilanciare l'economia del nostro paese nel campo dell'agricoltura

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G7 di Bergamo, si gettano le basi per il pluralismo agricolo

Il pluralismo agricolo sarà presto una realtà: questo dicono i vertici del G7 sull’agricoltura riuniti a Bergamo. I principali paesi sia europei che di altri continenti hanno preso parte al summit nel capoluogo orobico per discutere di molte tematiche, tra cui il futuro agricolo dell’Italia e del resto del mondo.
I rappresentanti di paesi africani hanno portato al meeting bergamasco le loro istanze sulla povertà e la disuguaglianza che ancora attanaglia il loro continente, chiedendo un impegno mondiale per ridurre la fame nel continente africano.
I paesi industrializzati, per contro, hanno mostrato molto dinamismo nel proporre progetti di agricoltura sostenibile e di redistribuzione della ricchezza. Non ultima l’Italia, sede del summit, che ha avanzato la sua proposta di agricoltura plurale e multilivello.
Il risultato probabilmente più importante del G7 di Bergamo è stata la Carta del Biologico, un documento che racchiude tutti i principi di definizione dei prodotti a indicazione geografica controllata e garantita. Questa modalità di regolamentazione getta le basi per dei controlli rigidi sulla qualità e sui marchi.
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L’Italia e il pluralismo agricolo: una sfida possibile?

Con pluralismo agricolo si intende un mondo dell’agricoltura che spazia a 360°. L’Italia è celebre per le sue produzioni agricole e agroalimentari, sia in campo artigianale che nell’ambito delle grandi industrie.
La sfida della pluralità sta proprio nel tenere insieme tutte queste realtà senza lasciare che le une prevarichino sulle altre.
Le grandi industrie sono certamente pensate per la produzione seriale di beni che servono su larga scala. A loro va il compito di trascinare l’economia italiana verso una continua crescita, esportando prodotti di ottima qualità e di fattura 100% made in Italy sul grande mercato internazionale.
Affiancate ad esse, però, ci sono le piccole imprese artigianali che lavorano soprattutto nel campo del biologico. Il loro export non può di certo competere con le grandi industrie che fungono da traino, ma è giusto che in una situazione di pluralità sostenibile e di pari diritti ad esistere, anche questo tipo di imprese abbia la propria voce in capitolo.
Le due realtà devono coesistere e devono portare arricchimento ognuna a proprio modo. Laddove non sarebbe possibile un’agricoltura basata esclusivamente sulla produzione artigianale e di piccola dimensione, un’industria agroalimentare di tipo esclusivamente meccanizzato e con dinamiche industriali ampie taglierebbe le gambe a tutte le realtà che hanno reso grande l’agricoltura italiana nel mondo.
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I vantaggi di questa scelta

Quali possono essere i vantaggi di una scelta orientata al pluralismo agricolo?
Innanzitutto la sopravvivenza delle piccole e medie imprese in questo settore. Il rischio di un’industrializzazione spinta avrebbe impedito a queste realtà, spesso a conduzione familiare, di continuare ad esistere.
Questo tipo di agricoltura, per altro, dà molto spazio anche alle industrie che promuovono prodotti biologici e a chilometro zero. Un grande impegno per la sostenibilità e la riduzione delle emissioni di inquinamento. L’atteggiamento dell’Italia può avere ripercussioni positive anche su tutte le economie dei paesi membri, poiché se ogni paese si impegna ad adottare questo tipo di agricoltura ci possono essere certamente dei benefici per l’atmosfera e per il pianeta a livello globale.
Ultimo ma non trascurabile vantaggio di questa scelta è la tutela della biodiversità. Ogni coltura ha diritto di esistere e vede rispettati i suoi tempi e la sua modalità di crescita. Le colture a destinazione industriale sono certamente più sfruttate e più sviluppate, ma non vuol dire che siano le uniche. Ogni tipo di coltivazione si integra perfettamente con le altre e permette una ricchezza unica al mondo.
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Manjoo: la buona cucina e le ricette italiane più gustose sbarcano nel mondo dei social network https://www.business.it/manjoo-la-buona-cucina-e-le-ricette-italiane-piu-gustose-sbarcano-nel-mondo-dei-social-network/ Wed, 25 Oct 2017 05:30:41 +0000 http://www.business.it/?p=13699 Manjoo è il primo social network interamente dedicato agli appassionati di cucina

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Il lancio di Manjoo

Da sempre la cucina made in Italy rappresenta degnamente il nostro Paese nel mondo e le ricette tradizionali italiane sono apprezzate e invidiate davvero ovunque. Proprio per questo motivo in questi giorni si sta rapidamente affermando Majoo, il primo social network completamente dedicato alla buona cucina. Su Majoo i cuochi più affermati e gli amanti del cibo possono condividere, commentare, proporre ogni genere di ricetta. In una recente intervista Alessandro Piemontese, Co-founder della piattaforma, ha spiegato più nel dettaglio il funzionamento del progetto.
Il social network funziona un po’ come un aiuto cuoco, che determina ogni singolo valore nutrizionale, considera le intolleranze alimentari e calcola i regimi dietetici. Chiunque può servirsi di questo aiuto per accedere all’editor, elencare gli ingredienti e documentare la preparazione della propria ricetta con delle foto. La piattaforma condividerà automaticamente le ricette tra gli amici e i follower, proponendole anche a tutti quegli utenti che potrebbero apprezzarle.
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Com’è nato Manjoo

Il social Network è nato dall’unione di specialisti provenienti da ambiti completamente diversi, accomunati tuttavia dalla passione per la cucina, considerata a tutti gli effetti un’arte, e dall’intolleranza alla frutta a guscio, spiega ironicamente Alessandro Piemontese. Circa quattro anni fa il team che ha ideato Manjoo ha deciso di fare di tutto per poter condividere e raccontare passo passo qualsiasi creazione gastronomica, rendendo i vari passaggi estremamente semplici.
Così come postare foto su Instagram, condividere contenuti su Facebook, trovare il film desiderato su Netflix, navigare tra i post di Manjoo o caricare nuove ricette è la cosa più facile al mondo. La piattaforma però non consente soltanto di proporre nuovi accostamenti e portate inusuali. Grazie al social network è anche possibile fare ricerche molto specifiche e scovare tutte quelle proposte che rispettano determinate scelte o esigenze alimentari.
Il motore di ricerca semantico dà modo di scoprire in qualche secondo quale ricetta si presta ai propri gusti e ai propri bisogni. Le ricerche sono personalizzabili e i filtri disponibili consentono di ottenere risposte sempre pertinenti, tutto molto velocemente. Chi vuole può in aggiunta creare un libro stampato su carta pregiata con le ricette che preferisce. Basta scegliere il titolo e le ricette da includere, al resto pensa tutto Manjoo.
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Gli obiettivi di Manjoo

Che il social network si candidi a diventare la prima piattaforma che lasci interamente spazio agli amanti del cibo è abbastanza evidente e in questo senso i risultati non sono tardati ad arrivare. Ma perché condividere ricette su Manjoo? Sempre Alessandro Piemontese spiega che la piattaforma è assolutamente libera e aperta, quindi è il luogo perfetto in cui condividere la propria creatività in cucina. Gli editor sanno rendere divertente e accattivante ogni ricerca, curando tutti i dettagli e rendendo i contenuti condivisibili con chiunque.
Manjoo vuole proporre ricette, diffondere diete sane e rendere facile ogni ricerca. Per questo motivo il Genoma Alimentare alla base del motore di ricerca analizza i contenuti e li seleziona nella maniera più dettagliata possibile. Grazie al lavoro di chef, nutrizionisti e programmatori, oggi il social network è capace di sviluppare una corretta cultura alimentare e aiutare gli amanti della buona cucina a seguire diete sane.
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La tutela del made in Italy al prossimo G7 delle Indicazioni Geografiche https://www.business.it/la-tutela-del-made-in-italy-al-prossimo-g7-delle-indicazioni-geografiche/ Mon, 16 Oct 2017 05:30:15 +0000 https://www.business.it/?p=13386 La tutela del made in Italy vivrà un momento molto importante nel corso del prossimo G7 delle Indicazioni Geografiche, in programma a Bergamo La tutela del Made in Italy si appresta a vivere giornate importanti. Sta infatti per iniziare la riunione che vedrà impegnati i ministri dell’Agricoltura del G7 e cresce quindi la mobilitazione delle… Leggi tutto »La tutela del made in Italy al prossimo G7 delle Indicazioni Geografiche

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La tutela del made in Italy vivrà un momento molto importante nel corso del prossimo G7 delle Indicazioni Geografiche, in programma a Bergamo
La tutela del Made in Italy si appresta a vivere giornate importanti. Sta infatti per iniziare la riunione che vedrà impegnati i ministri dell’Agricoltura del G7 e cresce quindi la mobilitazione delle associazioni che tutelano il mondo agricolo tricolore. Bergamo sarà teatro anche del G7 delle Indicazioni Geografiche, in programma l’11 ottobre, che vedrà protagoniste le più rilevanti organizzazioni di settore, le quali rappresenteranno un larghissimo numero di imprese operanti a livello globale nella filiera agricola, nel comparto vitivinicolo e nel settore delle bevande “spiritose”. Si tratta di una kermesse voluta dalle associazioni italiane, nel corso della quale un particolare accento sarà riservato alle scottanti problematiche legate alla tutela delle eccellenze agricole e al modo migliore di sviluppare le indicazioni geografiche. Un tema estremamente sentito dalle associazioni italiane, che si muovono con il sostegno di circa 300mila imprese le quali riescono a generare ogni anno oltre 15 miliardi di fatturato.
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made in Italy

Una risposta alle lobbies agricole statunitensi

L’incontro di Bergamo è una indiretta risposta alla recente mossa delle organizzazioni agricole di oltreoceano, le quali hanno chiesto a Trump di opporsi proprio al riconoscimento delle indicazioni geografiche all’interno degli accordi commerciali. Una risposta quindi anche al Ceta e al TTIP, ovvero gli accordi che dovrebbero abbattere ogni barriera commerciale tra l’Europa da una parte e Stati Uniti e Canada dall’altra, visti del resto come un palese pericolo per l’agricoltura continentale. Proprio in conseguenza di ciò, il G7 delle IG è ormai considerato come un appuntamento importantissimo per il rilancio dei sistemi tesi a proteggere il settore, soprattutto alla luce delle manovre delle lobbies statunitensi tese a boicottare l’Accordo di Lisbona.
Va considerato che il tutto va ad inserirsi in una discussione sempre più serrata sulla contraffazione di eccellenze alimentari di cui sarebbero vittime i nostri prodotti sui mercati statunitensi e canadesi, simboleggiata dall’ormai famigerato Parmesan. Contraffazioni che peraltro avvengono in un momento in cui il comparto agroalimentare tricolore vanta straordinari indici di crescita i quali potrebbero essere sensibilmente intaccati da quella che è vissuta alla stregua di una concorrenza sleale. A trainare questa crescita sono in particolare i prodotti di qualità, circostanza che obbliga quindi le organizzazioni del Belpaese ad una maggiore tutela del Made in Itay.
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Gli obiettivi della conferenza

L’obiettivo dei partecipanti alla conferenza è in particolare quello di elaborare una dichiarazione congiunta fra tutte le organizzazioni invitate, in modo da costituire un fronte estremamente ampio di cui dovranno successivamente tenere conto i governi. I temi toccati saranno soprattutto, la sostenibilità alimentare, il lancio di modelli cooperativi in cui saranno interessati da una parte i distretti evoluti delle indicazioni geografiche e dall’altro le aree di paesi in via di sviluppo, la tutela e la “web transparency”. Proprio il quarto tema, ovvero quello che mira a dare vita ad un mercato in cui siano sempre minori i pericoli di incappare in prodotti contraffatti, ha visto il nostro Paese estremamente attivo nel corso degli ultimi mesi. La testimonianza in tal senso è rappresentata dagli accordi firmati con i giganti del commercio elettronico, a partire da Amazon, Alibaba e eBay, che potrebbero consentire una maggiore tutela del Made in Italy.
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Un possibile antidoto al separatismo

Andrebbe peraltro sottolineato come il tema delle indicazioni geografiche venga a cadere in un momento storico abbastanza particolare, quello che vede affacciarsi istanze separatiste in molte parti del continente. Un momento simboleggiato dai drammatici fatti che hanno caratterizzato il referendum in Catalogna. Secondo alcuni osservatori esterni, proprio il riconoscimento delle IG in un continente sempre più attraversato da pulsioni indipendendiste, potrebbe rivelarsi un vero e proprio fattore di coesione. La mobilitazione dei governi nazionali in favore di politiche tese a salvaguardare e tutelare le eccellenze agroalimentari potrebbe infatti erodere la base rurale dei movimenti separatisti, facendone un polo di attrazione per le comunità locali, spesso le più sensibili a parole d’ordine separatiste. Un ulteriore spunto di discussione che rende ancora più interessante l’appuntamento bergamasco.

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Qual è il vino più antico del mondo? https://www.business.it/qual-vino-piu-antico-del-mondo/ Sun, 24 Sep 2017 05:30:39 +0000 https://www.business.it/?p=12892 Vi siete mai chiesti qual è il vino più antico del mondo? Che il nettare di Bacco sia una bevanda millenaria è risaputo. Moltissimi mosaici e arazzi riportano scene di tavole imbandite e calici alzati. Il vino è celebrato sin dall’antichità. Ma a quando risale esattamente la pratica di produrlo? E chi ha il primato?… Leggi tutto »Qual è il vino più antico del mondo?

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Vi siete mai chiesti qual è il vino più antico del mondo? Che il nettare di Bacco sia una bevanda millenaria è risaputo. Moltissimi mosaici e arazzi riportano scene di tavole imbandite e calici alzati. Il vino è celebrato sin dall’antichità. Ma a quando risale esattamente la pratica di produrlo? E chi ha il primato? Ebbene, il vino più antico del mondo l’hanno trovato a casa nostra, precisamente in Sicilia, e ha ben 6mila anni.

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In Sicilia è stato ritrovato il vino più antico del mondo

La scoperta

Come si trova un vino vecchio 6mila anni? Attraverso precise ricerche e continue analisi. Questa scoperta è stata fatta grazie al ritrovamento di un coccio di terracotta, situato vicino alla città di Agrigento, precisamente sul Monte Kronio, chiamato anche Monte San Calogero. Le analisi chimiche condotte dai ricercatori dell’Università di Catania e da esperti della Sprintendenza dei Beni Culturali hanno riscontrato tracce di acido tartarico e sali di sodio, che sono sostanze propriamente contenute nel vino. Le giare in questione, inoltre, risalgono all’epoca del Rame, quindi 4mila anni prima della nascita di Cristo. Grazie al lavoro dell’Università di South Florida, a Tampa, il team di ricerca seguito dalla direzione del Dott. Davide Tanasi, ha analizzato i residui rinvenuti nelle giare di ceramica che contenevano un vino prodotto 6mila anni fa. I reperti erano venuti alla luce già nel 2010, ma solo in questi mesi sono stati messi sotto la lente d’ingrandimento. Ciò è importantissimo, non solo per capire da quanti anni siamo effettivamente viticoltori, ma com’erano in effetti le abitudini culinarie e il commercio vinicolo nell’Età del Rame.

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In Sicilia è stato ritrovato il vino più antico del mondo

Gli altri ritrovamenti

Le giare di terracotta rinvenute sul Monte Kronio non sono le uniche, ma finora vincono il primato delle più antiche contenenti tracce di vino. Un altro primato lo aveva ottenuto la Sardegna, grazie alla scoperta di un ritrovamento sul Monte Zara, presso i nuraghi. Vicino a Monastir (Cagliari), nel sito di Sa Osa, rinvennero semi di un vitigno vecchio 3mila anni.
Un ritrovamento antico, altrettanto importante, era stato effettuato in Israele, battendo il primato dei nuraghi in Sardegna: si tratta di un vino scoperto nel Palazzo reale di Tel Kabri, in Galilea, datato 3700 anni. Il Palazzo reale poteva, infatti, contenere circa 500 ospiti per grandi banchetti. Adiacente alla sala, è stato poi ritrovato un magazzino di circa 15 metri quadri per conservare le cibarie. Al suo interno, 40 giare per 1 metro di altezza l’una: la cantina di vino più antica del mondo. D’altronde ne parlava Gesù nei vangeli: il vino, nella Bibbia, è onnipresente. E si presuppone che fosse una pratica molto più antica. Andrew Koh, della Brandeis University, esperto in chimica archeologica e studi classici, ha riferito che: “Non era vino fatto in casa da dilettanti. Ogni singola giara conteneva vino fatto secondo la stessa ricetta, nelle stesse esatte proporzioni”.

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In Sicilia è stato ritrovato il vino più antico del mondo

Le origini del vino

A quando risale la pratica di produrre vino? Se il ritrovamento siciliano è esatto, il nettare di Bacco potrebbe davvero essere la bevanda più vecchia del mondo. Ma non si tratta dell’unica scoperta millenaria: sulle montagne di Zagros, in Iran, vicino al villaggio di Areni (tutt’oggi famoso per la produzione di vino) sono stati ritrovati semi d’uva, resti di uva pressata e di mosto d’uva, e moltissimi vini “essiccati”. Addirittura presenti in buono stato un rudimentale torchio, una specie di tino per la fermentazione e numerosi recipienti per la conservazione. Secondo Gregory Areshian, co-direttore degli scavi eseguiti da un team della University of California di Los Angeles, il sito di Zagros: “ Disponiamo, per la prima volta, di un quadro archeologico completo della produzione del vino risalente a 6.100 anni fa”. Nel sito archeologico sono state ritrovate anche numerose tombe. Si presuppone che, almeno agli albori, il vino accompagnasse cerimonie funebri.

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Nasce Sorgente di birra, il nuovo elisir delle Tenute Collesi https://www.business.it/nasce-sorgenti-birra-elisir-delle-tenute-collesi/ Thu, 21 Sep 2017 05:30:47 +0000 https://www.business.it/?p=12792 La birra diventa ingrediente di bellezza. Chi pensava che la bevanda al luppolo fosse solo una prelibatezza da assaporare durante le calde giornate estive, dovrà ricredersi. Eccola come ingrediente di bellezza grazie ad uno stabilimento marchigiano che l’ha eletta a vero e proprio elisir: si chiama Sorgente di Birra, ed è pronta a sfondare nel… Leggi tutto »Nasce Sorgente di birra, il nuovo elisir delle Tenute Collesi

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La birra diventa ingrediente di bellezza. Chi pensava che la bevanda al luppolo fosse solo una prelibatezza da assaporare durante le calde giornate estive, dovrà ricredersi. Eccola come ingrediente di bellezza grazie ad uno stabilimento marchigiano che l’ha eletta a vero e proprio elisir: si chiama Sorgente di Birra, ed è pronta a sfondare nel mondo della cosmesi bio.

la linea cosmetica Sorgente di birra delle Tenute Collesi

La birra di Apecchio

L’idea di creare un marchio alla birra nel mondo della cosmesi è venuta in mente all’imprenditore Giuseppe Collesi. Le sue birre artigianali sono conosciute in tutto il mondo: dalla Alter alla Fiat Lux, chiara o scura, sono tutte rigorosamente non pastorizzate e a rifermentazione naturale. Ce ne sono di tutti i tipi e per tutti i gusti, da abbinare ad ogni pietanza. Ai recenti World Beer Award 2017 la birra delle Tenute Collesi è stata insignita del titolo “di birra artigianale italiana più premiata nel mondo”. La qualità c’è e si vede. Anzi si sente, col gusto e l’olfatto. Ci pensa da vent’anni, Giuseppe Collesi, da prima di aprire il suo stabilimento ad Apecchio, per produrre birra. E finalmente ce l’ha fatta: ha creato un’intera linea cosmetica a base di birra, luppolo, cereali, lieviti e acqua del vicino Monte Nerone.

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La birra artigianale più premiata al mondo

La linea cosmetica

La linea cosmetica Sorgente di birra nasce sfruttando le proprietà della birra insieme ad altri componenti, per ricavarne effetti benefici sulla pelle del viso e del corpo.
Questa linea, così semplice quanto innovativa, è stata studiata grazie alla passione di tre ricercatrici dell’Università di Camerino, alla Facoltà di Farmacia. Il progetto è stato inizialmente finanziato sia da Tenute Collesi, sia dalla Regione Marche.
Sorgente di birra comprende cinquanta prodotti tra cui creme per il viso, creme per il corpo, prodotti solari e detergenti, tonici, bagnoschiuma e shampoo. Tra i cosmetici notiamo, inoltre, la presenza di soluzioni anti rughe per lui e per lei, per ogni tipo di pelle e suddivise per età. Per gli uomini esistono anche fluidi idratanti e schiume da barba.
Non è solo questione di bellezza. Per Giuseppe Collesi è fondamentale il benessere e la salute della pelle. Per questo i cosmetici della linea innovativa Sorgente di birra sono creati attraverso formule esclusivamente naturali, senza l’aggiunta di siliconi, petrolati e parabeni. In una parola: biologici.

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Sorgente di birra: gli integratori

Linea biologica dunque, per il rispetto di ciò che si usa. E visto che fin dall’antichità consociamo i benefici della birra come aiuto per la pelle, perché non aiutare anche l’alimentazione con appositi integratori?
La birra serve anche a questo e non importa berne tanta, ma gustarla appieno quel tanto che basta. Via libera, quindi, a integratori che garantiscono un apporto di sali minerali utili al nostro fabbisogno. Gli integratori potranno essere assunti attraverso bustine, capsule o deliziose barrette. E non saranno l’unica novità della linea: le ricercatrici stanno ultimando uno sciroppo per la tosse a base di mosto di birra, sambuco e miele, e alcuni insaporitori da spolverare sui piatti, per ottenere gustosissime ricette. Non resta che provare questi innovativi cosmetici Sorgente di birra, linea che dal 2018 sarà disponibile in tutte le farmacie, erboristerie e profumerie.

Sorgente di birra è la linea cosmetica bio di Apecchio

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Intolleranza alimentare e nuove tecnologie : ecco come mangiare senza pensieri e combattere gli sprechi https://www.business.it/intolleranza-alimentare-e-nuove-tecnologie-ecco-come-mangiare-senza-pensieri-e-combattere-gli-sprechi/ Thu, 21 Sep 2017 05:30:30 +0000 https://www.business.it/?p=12829 L'intolleranza alimentare oggi può essere combattuta con l'aiuto delle nuove tecnologie

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La Fondazione Marchesi e l’Università Bicocca di Milano si sono dedicati allo studio di un sistema che consente di creare un diario virtuale grazie al quale stabilire un regime alimentare equilibrato e, soprattutto, anti-spreco. L’intolleranza alimentare, dunque, non diventerà che un ricordo grazie ai nuovi sistemi di monitoraggio e controllo dei cibi e dei singoli ingredienti.

Cibo e tecnologia

Che le nuove tecnologie stiano cambiando in maniera radicale le nostre abitudini è ormai cosa chiara. L’Università Bicocca di Milano in collaborazione con la Fondazione Marchesi ha fatto un ulteriore passo in avanti dimostrando che proprio attraverso l’intelligenza artificiale è finalmente possibile tenere sotto controllo anche le abitudini alimentari e combattere l’intolleranza alimentare. L’idea è quella di dare forma ad un monitoraggio oltre che a un percorso di tutoraggio grazie al quale tenere sotto controllo tutti gli ingredienti ed evitare inutili sprechi. In questo modo, si avrà la possibilità migliorare notevolmente l’esperienza alimentare e renderla molto più consapevole. Come è facile intuire, si tratta di un vero e proprio percorso educativo in cui le nuove tecnologie avranno un ruolo cruciale. Per comprendere meglio il funzionamento di tale meccanismo è necessario fare un esempio pratico: in una mensa aziendale i vari vassoi verranno inquadrati da una telecamera che riconoscerà tutti i cibi, inserirà i dati in un apposito database personale e monitorerà le abitudini in maniera quotidiana. Dopo aver fatto ciò, il sistema elaborerà i suggerimenti necessari per rendere la dieta più salutare.

Lotta agli sprechi

Compito del sistema non è solo quello di combattere l’intolleranza alimentare. Attraverso un particolare meccanismo di calcolo, infatti, riuscirà anche ad elaborare una stima degli eventuali avanzi al fine di disincentivare i singoli a riempire i propri vassoi di pietanze che non consumeranno. Abbiamo a che fare, dunque, con una soluzione capace di inviare un alert in tempo reale agli utenti “spreconi”. In merito a questo ambizioso progetto, è interessante precisare che in fatto di intelligenza artificiale è in cantiere anche un ulteriore passo in avanti. Non solo mense, infatti: l’obiettivo della ricerca è di dare forma ad un sistema capace di riconoscere ogni genere di piatto in qualunque ambiente. Nell’eventualità in cui un piatto non venisse riconosciuto dal sistema, potrà essere lo stesso utente ad aggiungerlo al database.
intolleranze alimentari e intelligenza artificiale

Intolleranza alimentare

Un aspetto molto interessante riguarda il fatto che questo sistema altamente tecnologizzato consentirà anche di gestire a meglio ogni genere di intolleranza alimentare. Spesso, quando ci si reca in un locale per mangiare ci si imbatte in piatti nuovi preparati con ingredienti difficilmente riconoscibili. Ciò vuol dire che non è da escludere la presenza di un particolare ingrediente potenzialmente pericoloso per la salute. Utilizzando il sistema di riconoscimento degli ingredienti si avrà finalmente la possibilità di mangiare ogni genere di pietanza serenamente senza dover temere una eventuale reazione allergica più o meno grave.

Obiettivi futuri

Nelle intenzioni dei ricercatori c’è la volontà di rendere il sistema equiparabile alle capacità umane. In pratica, attraverso una gestione sempre più precisa delle telecamere e dei database si riuscirà a tenere sotto controllo ogni genere di abitudine alimentare. Per il momento, il funzionamento si attesta a circa l’80%. Non resta altro da fare che attendere e capire quale sarà la nuova frontiera dell’intelligenza artificiale nella lotta allo spreco alimentare e nelle politiche a favore di un’alimentazione sana ed equilibrata.
Una dieta sana può allungare la vita di 20 anni
NutriBees: la start up di food delivery che rivoluziona il modo di mangiare21
IN – Intelligenza nutrizionale: la nuova frontiera della ristorazione ospedaliera

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Una dieta sana può allungare la vita di 20 anni https://www.business.it/una-dieta-sana-puo-allungare-la-vita-di-20-anni/ Fri, 15 Sep 2017 05:30:52 +0000 https://www.business.it/?p=12608 Dieta sana e stile di vita regolare sono il segreto per vivere più a lungo e in salute

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Dieta sana e vita più lunga

Una dieta sana allunga la vita, secondo una ricerca pubblicata sul New England Journal of Medicine, di almeno 20 anni. Il segreto per vivere più a lungo è uno stile di vita regolare che si basa su un’alimentazione equilibrata associata all’attività fisica.
Non è certo la prima volta che le ricerche e i medici nutrizionisti nonché i cardiologi e gli esperti di fitness raccomandano di seguire, per esempio, la dieta mediterranea come modello alimentare ideale.
La ricerca pubblicata sul New England Journal of Medicine, però, va oltre.

Come vivere 20 anni in più

Uno degli autori della ricerca, il dottor Frank Hu del Dipartimento di Nutrizione dell’Harvard Chan School, ha affermato che per vivere 20 anni in più non è necessario stravolgere la propria dieta, perché basta modificarne anche solo il 20%.
Tale affermazione è stata possibile dopo che un campione significativo composto da circa 74 mila americani è stato monitorato per almeno 12 anni riguardo alle sue abitudini alimentari.
Negli anni che vanno dal 1986 al 1998 il campione analizzato ha seguito 3 diete diverse, tra cui quella mediterranea e i risultati sono stati sorprendenti. Nei 12 anni compresi tra il 1998 e il 2010 la mortalità di chi aveva seguito una dieta sana era diminuita del 17%.
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dieta sana può allungare la vita II

Cosa significa dieta sana secondo la ricerca

Come accennato “dieta sana” non significa imporsi un regime alimentare che richieda grandi sacrifici, ma anche solo eliminare quegli alimenti che sono nocivi.
Tra questi la ricerca segnala la carne rossa, il cui consumo dovrebbe essere ridotto a 2 volte al mese o comunque a non più di 300 g a settimana. Anche se la carne bianca è considerata più salutare, comunque è bene sostituirla con pesce azzurro, come alici e sgombro, di cui il Mediterraneo è ricco.
È meglio, quindi, assimilare proteine dal pesce e dai legumi piuttosto che dalla carne.
Leggi anche: Guida al Management del Food e Wine 2a parte

Alimenti da preferire e da evitare

Tra gli alimenti che hanno fatto la differenza riguardo ai risultati della ricerca, è emersa l’importanza di preferire gli alimenti integrali. Questi ultimi sono ricchi di fibre, acidi grassi Omega 3 e sali minerali, di cui invece sono più poveri quelli raffinati.
Inoltre, viene ribadita l’importanza di introdurre frutta e verdura cotta o cruda evitando, nello stesso tempo, prodotti come gli insaccati e i formaggi.
Gli insaccati e tutto il cibo pronto, in particolare, sono considerati nocivi per il contenuto di conservanti e grassi aggiunti.

dieta sana può allungare la vita III

L’importanza del cibo di stagione

La ricerca ha provato non solo che si vive di più con una dieta sana, ma anche che perseverando in un regime alimentare errato si riduce l’aspettativa di vita.
Nella ricerca non è stata posta particolare importanza alle proprietà benefiche dei singoli alimenti, ma a una combinazione di nutrienti. È fondamentale preferire prodotti di stagione, che molto probabilmente non sono stati trattati con pesticidi e conservano la loro genuinità.
Lo stesso vale per il pesce, da preferire in base alle stagioni di pesca in modo che non sia importato e quindi surgelato. Tuttavia, anche il pesce confezionato conserva le sue proprietà benefiche organolettiche.
Il suo consumo dovrebbe essere di almeno 3 volte a settimana, con cottura leggera e senza l’aggiunta di grassi.
Dieta sana e stile di vita regolare
Non basta seguire una dieta equilibrata per vivere più a lungo. A questo bisogna aggiungere l’attività fisica, un riposo di qualità, una riduzione dello stress e l’eliminazione delle cattive abitudini, come il fumo e l’alcool. Si può anche inziare a mangiare sano non più giovanissimi e il risultato sarà comunque positivo per l’allungamento dell’aspettativa di vita.
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Sfera: la serra agricola 4.0 avvia un'isola di pura innovazione nella Maremma toscana https://www.business.it/sfera-la-serra-agricola-4-0-avvia-unisola-di-pura-innovazione-nella-maremma-toscana/ Mon, 11 Sep 2017 08:05:59 +0000 https://www.business.it/?p=12542 Il nostro editoriale si occupa principalmente di tecnologia ed innovazione, cerchiamo di scovare notizie dal pianeta di scoperte che accelerano il progresso, che conducono l’uomo in un’era nuova, dove automazione e domotica regnano sovrani, il tempo dei droni, il mondo dei robot. Giusto pochi giorni fa abbiamo parlato della preparazione alimentare per il grande viaggio… Leggi tutto »Sfera: la serra agricola 4.0 avvia un'isola di pura innovazione nella Maremma toscana

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Il nostro editoriale si occupa principalmente di tecnologia ed innovazione, cerchiamo di scovare notizie dal pianeta di scoperte che accelerano il progresso, che conducono l’uomo in un’era nuova, dove automazione e domotica regnano sovrani, il tempo dei droni, il mondo dei robot.

Giusto pochi giorni fa abbiamo parlato della preparazione alimentare per il grande viaggio dell’uomo su Marte, oppure dell’imminente uscita di un’auto che raggiunge i 1600km/h di velocità: le invenzioni degli esseri umani plasmano la superficie terrestre e la modellano secondo criteri sempre più proiettati in un futuro che sta arrivando.

Esiste però una grande contraddizione, un’enorme, mastodontica contraddizione.

Proiettiamoci nella vita reale: siamo al supermercato, stiamo facendo la spesa, nella nostra tasca, giace uno smartphone onnipotente, appena acquistato per circa 1000 euro, dobbiamo comperare dell’olio per uso domestico, per cucinare, per noi stessi, per la nostra famiglia.

Dopo qualche minuto di studio conveniamo che l’olio proveniente dai confusi raccolti industriali spagnoli, che costa 3 euro meno di quello ad agricoltura biologica prodotto in Italia, ci farà risparmiare sul conto finale ed optiamo per quello.

Dove vogliamo arrivare?

Esattamente qui: l’uomo sperpera denaro ed energie per creare auto volanti, robot in grado pensare autonomamente, frigoriferi parlanti, ordigni in grado di distruggere l’intero pianeta ma… coltiva ancora la terra con l’aratro.

L’agricoltura resta il settore primario, indispensabile per la sopravvivenza del genere umano, ma rimane confinata al di fuori della muraglia dell’innovazione, circondata da quell’aura medievale che ci fa scordare che, nel frattempo, stiamo correndo alla velocità della luce.

L’esempio del risparmio per la spesa quotidiana, quando gettiamo via denaro per marchingegni tecnologici, spesso, tutt’altro che indispensabili, rappresenta il nostro atteggiamento nei confronti di un ambito che ha bisogno di essere letteralmente “svecchiato”.

Ecco perché business.it ha voluto dedicare uno speciale ad un progetto che è diventato realtà, una realtà che deve diventare monito ed esempio, ecco perché abbiamo deciso di parlare di Luigi Galimberti ed il suo sogno: Sfera.

SVECCHIARE L’AGRICOLTURA

La situazione italiana è l’esempio palese di un settore trascurato, potenzialmente esplosivo, in quanto il nostro territorio presenta prodotti eccellenti ed impareggiabili.

Zero digitalizzazione(o pochissima), poca tracciabilità, poca presenza di marchi e brand, nessuna innovazione nei modelli di business e innovazione di processo completamente assente. Ci sono risorse come il vino, su cui si sono applicati in molti,  in troppi, forse, da diventare una moda inflazionata, ma ci sono, nel contempo, migliaia di altri frutti della terra che e sembrano destinati all’oblio.

L’ortofrutta sembra essere abbandonata, ogni giorno si legge di prodotti buttati, non raccolti, spesso neanche avviati al macero, ma semplicemente abbandonati in campo. Vertiginoso è l’aumento dell’import, non di prodotti esotici, bensì di pomodori, peperoni e arance, proprio quelle abbondanze di cui il nostro paese è l’eccellenza suprema: un paradosso senza giustificazioni.

Le problematiche affondano le radici in tempi lontani, il settore sconta tutte le criticità di un sistema troppo vecchio e trascurato.

A sentire il parere degli esperti, intervistando gli operatori, gettando un occhio sulla situazione generale, potrebbe sembrare un settore in continua decadenza, e senza speranza.

Ma sappiamo bene come siamo noi italiani, tanto tragici nella descrizione del dramma, quanto ingegnosi nella ricerca di una via d’uscita e…

Qualcosa sembra muoversi, sembra che l’innovazione si stia facendo largo piano piano, al fianco delle micro start up: l’introduzione sempre più corposa di droni, i  grandi colossi che creano trattori a guida autonoma, spiragli, ma ancora fessure troppo piccole per intravedere un necessario cambiamento epocale.

Si nota la mancanza di un piano più complesso, in grado di trainare una rivoluzione e procedere con un indispensabile cambio di passo.

progetto sfera la serra agricola 4.0

IL PROGETTO SFERA

La speranza di una guida verso il cambiamento sta in una start up della Maremma toscana, nata nel luglio 2016, da una idea di Luigi Galimberti, imprenditore locale con il pallino dell’innovazione.

Luigi ha messo insieme una squadra di giovani e lavorato all’idea di realizzare una serra tecnologica per la produzione di ortaggi. L’intento non è solo quello di produrre, ma quello di innovare, rivoluzionare il modello di business, i processi, alzando l’asticella della qualità.

Ecco le parole di Galimberti: “Tutti consideravano ‘Sfera’ un progetto impossibile: se nessuno l’aveva mai realizzato prima, un motivo ci sarà stato. Ed è proprio questo modo di ragionare che scava la tomba all’innovazione. Mentre questo scetticismo ci isolava da tutti e, a tratti, ci deprimeva, ci accorgevamo di percorrere la via giusta, dura ma giusta, da soli, però con la consapevolezza di lavorare ad una costruzione di un futuro migliore.

Gennaio 2016, Luigi Galimberti incontra Lorenzo Allevi, amministratore delegato di Oltre Venture, fondo d’investimento di Milano con una vision molto innovativa, che investe in progetti ad alto impatto sociale: è la svolta.

“Durante questo scambio d’idee succede qualcosa di magico.” Prosegue Galimberti. “Non eravamo più soli, oltre a degli incoraggianti e sinceri complimenti, capimmo che ci sarebbe stata la disponibilità del fondo ad investire soldi al buio, con la consapevolezza che le risorse messe a disposizione potevano anche andare bruciate,  senza la certezza di un successo né addirittura di un risultato”.

Oltre Venture è un fondo di venture capital che investe in early stage, ovvero su idee nella prima fase iniziale, correndo dei rischi enormi di insuccesso.

Così nel luglio 2016 nasce Sfera, società agricola srl tra Luigi Galimberti e Oltre  Venture che mette a disposizione del progetto i primi €150.000.

Ciò che ha determinato la scelta del fondo, insieme ad i valori economici in ballo, è stata l’idea d’innovare il modello di business, Galimberti si proponeva di affrontare  la sfida agricola con competenze manageriali tipiche di altri settori, un’organizzazione più simile ad un’industria automobilistica che ad un’azienda agricola.

“Il fondo mi ha dato la possibilità di trasformare delle suggestioni, delle impressioni in valori, tutto ciò che confidavo solo ad i miei amici, ora sono i nostri valori. Avevo ben chiara l’idea di dare vita ad un’azienda caratterizzata da una responsabilità sociale spiccata, che si prendesse cura del territorio, dei propri lavoratori, esattamente a braccetto con quello che fa Oltre Venture, basti pensare al Centro medico Sant’Agostino e Permicro, due realtà supportate dallo stesso che costituiscono casi reali di successo.

Dopo meno di un anno dalla costituzione, Sfera ha chiuso un aumento di capitale di 7 milioni di euro, allargando la compagine sociale a 3 grandi investitori”.

Un mese e mezzo dopo aver concluso il primo step con Oltre Venture, lead investor, Sfera ottinene un finanziamento da Iccrea BancaImpresa, in pool con 2 Banche di Credito Cooperativo. Iccrea infatti si è resa capofila di un finanziamento per un importo complessivo di 11,4 milioni di euro.

La serra, verrà ultimata entro il 2017, sarà la più grande serra idroponica d’Italia: 13 ettari di impianto su un lotto di 22 ettari. Tale tipologia di coltivazione, detta idroponica, presenta diversi vantaggi rispetto a quelli tradizionali su terra: il risparmio di spazio, il minor utilizzo di acqua (ben il 90% in meno rispetto all’agricoltura tradizionale), rischi inferiori di malattie e problematiche legate alla coltivazione, una maggior tutela dell’ambiente ed una migliore qualità della produzione ottenuta.

“Accanto alla serra sorgeranno anche sistemi agroforestali per la conservazione delle biodiversità. Un progetto ecosostenibile a 360 gradi, che punta sull’innovazione tecnologica e non sulla chimica di pesticidi e fertilizzanti. Produrrà pomodori, insalate ed erbe aromatiche molto più che ‘biologiche’. I parassiti del pomodoro saranno quindi combattuti con un vero e proprio esercito di coccinelle ‘mercenarie’, assoldate nel progetto. Sfera porterà alla Maremma circa 19 milioni di euro in capitali ed oltre di 100 posti di lavoro”. Continua il fondatore ed amministratore delegato Luigi Galimberti.

progetto sfera innovazione nell'agricolturaAGRICOLTURA 4.0

Sfera è un progetto innovativo e unico nel suo genere, rappresenta un esempio tangibile di sostegno ad iniziative di agricoltura 4.0, in grado di coniugare al meglio i vincoli dei cicli biologici con le richieste crescenti di prodotti alimentari sostenibili, tracciabili e di elevata qualità.

Si tratta, dunque, di una serra innovativa, che utilizza la tecnologia per produrre di più e meglio, perché questi sistemi non lasciano residui all’interno dei prodotti. La tecnologia buona è a servizio del consumatore, dell’ambiente e del lavoratore.

La serra produrrà 15 volte di più che il campo aperto, consumando solo il 10% dell’acqua. Secondo le previsioni dell’ONU, nel 2050 saremo il doppio degli abitanti su questo pianeta ed avremo bisogno del doppio delle risorse come acqua e suolo, produrre di più consumando e sprecando meno sarà un’assoluta priorità.

Processi, managerialità, tecnologia, digitalizzazione e condivisione è quello su cui Sfera sta lavorando per innovare.

Innovare, osare, anche in agricoltura si può, ne abbiamo un grande, immenso bisogno.


Il business nell’agricoltura

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Top 5: i top chef del mondo selezionati dai loro colleghi in una classifica all'ultima ricetta https://www.business.it/top-5-top-chef-del-mondo-selezionati-dai-colleghi-classifica-allultima-ricetta/ Fri, 01 Sep 2017 05:40:12 +0000 https://www.business.it/?p=12316 Seiji Yamamoto 5. Proprietario del ristorante Nihonryori Ryugin, Seiji Yamamoto è giapponese di nascita e chef conta al suo attivo tre stelle Michelin. Sul suo conto si sa che, oltre alle stelle Michelin, ha ottenuto anche molti riconoscimenti a livello internazionale. Basti pensare, ad esempio, al fatto che il suo ristorante è stato menzionato nella… Leggi tutto »Top 5: i top chef del mondo selezionati dai loro colleghi in una classifica all'ultima ricetta

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Seiji Yamamoto

5. Proprietario del ristorante Nihonryori Ryugin, Seiji Yamamoto è giapponese di nascita e chef conta al suo attivo tre stelle Michelin. Sul suo conto si sa che, oltre alle stelle Michelin, ha ottenuto anche molti riconoscimenti a livello internazionale. Basti pensare, ad esempio, al fatto che il suo ristorante è stato menzionato nella classifica dei 50 migliori al mondo. In tale ambito, è interessante anche tenere conto del fatto che lo chef è molto vicino alla gastronomia cosiddetta molecolare ed i suoi piatti risultano essere particolarmente originali e, allo stesso tempo, raffinati. La sua cucina, poi, è un vero e propri mix di culture, sapori e tradizioni appresi in occasione dei suoi viaggi che lo rendono uno degli chef più apprezzati anche dai propri colleghi.

i top chef del mondo numero 5

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Michel Bras

4. Michel Bras, proprietario del ristorante Le Suquet, è nato e lavora in Francia. Considerato un cuoco a dir poco creativo, Michel Bras per dare forma alle proprie ricette ama utilizzare sia le erbe che i fiori freschi rigorosamente commestibili. A suo riguardo è interessante tenere conto del fatto che è sua la ricetta dei gustosissimi biscotti con coulant di cioccolato così famosa ed apprezzata in pogni angolo del mondo. Dal 1999, inoltre, il suo ristorante è stato insignito di ben tre stelle Michelin. Michel Bras, dal canto suo, nel corso della sua carriera ha collezionato importanti riconoscimenti in fatto di cucina tra cui, ad esempio, la classificazione nel Relais & Châteaux addirittura dal 1992.

michel bras i top chef del mondo numero 4

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Pierre Gagnaire

3. Famoso chef dell’alta cucina francese, Pierre Gagnaire è il proprietario del Restaurant Pierre Gagnaire di Parigi. Sul suo conto si sa che viene considerato uno degli chef tra i più eclettici dell’attuale panorama internazionale. La sua cucina, infatti, è a dir poco imprevedibile oltre che particolarmente creativa ed originale. Sapori e ingredienti vengono abilmente messi in contrapposizione tra loro in modo tale da dare forma a ricette uniche ed originali, uscendo da ogni genere di schema della cucina tradizionale. Tra l’altro, è interessante tenere conto del fatto che Pierre Gagnaire è diventato un vero e proprio modello per gli aspiranti chef.

Pierre-Gagnaire i top chef del mondo num 3

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Martin Berasategui

2. Martin Berasategui, proprietario del ristorante Restaurant Martin Berasategui, ha iniziato a lavorare all’età di 13 anni nel locale di famiglia e da quel momento in poi non si è più allontanato dai fornelli, tanto da farne il suo mestiere oltre che la sua fortuna. L’apertura del suo primo ristorante risale al ’93 e in solo due anni è riuscito ad ottenere ben due stelle Michelin a dimostrazione del suo talento innato. Nel corso della sua carriera, poi, sono stati decisamente numerosi i riconoscimenti personali che gli sono stati conferiti non da ultimo, il piazzamento di tutto rispetto nella classifica dei top chef del mondo e il raggiungimento del secondo gradino del podio.

martin-berasategui i top chef del mondo 2

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Alain Passard

1. Alain Passard, proprietario del ristorante L’Arpège, è un vero artista dei fornelli. I suoi menu sono basati principalmente su prodotti biologici e la sua cucina è leggera ma, allo stesso tempo, particolarmente gustosa e ricercata. Tra l’altro, è interessante tenere conto del fatto che si tratta dell’unico chef che coltiva in prima persona i prodotti biologici necessari per preparare le sue ricette al fine di ottenere un risultato di altissima qualità. Nei 6 ettari di terreno di sua proprietà animali e piante convivono alla perfezione e hanno consentito allo chef Alain Passard di ottenere questo prestigioso riconoscimento conferitogli dai suoi colleghi di fornelli.

alain passard i top chef del mondo numero 1alain passard i top chef del mondo numero 1

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I chatbot governeranno il mondo, ma al momento ci aiutano in cucina https://www.business.it/i-chatbot-governeranno-mondo-al-momento-ci-aiutano-cucina/ Thu, 24 Aug 2017 06:00:29 +0000 https://www.business.it/?p=12061 Si deve temere l’Intelligenza Artificiale? La notizia dei giorni scorsi arriva da un laboratorio di ricerca molto prestigioso nel quale due chatbot avrebbero iniziato una conversazione autonoma tra loro. Non solo, i due algoritmi, uno maschio e l’altro femmina, avrebbero interagito in un linguaggio inventato, utilizzando verbi e parole in modo incomprensibile per l’uomo ma pare… Leggi tutto »I chatbot governeranno il mondo, ma al momento ci aiutano in cucina

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Si deve temere l’Intelligenza Artificiale?

La notizia dei giorni scorsi arriva da un laboratorio di ricerca molto prestigioso nel quale due chatbot avrebbero iniziato una conversazione autonoma tra loro. Non solo, i due algoritmi, uno maschio e l’altro femmina, avrebbero interagito in un linguaggio inventato, utilizzando verbi e parole in modo incomprensibile per l’uomo ma pare efficace per intendersi tra loro.

Qua e là su internet si sono letti titoli quasi apocalittici come se l’avvento dell’era dei robot fosse questione di ore. Dal laboratorio di Menlo Park, dove i due robot virtuali hanno dato vita ai loro surreali dialoghi, dicono invece che il comportamento dei due algoritmi è stato del tutto legittimo. L’intelligenza artificiale che li ha mossi, infatti, avrebbe trovato un modo più efficiente di comunicare, quindi in parte un successo. I tecnici dell’esperimento hanno forzatamente interrotto il loro scambio solamente perché il fine della conversazione doveva essere quello di imparare a parlare tra loro come training in vista di future chat con umani. Lo spegnimento degli elaboratori che tenevano in vita le due entità virtuali, sarebbe avvenuto per questo motivo e non per paura che le macchine potessero ribellarsi ai propri creatori.

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chatbot i robot che governeranno il futuro

Gli attuali bot, più che intelligenti, sono ricchi di risposte

Mettendo da parte le implicazioni etiche e i possibili pericoli che in futuro l’Intelligenza Artificiale potrebbe portare all’umanità, gli algoritmi di conversazione automatica tra macchina e uomo, sono ormai diffusi e molto utilizzati.

Quando ci troviamo di fronte ad un chatbot, dovremmo ancora capire che dall’altro capo della chat non c’è un vero essere umano ma un risponditore automatico tipo quelli dei call center che indirizzano la nostra chiamata.

A muovere questi automi virtuali, non immaginiamoci robot super tecnologici ma righe di codice di programmi realizzati per lo scopo, non c’è ancora una vera e propria intelligenza e l’interazione che questi bot possono proporre all’interlocutore umano è limitata a una serie di risposte date in presenza di determinate parole chiave all’interno della richiesta.

Nonostante questo limite, le chat automatiche stanno prendendo sempre più piede, soprattutto sulle piattaforme di social network dove molte grandi aziende multinazionali hanno applicato questa tecnologia come filtro al loro servizio clienti per rispondere automaticamente alle domande più comuni.

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Dalle ricette allo shopping, al momento i bot si limitano a questo

Un esperimento molto goloso e interessante è quello sviluppato da un noto marchio alimentare che tramite un chatbot riesce a suggerire le ricette migliori per poter utilizzare il lievito commercializzato.

Anche in questo caso, non immaginatevi una conversazione che possa assomigliare a quella intrattenuta con un’amica o un amico nella quale ci si scambiano consigli per la preparazione dei propri manicaretti.

L’assistente automatico, tramite la chat di un grande social network, si limita a porre all’utente umano domande a risposta multipla, in base alle quali proporrà la ricetta migliore.

Dolce o salato, cremoso o secco, con frutta o senza, sono queste le indicazioni che il bot accetta e in base alle quali suggerirà la migliore ricetta per l’interlocutore.

Oltre oceano, invece, le applicazioni di questi algoritmi sono molto più diffuse e varie, spaziando dalla verifica degli esami clinici a veri e propri personal shopper per scegliere il capo migliore in base alle proprie esigenze, prezzo compreso.

In attesa di derive fantascientifiche, gli odierni chatbot sono sicuramente un metodo molto efficace non solo per fare marketing e proporre prodotti agli utenti con i quali si scambiano messaggi ma anche per creare un servizio clienti sempre disponibile e accessibile a prezzi sicuramente più bassi rispetto all’impegno di umani, al momento, però, gli unici capaci di un’interazione veramente intelligente con il cliente.

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Amatrice: dal terribile terremoto alla gara di solidarietà a furia di spaghetti https://www.business.it/amatrice-dal-terribile-terremoto-alla-gara-di-solidarieta-a-furia-di-spaghetti/ Wed, 23 Aug 2017 06:00:49 +0000 https://www.business.it/?p=12157 Una gara di solidarietà culinaria per Amatrice Amatrice è un comune del centro Italia che si trova in provincia di Rieti, nel Lazio. Come in Italia tutti sanno, nella notte tra il 23 e il 24 Agosto del 2016 il centro del Paese è stato colpito da un violento sisma. Una delle città più colpite e… Leggi tutto »Amatrice: dal terribile terremoto alla gara di solidarietà a furia di spaghetti

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Una gara di solidarietà culinaria per Amatrice

Amatrice è un comune del centro Italia che si trova in provincia di Rieti, nel Lazio. Come in Italia tutti sanno, nella notte tra il 23 e il 24 Agosto del 2016 il centro del Paese è stato colpito da un violento sisma. Una delle città più colpite e più danneggiate è stata proprio Amatrice. Da questo episodio si sono succedute tantissime iniziative di solidarietà per venire incontro ai cittadini amatriciani colpiti dai danni del terremoto nel quale hanno perso amici, parenti e abitazioni. Molte delle proposte ruotavano intorno alla raccolta di fondi legati in qualche modo al piatto tipo della zona, conosciuto in tutto il mondo: l’amatriciana.

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La ricetta vien tagliando

Una delle iniziative più originali è stata quella proposta da due designer. Diego Savalli e Daniele Baglioni sono due giovani romani che hanno deciso di dare il loro contributo creativo alla causa. “The Cutting Board for Amatrice” è il nome del progetto che ha ricevuto anche il Patrocinio dello stesso comune. Si tratta di un tagliere in legno tutto speciale: ha una forma circolare, ma non è tanto la sua forma a rendere questo tagliere di solidarietà particolare. La vera particolarità sta nel fatto che su di esso vi sono incisi gli ingredienti e la ricetta completa della ricetta della città: gli spaghetti all’amatriciana. Per l’acquisto del tagliere si può cercare online! Il costo di questo oggetto che fa venir voglia di mangiare al solo pensiero, è di 29 euro, escluse le spese di spedizione. Il ricavato delle vendite di questo oggetto sarà utilizzato per contribuire alla ricostruzione della città di Amatrice.

Amtrice il terribile terremoto

Aggiungi un’amatriciana a tavola!

E d’altra parte, come si è detto, sono state tantissime le iniziative che si sono susseguite in tutto il territorio nazionale per aiutare e venire incontro ai cittadini di Amatrice. E tutte a tema culinario. Tantissimi ristoranti e locali hanno organizzato serate a tema, con tutti i prodotti della zona, per valorizzare le delizie locali e aiutare i produttori stessi a riprendersi economicamente. Una delle iniziative più diffuse è stata quella di introdurre nei menù, per i ristoranti che ancora non la contemplavano, la portata degli spaghetti all’amatriciana. Ci sono stati alcuni ristoratori che hanno scelto di devolvere tutto l’ammontare della singola portata al comune di Amatrice e ai suoi abitanti, o altri che hanno promesso solo una percentuale dell’incasso.

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La ricetta degli spaghetti all’amatriciana

Ma qual è la ricetta degli spaghetti all’amatriciana, e cioè di questa ricetta famosa in tutto il mondo che è diventato sinonimo e veicolo di solidarietà? Innanzitutto gli ingredienti: l’amatriciana contempla tra i suoi ingredienti innanzitutto il guanciale, poi il pecorino, il pomodoro San Marzano, olio extravergine di oliva, peperoncino. Questo è chiaramente solo il condimento, perché poi ci sono gli spaghetti. E questi sono anche gli ingredienti incisi sul tagliere di solidarietà progettato da Savalli e Baglioni. Il trucco per una buona amatriciana è innanzitutto il guanciale. Peraltro si tratta di un ingrediente tipicamente locale. E ovviamente per fare un piatto di spaghetti all’amatriciana davvero saporito devono conoscersi le proporzioni tra i vari elementi della ricetta: anche questo, e cioè le dovute proporzioni tra gli ingredienti che compongono questo piatto goloso, è trascritto sul tagliere del progetto “The Cutting Board for Amatrice”.

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McDonald's rivoluziona il menu: negli Usa ecco gli hamburger di manzo fresco fatti sul momento https://www.business.it/mcdonalds-rivoluziona-il-menu-negli-usa-ecco-gli-hamburger-di-manzo-fresco-fatti-sul-momento/ Tue, 08 Aug 2017 06:00:29 +0000 https://www.business.it/?p=11936 Dal 2018 nei ristoranti McDonald’s statunitensi saranno disponibili anche i nuovi Quarter Pounders, gli hamburger di manzo fresco fatti sul momento. Gustosi e genuini hanno un piccolo difetto: la loro preparazione richiederà più tempo. Soltanto un minuto per fortuna, grazie ai passi in avanti compiuti dall’azienda per velocizzare il processo. Si accompagneranno a quelli tradizionali, congelati e precotti,… Leggi tutto »McDonald's rivoluziona il menu: negli Usa ecco gli hamburger di manzo fresco fatti sul momento

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Dal 2018 nei ristoranti McDonald’s statunitensi saranno disponibili anche i nuovi Quarter Pounders, gli hamburger di manzo fresco fatti sul momento. Gustosi e genuini hanno un piccolo difetto: la loro preparazione richiederà più tempo. Soltanto un minuto per fortuna, grazie ai passi in avanti compiuti dall’azienda per velocizzare il processo. Si accompagneranno a quelli tradizionali, congelati e precotti, il prodotto di punta che il colosso della ristorazione serve da decenni a milioni di clienti in tutto il mondo.

La novità sottende un notevole miglioramento qualitativo e farà felici sia molti clienti esistenti, sia le persone che fino a ieri storcevano il naso di fronte ai piatti da fast food. Questa mossa potrebbe pertanto segnare il rilancio del gruppo che negli ultimi anni sta perdendo colpi e denaro un po’ ovunque, ma al tempo stesso rappresenta un rischio da non sottovalutare.

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mcdonald's rivoluziona il menù pronti gli hamburger freschi

Nei pochi ristoranti che hanno iniziato a servire i nuovi hamburger non sono mancate già le lamentele da parte dei clienti. Il motivo? Non vogliono saperne di aspettare 60 secondi più del solito per avere un Quarter Pounders. Diversi hanno già fatto sapere al locale di riferimento che a queste condizioni preferiscono dire addio a Mac e mangiare altrove.

McDonald’s deve quindi stare attenta a gestire questa scelta innovativa, date le conseguenze negative che potrebbero derivarne. Oggi non può permettersi di perdere ulteriori clienti, soprattutto nei “Mc Drive”, a cui deve il 70% del proprio fatturato. Qui il tempo di attesa medio è peggiorato nel tempo, figuriamoci cosa accadrebbe se dal 2018 lievitasse di un altro minuto. Secondo QSR Magazine nel 2016 è stato di 208,16 secondi, il 25% più lento rispetto al 2006.

Negli ultimi 5 anni la catena ha avuto 500 milioni di ordini in meno, nonostante l’impegno profuso per migliorare il servizio offerto, snellire il menu e velocizzare i tempi di preparazione dei cibi in cucina.

A bocciarla adesso ci si (ri)mette anche l’indagine 2017 sull’indice di soddisfazione del cliente americano, condotta attraverso la somministrazione di oltre 5.500 interviste. McDonald’s è risultata ultima, e per la terza volta consecutiva, tra le principali catene di fast food. Ha riportato un punteggio di soddisfazione di appena 69 su 100, ben 10 punti inferiore alla media di tutte le altre.

I numeri giocano contro, ma dal canto suo McDonald’s sembra essere tranquilla e molti analisti di mercato sono dalla sua parte. L’azienda è convinta che al leggero rallentamento del servizio farà da contraltare la maggiore preferenza accordata dai clienti alla carne fresca, che molti agognavano da sempre.

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hamburger freschi nuovo menù di mcdonald's

Difficile resistere ai nuovi hamburger, che saranno più invitanti e saporiti, stando alle anticipazioni fornite dai dirigenti della catena. Anche tanti franchising McDonald’s sono soddisfatti della scelta e la supportano, sicuri che il nuovo prodotto regalerà una migliore percezione del marchio. Tempistica a parte, i primi riscontri ottenuti dai clienti fanno ben sperare.

Alcuni store manager dei ristoranti di Dallas hanno dichiarato all’agenzia Reuters che i nuovi Quarter Pounders con carne fresca sono molto graditi dai clienti, tanto che hanno già incrementato le vendite dal 20 al 50% rispetto agli hamburger tradizionali. Se la tendenza è questa e si confermerà l’anno prossimo, McDonald’s avrà un’ottima occasione per rilanciare il brand a livello mondiale, offrendo un prodotto più genuino e attento alla salute delle persone.

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Cos’è Coco Loko, il cacao da sniffare https://www.business.it/cose-coco-loko-il-cacao-da-sniffare/ Thu, 27 Jul 2017 06:00:14 +0000 https://www.business.it/?p=11478 Produce gli stessi effetti di una bevanda energetica a base di taurina o caffeina ma è a base di cacao e si sniffa. Legal Lean presenta Coco Loko, la polvere di cacao da sniffare. È cacao da sniffare e, promette l’azienda che lo produce, «assicura effetti benefici per il miglioramento dell’umore, la riduzione dell’ansia e… Leggi tutto »Cos’è Coco Loko, il cacao da sniffare

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Produce gli stessi effetti di una bevanda energetica a base di taurina o caffeina ma è a base di cacao e si sniffa. Legal Lean presenta Coco Loko, la polvere di cacao da sniffare.

È cacao da sniffare e, promette l’azienda che lo produce, «assicura effetti benefici per il miglioramento dell’umore, la riduzione dell’ansia e un picco energetico di almeno trenta minuti». Oltre al cacao, di cui sono note le proprietà energetiche, antiossidanti e afrodisiachi, Coco Loko, il cacao da sniffare, contiene anche gingko biloba, una pianta delle gimnosperme le cui foglie sono ricche di terpeni, polifenoli e flavonoidi. C’è poi la taurina e il guarana, di norma già presenti dei cocktail dei drink energetici, insieme alla più classica caffeina. L’effetto combinato di tutte queste sostanze assicura un aumento di energia, concentrazione, riduzione dello stress e del senso d’ansia. I flavonoidi presenti nel cacao, infine, migliorano le funzioni celebrali e la circolazione sanguigna. Insomma, il cacao da sniffare assicura lo stesso effetto degli energy drink: euforia, motivazione, energia da svendere.

Cacao da sniffare. Pro e Contro

cacao da sniffareIl cacao da sniffare, infatti, provocherebbe un picco nella produzione di endorfine, del tutto simile al cosiddetto ‘sballo del corridore’, la sensazione di benessere generalizzato, euforia e energia che avverte uno sportivo dopo un’intensa attività fisica aerobica. Insieme alle endorfine, il cacao da sniffare aumenterebbe la produzione di serotonina, che migliora l’umore e provoca benessere. Anche se test scientifici non sono stati ancora rilasciati, medici e giornalisti che hanno testato il cacao da sniffare hanno riscontrato anche alcuni effetti collaterali, del tutto simili a quelli che provoca l’assunzione di drink energetici a base di taurina e guarana: palpitazioni e aumento della pressione arteriosa. Il metodo di assunzione, invece, provocherebbe rischio di ostruzioni e infezioni alle cavità nasali.

Coco Loko. Come è nato il cacao da sniffare

Nick Anderson, 29enne fondatore di Legal Lean racconta di «una crescente attenzione, in Europa e negli Stati Uniti, sul cacao da sniffare». In particolare, Anderson sarebbe stato attratto da analoghi prodotti venduti di Europa da diversi anni, senza alcun effetto collaterale. In Americana, invece, un prodotto simile non sarebbe mai stato venduto. Di qui, un primo investimento da 10 mila dollari per mettere a punto la miscela giusta. «Alcune versioni bruciavano troppo le narici», racconta. «Altre non contenevano la giusta dose di sostanze stimolanti. Altre ancora non erano di bell’aspetto. Poi ce l’abbiamo fatta: abbiamo messo a punto un prodotto che dà lo stesso effetto di un energy drink: rende euforici e motivati».
La panacea di tutte le depressioni, tuttavia, al momento non è ancora disponibile. Ad oggi, la Food and Drug Administration statunitense non ha ancora approvato la commercializzazione del prodotto.
Fonte originale principale: Wired

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NutriBees: la start up di food delivery che rivoluziona il modo di mangiare https://www.business.it/nutribees-la-start-food-delivery-rivoluziona-modo-mangiare/ Tue, 25 Jul 2017 06:12:54 +0000 https://www.business.it/?p=11341 Il mondo sta viaggiando a velocità supersonica verso il futuro, le nostre abitudini cambiano, miriadi di invenzioni modificano il vivere quotidiano, sono in molti, però, ad affermare, che l’unica cosa che non cambierà sarà fare la spesa e cucinare. Leggi anche: “La trappola food delivery”. Ecco cosa succede davvero quando ordini cibo a domicilio con le… Leggi tutto »NutriBees: la start up di food delivery che rivoluziona il modo di mangiare

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Il mondo sta viaggiando a velocità supersonica verso il futuro, le nostre abitudini cambiano, miriadi di invenzioni modificano il vivere quotidiano, sono in molti, però, ad affermare, che l’unica cosa che non cambierà sarà fare la spesa e cucinare.
Leggi anche: “La trappola food delivery”. Ecco cosa succede davvero quando ordini cibo a domicilio con le app

Una massima che verrà presto contraddetta.

Sono già molte le compagnie di ‘food delivery’ che si sostituiscono alla preparazione del cibo, stanno dilagando in ogni città, anche in Italia, dove vige la tradizione della cucina popolare.

Ma ce n’è una che si differenzia dalle altre perché può preparare piatti prelibati e sani, per migliaia di persone, con un solo laboratorio.

Com’è possibile?

Ce lo spiega Giovanni Menozzi co-founder del progetto ‘NutriBees’, una compagnia di food delivery decisamente particolare per le modalità con cui presenta i suoi speciali menù.

Intervistato ai microfoni di business.it, Giovanni ci ha spiegato tutte le peculiarità della sua sorprendente start up.

Che cos’è NutriBees?

NutriBees è una start up che fornisce un servizio di food delivery diverso dalle altre compagnie. Noi cuciniamo piatti pronti preparati in atmosfera protettiva che possono restare in frigorifero per 20 giorni senza perdere il gusto, né le proprietà nutrizionali.

Consegnamo direttamente a casa dei clienti, in 48 ore dall’ordine, in tutta Italia.

I piatti, come detto, devono essere conservati in frigorifero e, appena lo si desidera, scaldati leggermente in padella o nel microonde.

Ma la vera novità è che i nostri menù vengono proposti ad hoc per i clienti, grazie ad un preciso test alimentare di 40 domande, gestito con la collaborazione della dottoressa Villarini, biologa nutrizionista, che integra le sue conoscenze con l’algoritmo che decifra l’esito del test.

In questo modo riusciamo a proporre ed assegnare piatti secondo le esigenze alimentari del cliente, rispettando le sue eventuali intolleranze, ma anche i suoi gusti e le ipotetiche esigenze dietetiche.

Si tratta di piatti unici studiati per soddisfare il fabbisogno del consumatore, contenenti un cereale integrale, una proteina sana e verdure di stagione.

Un classico esempio potrebbe essere ‘Filetto di salmone in crosta di mandorle con riso nero integrale ed asparagi’.

Come è nata questa idea imprenditoriale?

Il mio socio Mario Villani ed io ci siamo conosciuti ai tempi dell’Università, dopo varie esperienze, anche all’estero, ci siamo ritrovati ed abbiamo deciso di dare vita a questo progetto. 

L’obiettivo è quello di permettere alle persone di mangiare esattamente tutto ciò di cui il loro corpo ha bisogno, abbiamo unito la nostra passione per l’online ad un argomento sempre più dibattuto al mondo d’oggi come quello della nutrizione.

L’inserimento della dottoressa Anna Villarini avvalora il test a cui sottoponiamo i clienti prima che si abbonino al nostro servizio e conferisce ulteriore credito ad i menù che il sistema elabora.

È un’idea, a nostro avviso, innovativa, che risponde ad esigenze reali, che in futuro saranno sempre più forti.

Inoltre si tratta di un prodotto che possiamo esportare anche all’estero, senza ingenti investimenti e che possiede una valida opportunità di scalabilità.

Detto questo, in che termini la vostra impresa può crescere? Dove si propone di arrivare NutriBees?

Esistono ampi margini di miglioramento, aumenterà la nostra precisione nell’analizzare il cliente, contiamo di dare la possibilità al cliente di caricare maggiori dati, ad esempio analisi del sangue, dandogli la possibilità di creare una sorta di “cartella clinica” online.

In questo modo i nostri menù saranno ancora più calzanti, adatti e personalizzati, con la realizzazione di nuovi piatti ed una rete sempre più numerosa di nutrizionisti affiliati che consigliano il nostro servizio.

Distribuendo cibi conservabili in frigorifero anche per 20 giorni possiamo utilizzare una sola cucina centrale, senza dover dislocare i nostri servizi, e questo sarà il nostro punto di forza anche per un nostro approdo all’estero.

In alcune parti d’Europa la consegna in 48 ore è garantita, per cui saranno quelli i punti di partenza per esportare il nostro marchio.

Altri settori su cui possiamo ampliare il nostro raggio d’azione son la possibilità di ordinare anche snack e colazioni e l’opportunità di poter scegliere il proprio menù tra più proposte.

Adesso il cliente si affida ai nostri studi e riceve il pacco a seconda delle esigenze da noi elaborate, presto sarà possibile ricevere il menù preventivamente, indicando le preferenze tra diverse alternative.

Si tratta, di fatto, di un’applicazione dell’Intelligenza Artificiale alla cultura del cibo. Dove arriveremo?

Credo che l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale divagherà in ogni tipologia di settore, compreso quello medico.

Applicare determinati principi permette di accelerare il progresso, in ogni campo, porto sempre l’esempio delle radiografie.

Se un computer analizza milioni e milioni di dati, osserva esiti e risultati su centinaia di migliaia di campioni, sarà in grado di effettuare delle diagnosi più rapide e precise di qualsiasi dottore.

E questo vale per tutti gli ambiti del lavoro, l’essere umano dovrà sempre essere bravo a mantenere la possibilità di avere quel valore aggiunto, dettato dall’ingegno, dalla creatività, dall’emozione, che una macchina non potrà mai avere.

Che cosa significa avviare una start up in Italia?

Diciamo che la situazione italiana non è delle migliori per avviare una giovane azienda.

La presenza di mille cavilli burocratici ed una tassazione esasperata non agevolano certo il percorso.

Un giovane italiano può essere scoraggiato dal sistema, visto che, rispetto ad altri paesi, i passaggi da effettuare per avviare un’attività sono infiniti, in Germania, ad esempio, è lo stato che viene a cercarti per dare avvio ad un’impresa, nel nostro paese invece la strada è lunga e tortuosa.

Servirebbero più esempi di successo per convincere i giovani a crederci, sono necessarie tanta passione e perseveranza, ma è possibile raggiungere il successo se si ha un’idea innovativa.

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Giancarlo Perbellini, il business della cucina: essere un grande chef in Italia https://www.business.it/giancarlo-perbellini-il-business-della-cucina-essere-un-grande-chef-in-italia/ Tue, 18 Jul 2017 09:46:18 +0000 https://www.business.it/?p=10985 Il business della cucina è ormai un vero e proprio pilastro dell’economia italiana contemporanea, la grande tradizione culinaria del nostro Paese si è intrecciata con la spettacolarizzazione del cibo in TV, dando vita ad un mix micidiale che ha portato alla ribalta grandi chef e cuochi amatoriali. Hanno preso vita due filoni distinti di programmi… Leggi tutto »Giancarlo Perbellini, il business della cucina: essere un grande chef in Italia

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Il business della cucina è ormai un vero e proprio pilastro dell’economia italiana contemporanea, la grande tradizione culinaria del nostro Paese si è intrecciata con la spettacolarizzazione del cibo in TV, dando vita ad un mix micidiale che ha portato alla ribalta grandi chef e cuochi amatoriali.

Hanno preso vita due filoni distinti di programmi televisivi, i Contest dove si sfidano aspiranti del mestiere alle prime armi, sotto gli occhi vigili di esperti del settore, e trasmissioni condotte dai maestri della cucina che cercano di illustrare al grande pubblico quella che è una vera e propria arte.

Oggi ci concentreremo proprio sul secondo trend, grazie all’illustre contributo dello chef pluristellato Giancarlo Perbellini, che ci ha concesso un’interessante intervista.

Giancarlo Perbellini è uno chef di fama internazionale, fin da bambino coltiva una passione smisurata per la cucina, grazie all’iniziazione del nonno Ernesto  muove i primi passi in un mondo che arriverà decisamente a conquistare.

Dopo importanti esperienze in Francia, dove riempie il suo bagaglio di preziose conoscenze, torna nella sua Verona, e nel 1996 conquista la prima stella Michelin, nel 2002, la seconda.

Nel frattempo, dopo aver ricevuto premi e riconoscimenti anche in campo internazionale, decide di diventare anche un imprenditore, ruolo che ricopre tutt’oggi, titolare della ‘Colori di Cuoco’ con quote di maggioranza o con partecipazioni in sei locali (Casa Perbellini, Locanda Quattro Cuochi, Al Capitan della Cittadella, Du de Cope, Dolce Locanda e Tapasotto) più un hotel (Cinque) a Verona, un ristorante a Venezia (Il Dopolavoro Dining Room all’interno del JW Marriot Venice Resort sull’Isola delle Rose) e la ‘Locanda Italian Cuisine’ a Hong Kong in partnership con il gruppo Dining Concept.

Ma il grande evento, svolta definitiva per la sua prestigiosa carriera, avviene nel 2014, quando apre ‘Casa Perbellini’, un vezzo nella suggestiva cornice di Piazza San Zeno, sempre a Verona, solo 24 coperti, uno spettacolo esclusivo per i fortunati avventori, che possono vederlo all’opera grazie alla totale apertura della cucina a vista.

Dopo un solo anno dall’apertura, Casa Perbellini conquista due stelle Michelin, e si colloca tra le location culinarie più importanti d’Italia.

Ma chi è oggi Giancarlo Perbellini? Come la pensa sul business della cucina e sulla spettacolarizzazione del cibo?

Gli abbiamo fatto alcune domande, le sue risposte concise, dirette, tracciano chiaramente il pensiero dello chef.

Stiamo vivendo un vero e proprio boom del business della cucina, che cosa ne pensa della spettacolarizzazione culinaria e dei numerosi programmi televisivi che vedono gli chef protagonisti, sempre più icone del piccolo schermo?

Credo che ci sia un duplice effetto a riguardo, dei pro e dei contro che quest’esplosione di interesse si trascina dietro. Sicuramente questa spettacolarizzazione ha contribuito a sdoganare un mestiere che, fino a poco tempo fa, in molti consideravano marginale, poco rilevante.

Lo chef, in Francia ad esempio, è da molto tempo una professione ambita e prestigiosa, da qualche anno lo è diventata anche in Italia, anche e soprattutto grazie alla visibilità che il nostro lavoro ha ottenuto.

Inoltre la televisione ha reso nota ed accessibile tutta una terminologia fino a prima sconosciuta, che alimenta una vera e propria passione nel grande pubblico.

Dall’altro lato, però, questa visibilità che molti di noi hanno avuto, ha condotto a pensare che questo sia un mestiere semplice, che tutti possono svolgere, per questo molte persone si buttano in una carriera ipotetica senza avere delle basi reali.

La televisione, talvolta porta a credere che il nostro lavoro non comporti poi un così grande sacrificio, basta avere un po’ di passione, qualche soldo da investire per frequentare una buona scuola e tutto andrà liscio come l’olio.

Non è così. Il nostro è un mestiere di sudore e rinunce, noi lavoriamo quando glia altri si divertono, la vita sociale di uno chef è totalmente diversa da quella di una persona ‘normale’, inoltre passione e preparazione non bastano, servono le fondamenta ed un grande talento.

Come si inquadra, lei, a tal proposito. Pensa che un giorno potrebbe prestarsi a programmi di primo piano come Master Chef, ad esempio? O è qualcosa che non le interessa?

Io conduco già il mio programma televisivo, ‘Casa Perbellini’ sul canale ‘Gambero Rosso’, ma si tratta di una trasmissione molto diversa da ‘Masterchef’. Noi mostriamo il reale lavoro che sta dietro ad un grande piatto di alta cucina, cerchiamo di renderlo accessibile, cerchiamo di far capire che serve una grande preparazione, una meticolosità importante, che non vanno mai tralasciati i dettagli e, soprattutto, che per preparare del cibo eccezionale è indispensabile impiegare del tempo.

Il problema di programmi come ‘Masterchef’ o ‘Hell’s Kitchen’, è che inducono a pensare che si possa cucinare in poco tempo, tralasciando delle accortezze che, in realtà, sono strettamente necessarie.

Per cui no, non mi rivedo in quel genere televisivo e non lo condivido, non credo che mi vedrete mai in quel contesto.

Crede che questa spettacolarizzazione della cucina contribuisca a spalmare la passione tra la gente, oppure allontani i grandi protagonisti dalla professionalità in nome della visibilità?

La televisione può alimentare la passione per la cucina, ed anche avvicinare i giovani a questo mestiere. Gli show ben strutturati possono anche aiutare a migliore l’alimentazione delle famiglie italiane, che vengono esortate all’uso di ingredienti sani, con preparazioni genuine.

Per quanto riguarda, invece, i professionisti del settore che diventano stelle televisive, ho le idee molto chiare e rispondo in maniera diretta: sono nato per fare il cuoco e non smetterei mai per diventare un attore.

Come valuta la situazione culinaria italiana? Qual è la reale posizione dell’Italia rispetto al resto del mondo, aldilà delle solite dicerie sulla grande tradizione del ‘mangiar bene’?

Reputo l’attuale situazione italiana, a livello culinario, assolutamente straordinaria. Dopo l’Expo di Milano è cresciuta a dismisura una grande consapevolezza del ‘mangiar bene’ in Italia, una grande conoscenza dell’universo degli ingredienti e dell’eccezionale qualità di cui disponiamo, su tutto il nostro territorio. Credo che sia un momento d’oro per la cucina italiana, che si sta allineando al grande prestigio di quella francese, a cui, sinceramente, non ha nulla da invidiare, se non un ritardo nel riconoscere il proprio valore. Il percorso di Massimo Bottura, ad esempio, che ha ottenuto il più grande riconoscimento a livello mondiale, ha dato lustro al lavoro di tutti noi, aiutando a portare sempre più in alto il valore della cucina italiana nel mondo.

Ovviamente non possiamo non parlare dei lati negativi, in questi termini, del nostro Paese.

Purtroppo lo Stato Italiano non supporta affatto gli imprenditori, che si trovano sempre di fronte ad un percorso ad ostacoli, per via di mille cavilli burocratici ed una tassazione ai limiti del credibile.

I ristoratori sono penalizzati da mille intoppi istituzionali che ne impediscono, molto spesso, crescita e sviluppo.

Ci terrei a sottolineare, in particolare, una controversia fondamentale, ovvero la difficoltà di poter avere degli stagisti provenienti dall’estero. In paesi come la Spagna o la Francia, l’ingresso di ‘stranieri’ che possono svolgere questa mansione è praticamente libero, in Italia no.

Questo comporta molte difficoltà, tra tutte, quella che gli stagisti stranieri portano l’esperienza appresa ed accumulata durante il soggiorno, direttamente nel loro Paese, contribuendo a far viaggiare il prestigio della cucina che hanno imparato.

Come valuta la preparazione delle scuole italiane a livello culinario?

Purtroppo, rispondendo con la massima sincerità, devo affermare che, in questo senso, la situazione Italiana è disastrosa. Basta guardare i dati, soltanto l’1% dei diplomati nelle apposite scuole lavora effettivamente nell’ambito per cui si è preparato.

La scuola alberghiera italiana è in un momento molto critico per l’assenza di programmi, di soldi da poter investire per le attrezzature, che sono indispensabili per l’esperienza diretta del lavoro. Il nostro è un mestiere che va insegnato tramite il lavoro reale, l’esperienza diretta e purtroppo tutto ciò non avviene, i ragazzi non imparano la professione ed escono con una preparazione inadeguata.

Ci sono poi un’infinità di scuole alternative che stanno pullulando, i classici ‘master’, in molti casi sommari ed inutili. Spesso sono corsi per persone che hanno qualche soldo da investire, provenienti da mondi completamente differenti da quello culinario e che si gettano in quest’esperienza. Ma, come ho già detto, chef si diventa grazie ad un lungo percorso di preparazione e sacrificio, senza le basi, non possono esistere le altezze.

Che cosa ne pensa dell’innovazione in cucina?

Si tratta di un argomento molto delicato e per nulla banale. Non posso dire di essere contro all’innovazione in cucina, perché ci sono strumenti che migliorano e rendono più efficace il nostro lavoro, ma non dobbiamo mai scordare la tradizione. Mi spiego meglio con un esempio: ben vengano le cotture a bassa temperatura, ma non dobbiamo abusarne ed usarle per tutti i nostri piatti, possiamo utilizzarle per alcune specialità, ma non sempre e comunque. Dobbiamo conoscere le basi della tradizione e saper cucinare anche senza strumenti tecnologici, solo in questo modo riusciremo a sfruttare al meglio i vantaggi dell’innovazione. Serve un giusto equilibrio tra le nuove tecniche ed i metodi di un tempo, il famoso ‘occhio’, la famosa ‘mano’, sono termini che non dobbiamo perdere perché fanno parte del bagaglio di esperienze di un vero cuoco professionista.

Si definisce e si inquadra più come uno chef o un imprenditore? 

Altra domanda molto complicata (lo chef sorride).

Diciamo che posso definirmi in percentuali più o meno distribuite.

Diciamo al 30% posso definirmi ‘imprenditore’, visto che non posso esimermi dai miei compiti da scrivania, con 7 ristoranti di proprietà ed un buon fatturato da gestire, non posso trascurare il lato ‘affaristico’ del mio lavoro.

Però al 70% mi sento chef, con la solita smisurata passione per il mio lavoro, che certo, nel tempo è cambiato, non posso dedicarmi più all’intera preparazione del servizio, ma il mio mestiere resta quello di ‘cucinare’, e continuerò a farlo per sempre. La gente che viene nei miei ristoranti lo fa per mangiar bene, ma anche per vedermi all’opera: questo è il mio compito, questa è la mia missione, questa è la mia passione.

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#StopCeta. No alle imitazioni canadesi dei prodotti italiani https://www.business.it/stopceta-no-alle-imitazioni-canadesi-dei-prodotti-italiani/ Fri, 07 Jul 2017 06:07:10 +0000 https://www.business.it/?p=10157 #stopCETA è l’hashtag della manifestazione di Coldiretti a Montecitorio per fermare il libero scambio con il Canada. A rischio il made in Italy di preziosi e prestigiosi prodotti dell’agroalimentare italiano. L’hashtag è #stopCETA e CETA sta per trattato di libero scambio con il Canada, un accordo commerciale che, a detta degli agricoltori italiani, legittima l’importazione di… Leggi tutto »#StopCeta. No alle imitazioni canadesi dei prodotti italiani

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#stopCETA è l’hashtag della manifestazione di Coldiretti a Montecitorio per fermare il libero scambio con il Canada. A rischio il made in Italy di preziosi e prestigiosi prodotti dell’agroalimentare italiano.

L’hashtag è #stopCETA e CETA sta per trattato di libero scambio con il Canada, un accordo commerciale che, a detta degli agricoltori italiani, legittima l’importazione di imitazioni canadesi di una buona parte dei prodotti dell’agroalimentare italiano. In questi giorni, migliaia di allevatori, agricoltori ma anche consumatori, sindacalisti e ambientalisti sono arrivati a Roma, per manifestare in piazza Montecitorio, e costringere i parlamentari ad un’ulteriore riflessione sull’accordo che, a loro dire, garantirà l’arrivo sul mercato italiano di grano duro e carne senza dazi e, cosa ancora più grave, di prodotti alimentari realizzati con sostante attive ormai vietate in Italia e negli altri Stati dell’Unione Europea.

#stopCeta. I prodotti a rischio plagio

#stopcetaColdiretti è scesa in piazza con Cgil, Arci, Adusbef, Movimento Consumatori, Legambiente, Greenpeace, Slow Food International, Federconsumatori, Acli Terra e Fair Watch, tutti unanimi nel ribadire il loro #stopCETA. Dito puntato contro l’indiscriminata liberalizzazione e deregolamentazione degli scambi con i canadesi che, invece, dovrebbe essere ratificata a giorni. A rischio ci sarebbero soprattutto alcuni eccellenze mangerecce come la fontina, il parmigiano, il prosciutto di Parma, l’asiago, le cui imitazioni canadesi potrebbero presto irrompere sul mercato italiano, creando quella confusione linguistica e di immagine di cui abbiamo già qui.

#stopCeta. Ragioni di sicurezza alimentare

Ma non si tratta solo di una questione di immagine o di nomi. È una questione di sicurezza alimentare. Secondo le indicazioni di Coldiretti, le aziende canadesi utilizzando un numero rilevante di sostanze attive vietate nel Ue. Gran parte di queste sono molecole risalenti agli anni ’70 vietate nell’Unione da circa 20 anni: l’Acefato, il Carbaryl, il Carbendazim, il Fenbutatin oxide, il Paraquat l’Acido solforico, tutte sostante tossiche e in molti casi cancerogene. Non solo. In Canada vi è un diffuso impiego di Ogm nei campi e di ormoni negli allevamenti, pratiche anch’esse vietate in Italia. Ulteriori ragioni per ribadire #stopCETA.

 #stopCeta. Le dichiarazioni del ministro Martina

Favorevole all’accordo, il ministro Martina che non trova ragioni per dire #stopCETA. “Penso che dobbiamo guardare all’accordo commerciale con il Canada come ad un punto di partenza, come un’opportunità. E’ giusto discuterne, alzare l’attenzione, monitorare la situazione, ma abbiamo bisogno di buoni accordi, che ci aiutino a difendere meglio le nostre produzioni di qualità in quei mercati e che garantiscano una partnership non solo commerciale tra Europa e Canada. Vedo nel Ceta la possibilità di iniziare a fare un lavoro serio di maggiore tutela delle nostre produzioni in quei mercati”. “Siamo qui alla manifestazione promossa dalla Coldiretti per salvaguardare ciò che abbiamo conquistato negli anni per le imprese, per le produzioni d’eccellenza agroalimentari e per i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori – ha detto Susanna Camusso, segretario generale Cgil, in prima linea per dire #stopCETA.
fonte originale principale: www.greenreport.it

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La top 10 degli chef stellati italiani che guadagnano di più. Volti noti, ma con qualche sorpresa. https://www.business.it/la-top-10-degli-chef-stellati-italiani-che-guadagnano-di-piu-volti-noti-ma-con-qualche-sorpresa/ Wed, 05 Jul 2017 06:03:24 +0000 https://www.business.it/?p=10046 Non basta essere volti noti del piccolo schermo: gli chef stellati italiani con fatturato più elevato controllano e svolgono tutta una serie di attività collaterali che gli permettono di guadagnare decine di milioni di euro. Imperversano su molti canali televisivi, dispensando consigli per la preparazione di piatti semplici, ma sempre di alto livello. Gli chef… Leggi tutto »La top 10 degli chef stellati italiani che guadagnano di più. Volti noti, ma con qualche sorpresa.

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Non basta essere volti noti del piccolo schermo: gli chef stellati italiani con fatturato più elevato controllano e svolgono tutta una serie di attività collaterali che gli permettono di guadagnare decine di milioni di euro.

Imperversano su molti canali televisivi, dispensando consigli per la preparazione di piatti semplici, ma sempre di alto livello. Gli chef stellati italiani sono le nuove star dei palinsesti e, come tali, noti tanto quanto i più illustri personaggi dello spettacolo. E, alla stregua di questi ultimi, dai guadagni altrettanto cospicui.
Tali risultati, però, non dipendono esclusivamente della notorietà acquisita. È ovvio che l’ampiezza del giro d’affari dipenda in prima battuta dalla qualità della loro cucina. Ma quel che fa la differenza, e decreta il vero successo di uno chef, è l’aver conquistato uno o più riconoscimenti internazionali, ovvero – il più importante – le “leggendarie” stelle Michelin.
Uno studio della società di consulenza Jfc, relativo al 2016, ha analizzato il valore di una stella Michelin in termini di ritorno economico per lo chef ed il ristorante (o i ristoranti) che gestisce. E il risultato è davvero sorprendente: la presenza nella “guida rossa”, infatti, porta un incremento del 50% nei ricavi.

La guida Michelin raccoglie tutti i nomi degli chef stellati italiani
Immagine tratta da: affaritaliani.it

La ricerca è partita dall’individuare il numero complessivo dei ristoranti stellati. Ne sono stati conteggiati 334 e, tra questi, selezionati 50 per i quali è stata condotta l’analisi del bilancio, e 60 per i quali è stata condotta un’intervista al titolare.
È emerso che una stella riesce a generare mediamente un fatturato di 708mila euro, grazie ad un afflusso di circa 6.300 clienti l’anno, divisi tra italiani (52,6%) e stranieri (47,4%), con una spesa pro-capite di 112 euro.
«I benefici dell’ottenimento della stella – afferma Massimo Feruzzi, amministratore unico di Jfc e responsabile della ricerca – sono sia diretti, sia indiretti. L’ottenimento della prima stella, in media, determina un incremento di fatturato del 53,2%. Per la seconda e la terza stella gli incrementi sono meno significativi, ma comunque consistenti: rispettivamente +18,7% per chi passa da 1 a 2 stelle e +25,6% per chi ottiene la terza stella».

Chef stellati italiani: i primi 10 per fatturato

Stabilita la stretta correlazione tra incremento dei ricavi e numero di stelle conquistate, vediamo qual sono i primi 10 chef stellati italiani per fatturato.
Partendo dal fondo, al decimo posto troviamo Moreno Cedroni, che con il ristorante Madonnina del Pescatore a Senigallia (Ancona), e altre attività, fattura 2,6 milioni di euro.
Al nono posto, lo chef del ristorante del Mudec (il museo delle culture di Milano), Enrico Bartolini, che con 4 stelle Michelin, ed altri tre locali, raggiunge un fatturato di 2,7 milioni di euro.
L’ottavo posto è di Niko Romito, chef a tre stelle. Il suo giro d’affari è di 3,7 milioni di euro, conquistato grazie al ristorante Reale a Castel di Sangro (L’Aquila) e ad una serie di attività collaterali – tra cui anche corsi di formazione.

Massimo Bottura:altro volto noto tra gli chef stellati italiani
Immagine tratta da: myluxury.it

In settima posizione, il primo volto noto. Si tratta di Massimo Bottura, che con la sua Osteria Francescana ha ottenuto, proprio nel 2016, il premio per il miglior ristorante del mondo. Lo chef vanta tre stelle e un fatturato pari a 4,9 milioni.
Segue, al sesto posto, un altro personaggio che, tra i tanti chef stellati italiani, sta conquistando le platee televisive: Antonino Cannavacciuolo non è solo un giudice della trasmissione MasterChef, ma è soprattutto l’attento gestore di Villa Crespi a Orta San Giulio (Novara), che arriva a fatturare 5,2 milioni di euro.
La quinta posizione è di Andrea Berton, allievo di Gualtiero Marchesi. Lo chef ha all’attivo una stella per il ristorante Berton (Milano), che “vale” 5,4 milioni di euro.
Quarto posto occupato da Giancarlo Perbellini, lo chef proprietario di “Casa Perbellini” a Verona, ristorante a due stelle di cui è anche proprietario. Guadagna, in tutto, 6 milioni di euro.
Arrivati finalmente sul podio, il gradino più basso – a sorpresa – è occupato da Carlo Cracco, lo chef più telegenico in assoluto. Il suo fatturato ammonta a 7,5 milioni di euro, provenienti dalle tre società di cui è a capo.
La medaglia d’argento, invece, appartiene alla Famiglia Alajmo, il cui fatturato supera gli 11 milioni di euro. Gli Alajmo possiedono ben dieci ristoranti, tra l’Italia e la Francia, capitanati e gestiti dai fratelli Raffaele e Massimiliano.
La famiglia Cerea al primo posto tra gli chef stellati italiani con fatturato maggiore
Immagine tratta da: affaritaliani.it

In vetta, infine, la Famiglia Cerea, il cui ristorante Da Vittorio a Brusaporto (Bergamo) vanta tre stelle. Il fatturato della famiglia sfiora i 15 milioni di euro e si deve ad una serie di attività diversificate, che operano in diversi Paesi sparsi per il mondo.
 
Nondimeno, come ben evidenzia la ricerca Jfc, al di là dell’aspetto prettamente industrial-culinario, i grandi chef stellati italiani hanno al loro attivo anche i cachet per le apparizioni televisive, le consulenze (gli incassi possono arrivare a 180mila euro), le partnership, le conferenze, gli showcooking (il cachet legato alla loro presenza a un evento del genere varia dai 4.500 ai 32mila euro) la produzione e la vendita di prodotti alimentari, la pubblicità.
E accanto a questi benefici extra-ristorante, vi sono tutta un’altra serie di benefici indiretti, legati al valore che un ristorante stellato apporta al proprio territorio. Lo studio Jfc ha stimato che i pernottamenti e lo shopping nelle zone in cui sono presenti chef stellati genera un fatturato medio di 844mila euro.
Vantaggi per sé, quindi, ma anche per le comunità a cui appartengono.
Fonte originale principale: businessinsider.com

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O è latte o è di soia. Nuove regole della Corte Ue https://www.business.it/o-e-latte-o-e-di-soia-nuove-regole-dalla-corte-ue/ Tue, 20 Jun 2017 06:02:58 +0000 https://www.business.it/?p=9601 O è latte o è di soia. Linea dura della Corte di Giustizia dell’Unione Europea contro i prodotti, puramente vegetali, che però usano denominazioni come ‘latte’, ‘crema di latte’, ‘burro’, ‘panna’ o ‘formaggio’. Secondo i giudici europei, solo i prodotti caseari, realizzati da alimenti di origine animale, possono fregiarsi di queste denominazioni. Non sono ammesse [...]

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O è latte o è di soia. Linea dura della Corte di Giustizia dell’Unione Europea contro i prodotti, puramente vegetali, che però usano denominazioni come ‘latte’, ‘crema di latte’, ‘burro’, ‘panna’ o ‘formaggio’. Secondo i giudici europei, solo i prodotti caseari, realizzati da alimenti di origine animale, possono fregiarsi di queste denominazioni. Non sono ammesse nemmeno le soluzioni linguistiche come ‘formaggio vegetale’ o ‘burro di fotu’: o è latte o è di soia, insomma.

Formaggio vegetale. Il caso tedesco

Il caso era stato sollevato in Germania ad un’associazione, la Verband Sozialer Wettbewerb, che si occupa di contrasto alla concorrenza sleale e che ha denunciato un’azienda tedesca che produce e distribuisce alimenti vegetariani e vegani fra cui: il soyatoo burro di tofu, il formaggio vegetale, detto anche veggie-cheese e altri prodotti di origine vegetale con denominazioni simili, che richiamano, invece, a origine animale. Secondo la Verband Sozialer Wettbewerb tali denominazioni sono sleali e non in linea con la normativa dell’unione europea sulla denominazione del latte e dei suoi derivati. La società veg finita sotto accusa ha tentato di difendersi precisando che tutte le denominazioni usate riportano, ben in evidenza, l’aggettivo ‘vegetariano’ o ‘vegano’. Per l’Ue, tali precisazioni, sono ancora troppo poco incisive. Di qui, la necessità di un ulteriore dettaglio in etichetta: o è latte o è di soia.

O è latte o è di soia. Il plauso della Coldiretti

“Inganna i consumatori e genera confusione l’uso della parola latte per bevande vegetali, come quello alla soia”, sottolinea la Coldiretti che rivela: le bevande di soia hanno raggiunto in Italia un consumo di 198 milioni di euro, con un incremento del 7,4%. ‘La decisione dei giudici europei riconosce il valore delle norme europee che impediscono di chiamare latte ciò che non è di origine animale tranne specifiche eccezioni’. Anche per Coldiretti, dunque, o è latte o è di soia. ‘Non possono essere chiamati con nome di origine animale. La norma riguarda, in particolare, i latticini. L’inganno colpisce il 7,6% degli italiani che seguono questo tipo di diete, un mercato spinto dalle intolleranze  ma alimentato anche dalle ‘fake news’ diffuse in rete, secondo le quali il latte sarebbe dannoso perché è un alimento destinato all’accrescimento di cui solo l’uomo, tra gli animali, si ciba per tutta la vita’. Il caso sembra, seppure con accenti diversi, simile a quella dell’olio di palma, il cui volume di vendita è rapidamente crollato anche per effetto delle scelte ultime dei consumatori. ‘In realtà – conclude Coldiretti – il latte di mucca, capra o pecora rientra da migliaia di anni nella dieta umana, al punto che il genoma si è modificato per consentire anche in età adulta la produzione dell’enzima deputato a scindere il lattosio, lo zucchero del latte’.
 

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Guida al Management del Food e Wine 2a parte https://www.business.it/guida-al-management-del-food-e-wine-2a-parte/ Tue, 20 Jun 2017 06:00:27 +0000 https://www.business.it/?p=9530 In questa seconda parte della Guida al management di Food e Wine continuiamo la nostra chiacchierata con Gabriele Troilo, Professore associato di Marketing presso l’Università Bocconi di Milano e presso la SDA Bocconi School of Management, e Associate Dean della Open Market and New Business Division della SDA Bocconi. Dopo un primo excursus su alcune… Leggi tutto »Guida al Management del Food e Wine 2a parte

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In questa seconda parte della Guida al management di Food e Wine continuiamo la nostra chiacchierata con Gabriele Troilo, Professore associato di Marketing presso l’Università Bocconi di Milano e presso la SDA Bocconi School of Management, e Associate Dean della Open Market and New Business Division della SDA Bocconi.
Management_Food e Wine
Dopo un primo excursus su alcune caratteristiche distintive dell’aziende italiane dell’agroalimentare, e un’analisi strategica del brand “Made in Italy”, diamo uno sguardo a cosa ci riserva il futuro e in particolare al mondo del vino, uno dei più comparti più in forma dell’economia nazionale.

Quali sono i trend per il futuro nel settore del Food e Wine?

Faccio una premessa. Nella teoria dell’innovazione si dice che le innovazioni possono essere di due tipi: “supply driven”, guidate dall’alto o da fattori esterni come la tecnologia, e “demand driven”, guidate dalle esigenze dei consumatori. Molte delle innovazioni cui stiamo assistendo negli ultimi anni sono supply driven: robotica, intelligenza artificiale, IoT sono tutte tecnologie in incubazione da molto tempo che stanno arrivando ora ai consumatori. Proverò quindi a rispondere alla domanda parlando di trend e innovazioni “demand driven”, relativi cioè al punto di vista dei consumatori e alla loro percezione soggettiva.
Io personalmente vedo due macro tendenze: una, generalizzata, all’aumento della qualità della vita e quindi di conseguenza anche all’aumento della qualità dei prodotti agroalimentari che consumiamo; l’altra relativa a una diffusa contaminazione di prodotti, gusti e culture alimentari diverse che convergono sul nostro territorio nazionale.
Sulla prima, dallo sport all’alimentazione, è indubbio che ci sia una maggiore attenzione alla salute e al benessere da parte di tutti. I consumatori associano a una migliore qualità della vita un’alimentazione più corretta e salutare, e questo ha portato a fenomeni come il biologico, i cibi light, i vini naturali. Dal dopoguerra in poi in Italia si è raggiunta un’aspettativa di vita altissima, una mortalità e un tasso di malattie tra i più bassi del mondo, tutte conquiste direttamente collegate alle nostre abitudini alimentari e al nostro stile di vita in generale.

Sulla seconda, io vedo una generalizzata predisposizione alla contaminazione: dal punto di vista del gusto gli italiani stanno diventando sempre meno tradizionalisti e si aprono volentieri a cucine diverse e a prodotti esotici. I miei studenti ventenni mangiano indifferentemente sushi o pizza; anzi, forse ormai mangiano più sushi che pizza. Parallelamente, questa apertura alla diversità porta con sé anche una de-standardizzazione dei prodotti del Food e Wine: oggi al mercato rionale come al supermercato non troviamo più “i pomodori” in generale, ma troviamo tantissime varietà di pomodori: varietà locali che si differenziano per territorio di produzione e quindi per proprietà organolettiche, varietà stagionali che si differenziano in base al periodo di produzione, varietà geografiche di uno stesso alimento (gli avocado israeliani sono diversi da quelli cileni o peruviani, per esempio). Prendiamo l’olio extravergine di oliva: ormai lo scegliamo in base alle cultivar e alla zona di produzione, così come il caffè. I consumatori cioè sono esposti a una varietà di prodotti prima impensabile, e questa maggiore offerta stimola una maggiore apertura culturale da parte di tutti.
Sono più scettico invece nei confronti di trend come il delivery, che sono tipici di altre culture: in Italia siamo molto legati alle nostre abitudini alimentari ed è difficile che un’azienda o un prodotto le cambi. Tuttavia, se pensiamo al fatto che la più grande catena di pizza a domicilio del mondo, Dominos Pizza, ha aperto con successo anche in Italia, ci rendiamo conto di come in effetti ci sia spazio anche per delle novità centrate sia sul prodotto che sulle modalità di consumo.

Qual è la situazione del vino italiano? Si parla spesso dell’incapacità delle aziende italiane di adottare strategie di marketing vincenti e di un prezzo medio molto basso

Innanzitutto ci sono alcuni casi particolarmente felici come quello del Prosecco: all’estero ormai è Prosecco-mania, e sembra che le vendite del nostro spumante nazionale abbiano superato quelle dello Champagne. E poi credo che la situazione vada analizzata approfonditamente: se prendiamo tutto il vino venduto nel mondo, vediamo che circa il 75% costa meno di 3 dollari al litro. Su questi mercati l’Italia ha sempre avuto una competitività forte grazie a una produzione con quantitativi importanti e a una qualità media molto elevata (almeno dagli anni ’90 in poi). Negli ultimi anni anche altri produttori sono entrati in questa fetta di mercato: ci sono i vini cileni e argentini ad esempio che sono buoni e costano ancora meno dei nostri. Il vino italiano ha ancora un posizionamento molto basso sul mercato, ma è pur vero che quella dei vini a basso costo è la parte più ampia del mercato. E non è detto che l’Italia sia in grado di competere nella fascia di mercato dei “fine wines”, che è invece un mercato molto ristretto.
Management Food e Wine
La qualità dei vini italiani è cresciuta in termini straordinari negli ultimi anni, e gli enologi fanno vini sempre più adatti ai mercati internazionali, quindi direi che il comparto gode di ottima salute
. Una tendenza che secondo me andrebbe superata è quella di identificare la qualità con le denominazioni di origine: alcuni grandi produttori di vino del mondo sono usciti dalla strettoia dei disciplinari, che di per sé indicano che un vino è fatto in un certo modo, ma non che sia buono.
Io credo che le denominazioni di origine siano importanti, ma non possiamo usarle come una gabbia protettiva nei confronti dell’esterno: se in Cina vogliono realizzare il Parmigiano facessero pure, sta a noi dimostrare che il nostro è più buono. Quel che voglio dire è che è giusto tutelare i marchi e i prodotti italiani, ma al contempo dobbiamo uscire da una cultura imprenditoriale anti-competitiva che cerca di “conservare” l’italianità dei prodotti limitando le innovazioni altrui.
Il management del Food e Wine oggi si gioca su vari fronti, ma indubbiamente è fondamentale per le aziende italiane crescere in termini di competenze manageriali e organizzative per poter fronteggiare un mercato internazionale sempre più competitivo, sfruttare appieno le tecnologie oggi disponibili e intercettare, se non anticipare, le esigenze dei consumatori.

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Guida al Management del Food e Wine 1a parte https://www.business.it/guida-al-management-del-food-e-wine-1a-parte/ Sun, 18 Jun 2017 07:00:45 +0000 https://www.business.it/?p=9536 L’importanza del settore agroalimentare per l’economia del nostro paese è fatto noto (il fatturato del 2017 pare si attesterà sui 135 miliardi di euro) ma, nonostante il forte appeal del brand “Made in Italy” per tutto ciò che riguarda cibo e vino, non è facile per le aziende italiane del comparto affrontare i mercati contemporanei.… Leggi tutto »Guida al Management del Food e Wine 1a parte

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L’importanza del settore agroalimentare per l’economia del nostro paese è fatto noto (il fatturato del 2017 pare si attesterà sui 135 miliardi di euro) ma, nonostante il forte appeal del brand “Made in Italy” per tutto ciò che riguarda cibo e vino, non è facile per le aziende italiane del comparto affrontare i mercati contemporanei.
Dalla questione delle dimensioni (per la maggior parte si tratta di imprese medio-piccole spesso a gestione familiare) a quella della cultura organizzativa di base, le aziende italiane dell’agroalimentare presentano caratteristiche e modelli manageriali che andrebbero integrati con le esigenze del mercato internazionale e con i desiderata dei consumatori, che in tema di cibo e vino sono sempre più esigenti e sensibili.
Di management del Food e Wine abbiamo parlato con Gabriele Troilo, Professore associato di Marketing presso l’Università Bocconi di Milano e presso la SDA Bocconi School of Management, e Associate Dean della Open Market and New Business Division della SDA Bocconi.
In una guida in due parti abbiamo messo a fuoco alcune caratteristiche tipiche delle imprese italiane del settore, i punti di forza e quelli di debolezza e alcuni trend sui quali vale la pena concentrarsi per aumentare ulteriormente una capacità di mercato già ottima e predisporsi alle innovazioni che il mondo contemporaneo richiede.
 

Professor Troilo, qual è la situazione dell’agroalimentare italiano?

Dal punto di vista delle performance della filiera, intesa dalla produzione delle materie prime fino alla vendita al consumo, la situazione è molto positiva, direi quasi florida. Il comparto agroalimentare contribuisce all’export italiano in maniera significativa, e negli ultimi anni questo dato ha portato a una consapevolezza diffusa presso le aziende che il vero grande mercato è quello estero, elemento che, a sua volta, ha favorito un salto di qualità imprenditoriale generale. Qui alla Bocconi per la prima volta abbiamo lanciato un programma per imprenditori agricoli che si chiama “Agribusiness”: i destinatari sono manager di aziende agroalimentari che vogliono aumentare le proprie competenze e uscire dall’idea di una gestione aziendale basata sulle capacità del singolo imprenditore, spostandosi piuttosto verso un’idea di organizzazione più strutturata fondata su ruoli e competenze definite. Il partecipante tipo è un imprenditore di seconda/terza generazione che sente l’esigenza di acquisire competenze manageriali in grado di guidarlo nelle sue azioni quotidiane: non è ancora lo standard per tutti gli imprenditori agricoli, ma ci si sta movendo nella direzione giusta.
Management Food e Wine
Dal punto di vista dell’innovazione invece, le imprese italiane sono cronicamente in ritardo. Nei prossimi anni la filiera agricola sarà sconvolta dall’innovazione: al momento c’è un eccesso di domanda rispetto all’offerta, e il contributo dell’agribusiness al pianeta sarà di garantire risorse alimentari per tutti; obiettivo perseguibile grazie alle straordinarie tecnologie di cui disponiamo oggi. L’agricoltura così come è stata finora non può più rispondere a una domanda in continua crescita, e per questo necessariamente innoverà. Pensiamo all’agricoltura di precisione, alla meccanizzazione della raccolta di frutta e ortaggi attraverso i robot, alla misurazione delle necessità del terreno in base alle condizioni climatiche tramite droni: l’innovazione è uno dei vettori del futuro, ma su questo purtroppo le imprese italiane sono indietro. Per quanto stiano nascendo una serie di startup che lavorano sul tema dell’innovazione nell’agribusiness, per quanto soggetti come il Fondo Italiano Investimenti stiano sostenendo in maniera importante gli investimenti nel settore (e non lo farebbero se non si aspettassero ritorni adeguati), il vero limite all’innovazione per le imprese agricole italiane è la piccola dimensione. Per motivi storici la nostra agricoltura infatti è iper-frammentata, e molti investimenti richiedono una scala di dimensione che le imprese italiane non hanno. Una soluzione a questo problema è l’aggregazione delle piccole imprese in consorzi, associazioni, reti e network vari, ma su questo c’è una resistenza culturale fortissima che evidenzia come il problema vero non sia la dimensione piccola in quanto tale, ma piuttosto la difficoltà a superare tale dimensione attraverso la collaborazione con altri soggetti.
Il fatto che l’agricoltura italiana sia stata per anni (e in parte ancora lo è) dipendente dalle politiche nazionali ed europee di sussidio non è un incentivo alla crescita intesa nei termini di una migliore organizzazione aziendale. Oggi chi innova lo fa per competenze e stimoli personali più che organizzativi, mentre invece il vero salto di qualità avviene quando l’impresa intera si orienta verso una politica volta all’innovazione, aumentando le proprie risorse e investendo in beni e strumenti che la favoriscano (sulle agevolazioni fiscali messe a disposizione dal governo abbiamo parlato qui).
 
Aggiungo inoltre una riflessione: dobbiamo distinguere tra i concetti di “piccolo” e “nicchia”. La piccola dimensione aziendale non significa necessariamente che i prodotti siano di nicchia: per nicchia si intende una differenziazione del prodotto rispetto ai propri competitor riconosciuta presso un determinato segmento di mercato, mentre piccolo significa piccolo e basta. Io credo che il superamento delle piccole dimensioni dovrebbe essere un obiettivo dl sistema dell’agribusiness italiano e delle singole imprese che vogliono innovare, accedere ai mercati internazionali e al grande mercato della GDO che richiede necessariamente delle modalità di produzione, distribuzione e vendita che le piccole aziende ad oggi non possono di sostenere. Non è sempre la tecnologia che crea innovazione, quanto piuttosto una qualsiasi variazione di valore nella proposizione dei prodotti sul mercato: se guardiamo al caso del biologico, ad esempio, l’Italia è stata in grado di costruirsi un’identità forte sul mercato, e lo ha fatto come “sistema”: questo è un ottimo esempio di come si può innovare nel settore agroalimentare anche senza focalizzarsi necessariamente sulle innovazioni tecnologiche.

Quindi secondo lei come possono le imprese italiane del Food e Wine fare la differenza nel contesto globale?

Io credo che nel caso dell’Italia la chiave di volta sia il sistema paese nel suo complesso. L’Italia ha un’immagine fortissima riconosciuta a livello globale legata alla qualità della vita, che nel nostro paese è superiore (o riconosciuta come tale) a qualsiasi altro posto del mondo. Una parte di questa eccezionale qualità della vita è legata sicuramente al nostro modo di alimentarci: la dieta mediterranea, gli ortaggi freschi, il pesce, l’olio extravergine di oliva, il vino, sono dei capisaldi della alimentazione di cui tutti ormai conoscono i benefici. Quando i nostri prodotti arrivano sui mercati esteri si portano dietro questo sostrato culturale (il famoso “Italian life style”) che li rende immediatamente riconoscibili e apprezzati a tutte le latitudini. In generale, i consumatori stranieri non percepiscono lo scarto di qualità tra un prodotto italiano vero e uno “italian sounding”, ma conoscono e acquistano l’italianità del prodotto intesa proprio nel senso di “Made in Italy” e di “Italian life style”, quella capacità cioè tutta italiana di godersi la vita e stare bene che sta dietro e alla base di ogni nostro prodotto.
Management Food e Wine 4
È un vantaggio competitivo che ereditiamo quasi nostro malgrado, e che probabilmente per essere valorizzato al massimo dovrebbe essere integrato con altre filiere come quella dell’accoglienza, del turismo e della creatività in generale. La qualità della vita italiana infatti è data dalla combinazione di bello, buono, piacevole, fattori che sono presenti nei prodotti italiani grazie a una creatività espressa attraverso l’arte, la moda e l’artigianalità che ci differenzia rispetto al resto del mondo e ci rende unici.
Il punto però è che questo enorme patrimonio culturale e conoscitivo ha bisogno di organizzazione per essere valorizzato e promosso: deve essere cioè “sistematizzato” e gestito con competenze manageriali che spesso mancano alle nostre aziende tanto che si arriva al paradosso, purtroppo, in cui l’italianità come punto di forza coincide con l‘italianità come punto di debolezza. Il Made in Italy si associa, anche in senso negativo, a disorganizzazione, arretratezza culturale e imprenditoriale, scarsa cultura manageriale necessaria a competere nei mercati contemporanei. La cultura artigianale di saper fare qualcosa non significa anche saper amministrare, gestire, promuovere e vendere: il management del Food e Wine non coincide cioè col produrre ottimi prodotti agroalimentari.
Questa lacuna tipicamente italiana nell’organizzazione aziendale è trasversale a tutti i settori, ma in quello agricolo assume dimensioni rilevanti proprio a causa delle dimensioni mediamente piccole delle aziende del comparto. Si tratta di una carenza culturale nel disegno e nell’implementazione di tutti quei processi aziendali che rendono l’impresa efficace ed efficiente: dall’assegnazione di ruoli e responsabilità alla gestione delle risorse, dal procurement alla vendita, fino alla distribuzione. In tutti i comparti e le funzioni aziendali i criteri di scelta dovrebbero essere d’ora in avanti guidati da competenza e formazione, da una conoscenza approfondita delle materie di riferimento in un’ottica manageriale più che familiare o strettamente personale.

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Cibo in laboratorio: ecco la pasta che cambia forma https://www.business.it/cibo-in-laboratorio-ecco-la-pasta-che-cambia-forma/ Fri, 16 Jun 2017 06:36:22 +0000 https://www.business.it/?p=9504 Se fino ad ora abbiamo usato la pentola, acqua e gas per cuocere la pasta, fra qualche tempo potremmo anche scegliere la forma. Dagli Stati Uniti arriva un tipo di pasta in grado di cambiare forma nel processo di cottura. Il progetto è stato sviluppato al Mit (Massachusetts Institute of Technology) e porta le firme… Leggi tutto »Cibo in laboratorio: ecco la pasta che cambia forma

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Se fino ad ora abbiamo usato la pentola, acqua e gas per cuocere la pasta, fra qualche tempo potremmo anche scegliere la forma. Dagli Stati Uniti arriva un tipo di pasta in grado di cambiare forma nel processo di cottura.
Il progetto è stato sviluppato al Mit (Massachusetts Institute of Technology) e porta le firme di tre asiatici: il professore Hiroshi Ishii, il ricercatore Wen Wang e  la designer cinese Lining Yao. Ha partecipato anche la start-up  Food + Future con sede a Boston. Tutto è partito da un esperimento sulla reazione dei batteri all’umidità. Gli scienziati hanno notato che a contatto col vapore acqueo il batterio cambia forma, sia ingrandendosi che restringendosi. Così, dopo aver testato questo metodo su materiali di cellulosa, hanno creato una pasta di gelatina con la stampante 3D. che al giorno d’oggi si usa per molteplici fabbricazioni, dai motori alle protesi, fino a prodotti dolciari. Ishii e Wang hanno creato una tagliatella con due diverse densità di gelatina in cima più densa, in fondo più leggera. Nella cottura il punto più alto ha fatto una specie di arco, mentre in basso la cottura è stata normale.
pasta
Visti i risultati hanno deciso di creare varie tracce in base al contenuto di gelatina per ottenere vari tipi di pasta come penne e spaghetti. Oltre che risparmiare sulla scelta della pasta sugli scaffali dei supermercati, secondo i due si risparmia anche sugli imballaggi. “Abbiamo fatto dei calcoli su delle confezioni di maccheroni e pasta -dichiara Wen Wang- e abbiamo appurato che perdono circa il 67% del proprio volume. “Questa invenzione-continua- può essere uno stimolo anche per salvaguardare la forma e lo spazio del cibo”. La pasta è stata presentata ufficialmente nel maggio scorso presso la Conferenza sulle relazioni tra gli esseri umani e il computer. Per affinare anche il fattore estetico si sono rivolti alla desinger Lining Yao, attiva anche nella fabbricazione di maglie e tessuti, che il 7 giugno scorso ha presentato il progetto al”Meet the Media Guru” al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano.
scienziati
La cucina italiana è da sempre famosa nel mondo. Spesso all’estero i nostri prodotti vengono cucinati male o imitati. Nonostante sia scientificamente un’invenzione degna di nota, il gusto alla gelatina non è dei migliori. D’altronde noi italiani siamo abituati alla pasta lavorata a mano o comunque, anche se industriale, a marchio Made in Italy.
Intanto insieme allo chef Matthew Delisle del ristorante L’Espalier di Boston, la squadra ha realizzato due piatti con la pasta in 3D: dischi trasparenti di gelatina aromatizzati al plancton all’inchiostro di seppia e strisce di fettuccine realizzate con due strati di gelatina fusi insieme a temperature diverse.
Fonte principale: corriere.corriereinnovazione.it

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Meno olio di palma e più burro: come cambiano le ricette degli italiani https://www.business.it/meno-olio-di-palma-piu-burro-come-cambiano-le-ricette-degli-italiani/ Sun, 11 Jun 2017 07:00:05 +0000 https://www.business.it/?p=9375 Le aziende dolciarie consumano sempre meno olio di palma e sempre più burro: una scelta dettata da consumatori sempre più esigenti e attenti all’etichetta. Sempre meno olio di palma, sempre più burro da consumare.  Sono i dati forniti da Coldiretti, presentati in occasione della Giornata Mondiale del Latte, istituita dalla Fao nel 2001 e celebrata, anche… Leggi tutto »Meno olio di palma e più burro: come cambiano le ricette degli italiani

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Le aziende dolciarie consumano sempre meno olio di palma e sempre più burro: una scelta dettata da consumatori sempre più esigenti e attenti all’etichetta.

Sempre meno olio di palma, sempre più burro da consumare.  Sono i dati forniti da Coldiretti, presentati in occasione della Giornata Mondiale del Latte, istituita dalla Fao nel 2001 e celebrata, anche in Italia, lo scorso 1° giugno. Complici le campagne on line e off line sui pericoli, per l’ambiente e per l’uomo, legati alla produzione e al consumo dell’olio di palma, le aziende dolciarie, principali utilizzatrici tanto di olio di palma quanto di burro, adeguano le loro ricette, per essere in linea con le tendenze e le richieste dei consumatori finali. Ecco allora che si usa sempre meno olio di palma e sempre più burro: una piccola rivoluzione destinata ad avere conseguenze economiche importanti per l’economia nazionale e internazionale.

Meno olio di palma nei prodotti dolciari. Ecco come cambiano le ricette degli italiani

Meno olio di palmaA livello nazionale, dice Coldiretti, molte aziende che producono biscotti e altri prodotti dolci da forno sono diventante ‘olio di palma free’ oppure hanno deciso di limitarne in consumo. I numeri sono impressionanti. Le importazioni di olio di palma per uso industriale alimentare, nei primi due mesi del 2017, sono diminuite del 41%. La drastica riduzione è strettamente correlata alle scelte dei consumatori finali che sempre più spesso si informano, leggono le etichette e evitano di acquistare prodotti alimentari che contengono olio di palma. Tale diffidenza, che riguarda ben 6 italiani su 10, spinge sempre più aziende a escludere l’olio di palma dalle proprie ricette. Una riduzione così consistente inverte la tendenza degli ultimi 20 anni. Dal 1997 in poi, le importazioni di olio di palma ad uso alimentare sono aumentate con costanza in Italia, fino quasi a raddoppiare, raggiungendo nel 2016 la quota di 500 milioni di chili.

Sempre meno olio di palma. S’impenna il consumo di burro

Meno olio di palmaMa se le aziende usano meno l’olio di palma cosa usano in alternativa? La risposta è: il burro. Le quotazioni del burro alla produzione in Italia, nell’ultimo mese, sono raddoppiate e, rispetto allo stesso periodo del 2016, sono aumentate del 90%. I dati arrivano dalla Borsa di Lodi dove anche il latte spot, sfuso, ha superato i 41 centesimi al litro. Solo tre mesi fa, la quota era a 37 centesimi al litro, riferisce la Coldiretti. La tendenza, tuttavia, è internazionale. Sempre secondo Coldiretti, il consumo di burro nel resto del mondo è cresciuto nel primo trimestre del 2017 rispetto allo stesso periodo del 2016: più 7% negli Stati Uniti, più 5% in Argentina, più 4% in Asia e in Australia. “Un riposizionamento importante – commenta a riguardo Coldiretti – che avviene a poco più di un mese dall’entrata in vigore della legge che obbliga ad indicare in etichetta l’origine per tutti i prodotti lattiero caseari, da noi fortemente voluta, che consente di fare scelte consapevoli in un mercato invaso di prodotti stranieri spacciati come italiani”.
Fonte originale principale: www.repubblica.it

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SO Lunch, la piattaforma di cucina diffusa per pranzare in compagnia e non alla scrivania https://www.business.it/so-lunch-la-piattaforma-di-cucina-diffusa-per-pranzare-in-compagnia-e-non-alla-scrivania/ Fri, 02 Jun 2017 07:00:50 +0000 https://www.business.it/?p=9115 Stanchi di consumare il pranzo in completa solitudine, tra una scartoffia e l’altra, con poco tempo a disposizione? La soluzione a questo “annoso” problema oggi la offre una piattaforma di cucina diffusa che permette (e promette) di rendere il momento della pausa pranzo finalmente rilassante, appagante e a buon prezzo. SO Lunch – questo il… Leggi tutto »SO Lunch, la piattaforma di cucina diffusa per pranzare in compagnia e non alla scrivania

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Stanchi di consumare il pranzo in completa solitudine, tra una scartoffia e l’altra, con poco tempo a disposizione? La soluzione a questo “annoso” problema oggi la offre una piattaforma di cucina diffusa che permette (e promette) di rendere il momento della pausa pranzo finalmente rilassante, appagante e a buon prezzo.
SO Lunch – questo il nome della piattaforma – è nata dall’idea di tre soci fondatori (Luisa Galbiati, Ceo; Elena Seccia, Coo; Roberto Marmo, Cto) sostanzialmente per soddisfare un’esigenza semplice: riuscire a fare in modo che tutte le persone che lavorano, e hanno poco tempo per consumare un pasto durante la pausa pranzo, godano di questo momento in maniera poco stressante e senza subire un salasso economico.
I tre hanno rilevato che in Italia ben 12 milioni di persone pranzano tutti i giorni fuori casa; al contrario, ci sono 17 milioni di persone che invece provvedono al pasto di mezzogiorno, per sé e la propria famiglia, entro le mura domestiche, senza tener conto di categorie come i pensionati ed i disoccupati.
La cucina diffusa, allora, si è affacciata alle loro menti come valida e risolutiva alternativa – nel più ampio campo della sharing economy – per far incontrare bisogni, espressi o meno, di inclusione sociale e produzione di reddito. Come infatti spiegano i soci, attraverso la micro-ristorazione di prossimità è possibile creare una community trasversale per età, reddito, cultura.
L’esperienza offerta da SO Lunch, quindi, permette di socializzare, mangiare come a casa propria e guadagnare grazie all’economia diffusa.
“Con SO Lunch, tutti ottengono benefici perché diventano parte attiva del processo: chi è a casa ottiene un introito aggiuntivo, e il mantenimento e la costruzione di relazioni sociali, grazie ai pasti organizzati a casa propria.” racconta Luisa Galbiati “Chi va a pranzo in una cucina diffusa gode di un buon pranzo, in un ambiente familiare, sostenendo e facendo proprie tematiche di miglioramento sociale.”
Il progetto è partito inizialmente da Milano e Roma. Oggi è diffuso in tutta Italia, anche grazie alla campagna di crowdfunding promossa dal Comune di Milano, e per la quale SO Lunch è stata selezionata tra i 20 progetti a maggiore impatto sociale.

Come funziona la cucina diffusa di SO Lunch

Per diventare utente attivo di SO Lunch, come per la totalità delle piattaforme online, è necessario iscriversi. La cucina diffusa della piattaforma permette, quindi, di far incontrare le due tipologie essenziali di utenti: da un parte i SO Chef, coloro che sono casa all’ora di pranzo e cucinano offrendo un pasto a pagamento, dall’altra i SO Diner, ovvero chi lavora o studia nelle vicinanze e vuol godere di una pausa pranzo salutare e sociale.
L’interfaccia è molto semplice e intuitiva. Per i SO Diner è possibile effettuare una ricerca in base alla distanza, al menu e alle valutazioni ottenute da chi ospita. Dopodiché, una volta scelto il SO Chef che più si confà alle proprie aspettative, si procede alla prenotazione, che dovrà essere confermata dallo stesso SO Chef. Se quest’ultimo dà l’ok definitivo, il SO Diner può pagare direttamente tramite la piattaforma.

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Immagine tratta dal sito solunch.it

Un aspetto fondamentale, inoltre, riguarda il fatto che non c’è da preoccuparsi né per la sicurezza personale né per quella alimentare: la piattaforma, infatti, verifica le iscrizioni chiedendo la registrazione di un documento di identità per permettere a tutti di essere più tranquilli.
I fondatori si augurano che il loro progetto di cucina diffusa possa avere presto respiro internazionale. Un segnale evidente che fa presagire un futuro di tale portata arriva dal fatto che SO Lunch è stato tra i 30 finalisti (su 1.400 progetti) all’European Social Innovation Competition 2015.

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TUTTOFOOD 2017 a Milano dall’8 all’11 maggio https://www.business.it/tuttofood-2017-a-milano-dall8-all11-maggio/ Fri, 12 May 2017 07:07:29 +0000 https://www.business.it/?p=8725 Quella 4 all’11 maggio è una settimana importante per l’agroalimentare italiano: Milano infatti si è animata con una serie di eventi di respiro internazionale che, dopo Expo, la riportano al centro dell’attenzione internazionale per le tematiche del food e food innovation. TUTTOFOOD è la fiera internazionale del B2B dedicata al food&beverage che si tiene al [...]

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Quella 4 all’11 maggio è una settimana importante per l’agroalimentare italiano: Milano infatti si è animata con una serie di eventi di respiro internazionale che, dopo Expo, la riportano al centro dell’attenzione internazionale per le tematiche del food e food innovation.
TUTTOFOOD è la fiera internazionale del B2B dedicata al food&beverage che si tiene al polo fieristico di Rho dall’8 all’11 maggio. A cadenza biennale, la fiera è alla sua sesta edizione e vanta numeri importanti: nella passata edizione hanno partecipato oltre 78.000 visitatori, con più di 2.800 espositori da tutto il mondo in un’area di 180.000 metri quadrati. Certo, il 2015 era l’anno di Expo, ma l’appuntamento rappresenta ormai un momento importante per l’agroalimentare italiano e internazionale e la sfida quest’anno sarà ripetere, se non superare, i numeri dell’anno dell’Expo.
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Sono coinvolti tutti gli stakeholder del settore: aziende, cooperative, buyer, chef, medici e nutrizionisti, catene di distribuzione, camere di commercio e agenzie come l’ICE che, nell’ambito del suo mandato per la promozione dei prodotti italiani nel mondo, ha attivato relazioni importanti con i buyer esteri.
Il salone è diviso in settori: dal drink al bakery, dal lattiero-caseario ai surgelati, dalla carne all’olio, alla pasta, ai dolci. In ciascun settore sono presenti le Academy: spazi espositivi all’interno dei quali le aziende espositrici offrono show cooking, degustazioni e workshop a visitatori e buyer.
Un focus particolare è dedicato al settore lattiero-caseario, al quale l’Alleanza Cooperative Agroalimentare, con le sue 5000 aziende associate e un fatturato di 35 miliardi di euro (1/4 del fatturato complessivo del comparto), dedica grande attenzione visti gli importantissimi numeri del comparto: 700 imprese attive, 7 milioni di tonnellate di latte trasformato all’anno, una competenza ormai affermata nella produzione di formaggi DOP e un fatturato che ammonta a 7 miliardi di euro.
Da segnalare anche l’iniziativa dell’ICE che ha organizzato per TUTTOFOOD un incoming di 240 operatori esteri provenienti dalle più grandi catene di distribuzione mondiali: Metro dal Canada, City Super da Hong Kong, Walmart dagli USA, e molte altre dai mercati di Giappone, Australia, Nuova Zelanda. E proprio l’ICE ha sottoscritto un accordo con 18 buyer della catena Walmart, che distribuiranno un’ampia selezione di prodotti italiani tra olio, pasta, vini, con un unico brand in 3600 punti vendita degli USA.
TUTTOFOOD 2017
Sono quasi 20.000 gli appuntamenti prenotati tra buyer e aziende attraverso la piattaforma MyMatching, a dimostrazione che il comparto è attivo e che eventi come TUTTOFOOD sono strategici nel far incontrare domanda e offerta e favorire le relazioni internazionali.
L’agroalimentare italiano fattura oltre 135 miliardi di euro l’anno ed è un settore trainante della nostra economia. L’export nel 2016 ha raggiunto il record di 38 miliardi di euro di fatturato.

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I cibi più costosi al mondo: ecco la classifica delle prelibatezze dei ricchi https://www.business.it/i-cibi-piu-costosi-al-mondo-ecco-la-classifica/ Thu, 11 May 2017 06:00:43 +0000 https://www.business.it/?p=8703 Cibi più costosi al mondo: non solo ville, opere d’arte, yacht e macchine da corsa, ma esistono anche specialità e pregiate leccornie, per cui si può essere disposti a sborsare cifre astronomiche. Sempre che il conto in banca ce lo consenta. Il mercato del lusso, infatti, non conosce crisi ed il cibo, naturalmente, non fa… Leggi tutto »I cibi più costosi al mondo: ecco la classifica delle prelibatezze dei ricchi

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Cibi più costosi al mondo: non solo ville, opere d’arte, yacht e macchine da corsa, ma esistono anche specialità e pregiate leccornie, per cui si può essere disposti a sborsare cifre astronomiche.

Sempre che il conto in banca ce lo consenta.

Il mercato del lusso, infatti, non conosce crisi ed il cibo, naturalmente, non fa eccezione. Vere e proprie rarità culinarie, cibi più costosi al mondo, che non molte persone al mondo possono permettersi di acquistare, alimentano un business milionario che, a dispetto di una recessione economica globale sempre più conclamata, non conosce decadenza. Ecco quali sono i cibi più costosi al mondo, abbiamo scelto i primi per importanza (e, ovviamente, costo), proviamo a scoprirli, per semplice curiosità.

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Fugu

Tra i cibi di lusso, il pesce palla o Fugu, è considerato una vera prelibatezza. Anche se mangiarlo può essere molto rischioso. Il pesce è velenoso e, se non eviscerato in maniera corretta, può essere letale anche se cotto. In Giappone ne vanno letteralmente pazzi e ci sono cuochi che studiano anni per imparare a prepararlo. Il costo è di 75 euro a pesce, mentre una cena a base di Fugu si aggira sui 100 euro.

Caviale Albino

Circa 40mila dollari per un cucchiaino di caviale. Sì, avete capito bene. Ricavato dallo storione albino, un pesce rarissimo allevato proprio per la produzione di questo cibo da ricchi. Le uova vengono disidratate e ridotte in polvere, con aggiunta di polvere d’oro. Una vera follia.

Caviale Almas

Si tratta di una rarissima qualità di caviale proveniente dall’Iran, caratteristica che lo rende particolarmente costoso di per sé. In Europa l’unico rivenditore che importa questa particolare qualità è “The Caviar House&Prunier” a Piccadilly Circus, Londra. Venduto al chilogrammo in una confezione d’oro a 24 carati, costa 25mila dollari a confezione.

Miele Elvish

Prodotto in Turchia, è il più costoso del mondo e il suo prezzo al chilo è di 5.000 euro. Questa speciale varietà viene estratta nella valle di Saricayir, situata nel nord-est della Turchia. Il primo chilo di miele Elvish è stato venduto in Francia nel 2009 per 45mila euro. Un anno dopo un farmacista cinese ne comprò un altro chilo, al prezzo di 28mila euro.

Melone Yubari

Probabilmente è il frutto più caro del mondo. Lo Yubari è un melone giapponese, particolarmente dolce e raro. Solitamente, al momento della maturazione, non sono più di cento i meloni pronti per la commercializzazione e quello perfetto per forma e gusto è automaticamente il più caro. L’ultimo acquisto di questo tipo è costato ad un businessman 23mila dollari (circa 16.800 euro).

Caffè Kopi Luwak

E’ prodotto dalle bacche parzialmente digerite e defecate dallo zibetto delle palme, principalmente in Indonesia e Filippine. Si ha notizia di una caffetteria australiana che lo vende a 48 dollari a tazzina, vendendone circa quattro tazze a settimana, mentre un altro coffee shop di Londra propone un blend di Kopi Luwak e Jamaica Blue Mountain venduto a più di 50 euro. Tuttavia all’ingrosso il prezzo di acquisto è oscilla tra i 300 e 600 euro al chilo.

Tartufo Bianco di Alba

C’è anche un prodotto tipico italiano tra i cibi più costosi del mondo. Il tartufo è già di suo un tubero estremamente costoso, ma nessuno è paragonabile, per qualità e prezzo, al tartufo bianco di Alba (Piemonte). Un incredibile tartufo bianco da circa un chilogrammo e mezzo di peso è stato recentemente venduto ad un investitore di Hong Kong per poco più di 160mila dollari (117mila euro).

Anguria Densuke

Questa angurie dal peso medio di 17 chili vengono coltivate sull’isola giapponese di Hokkaido. Sono così care in quanto straordinariamente rare. In una stagione la produzione sull’isola può risultare di soli 65 frutti e gli agricoltori che si occupano della coltivazione le mettono in vendita a prezzi a dir poco fuori dal comune, anche superiori a 5.000 euro per frutto. Oltre alla difficoltà di reperimento, a renderle care è quella che viene definita “incomparabile dolcezza”.

Olio extravergine Lambda Ultra

Dalla Grecia arriva l’olio più costoso al mondo: si tratta dell’olio extravergine Lambda Ultra Premium, prodotto dalla Speiron&Co. Le olive vengono raccolte a mano, spremute a freddo, filtrate e confezionate in eleganti bottiglie di vetro: il costo è di 42 euro, ma può arrivare fino a 11mila euro in confezioni personalizzate con piastre d’oro.

Zafferano Rosso Iraniano

Il re delle spezie e il fiore più caro al mondo è lo zafferano. Tutto il processo viene fatto a mano, raccogliendo con delicatezza gli stigmi rossi dei fiori, poi messi a essiccare. Per ricavare un chilo di zafferano sono necessari circa 40 giorni per raccogliere 450mila pistilli da circa 150mila fiori. Il prezzo medio è di 30mila euro al chilo. Ma la variante più pregiata di zafferano iraniano varia dai 15 ai 44 dollari (40 euro) al grammo.

Funghi Matsutake

Conosciuti anche come funghi Mattake, sono costosi perché risultano davvero molto rari. L’arrivo di un insetto che distrugge gli alberi su cui questi funghi crescono in Giappone ha portato ad un calo decisivo della loro produzione. Questi funghi possono costare anche più di 700 euro al chilo.

Il manzo di Kobe

Le bistecche ribeye del manzo di Kobe (in Giappone) sono le più rinomate al mondo, anche più della carne argentina. Si tratta infatti di una carne morbidissima, molto saporita e soprattutto ricchissima di omega 3 e omega 6. Le bestie per la macellazione di questa particolare carne vengono addirittura massaggiate regolarmente e dissetate spesso con la birra. Il piatto più caro di questo tipo di bistecca non è però in Giappone bensì da Craftsteak, a New York: si parla di 2.800 dollari al piatto.

Jamòn Patanegra

Il salume più costoso arriva dalla Spagna. Si tratta del Jamòn Iberico de Bellotta o Patanegra, prodotto usando la carne di maiali allevati a ghiande, in libertà. La particolare alimentazione dà un colore e un sapore unico al prosciutto: il costo è di circa 1.300 a pezzo.

Noce di Macadamia

Originaria del Queensland australiano, viene coltivata anche alle Hawaii, mentre una specie minore trova spazio anche in Sudafrica, Brasile e California. Ha un costo di 40 euro al chilo.

Patate Bonnotte di Noirmoutier

Bonnotte di Noirmoutier è una piccola isola al largo della costa occidentale della Francia. La pregiata qualità di patate viene coltivata solo su questo lembo di terra e può arrivare a costare 500 euro al chilo.

Te’ Da Hong Pao

Si tratta di un’antica varietà di tè che cresce sulle montagne Wuyi, nella provincia cinese di Fujian, che cresce solo selvatica e non è possibile coltivare. La pianta quando viene trovata è accudita lavando le foglie con latte di capra, e una volta raccolte le foglie queste vengono cotte e lasciate a essiccare per lunghi periodi, che possono raggiungere addirittura gli 80 anni. Per una tazza bisogna sborsare oltre 10mila dollari. Un singolo grammo del pregiatissimo tè costa infatti oltre 1.400 dollari, quasi 30 volte quello che vale la stessa quantità di oro.

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Ristoranti vegan friendly. Ecco dove in Europa https://www.business.it/ristoranti-vegan-friendly-ecco-dove-in-europa/ Sat, 29 Apr 2017 07:02:42 +0000 https://www.business.it/?p=8440 Dove si trovano, in Europa, i migliori ristoranti vegan friendly? Dove possono mangiare meglio, e con più scelta, coloro che, per scelta, hanno deciso di eliminare dalla loro dieta non solo carne e pesce ma anche tutti gli altri alimenti derivati da animali, compresi latte e uova? E come orientarsi, quando ci si trova all’estero,… Leggi tutto »Ristoranti vegan friendly. Ecco dove in Europa

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Dove si trovano, in Europa, i migliori ristoranti vegan friendly? Dove possono mangiare meglio, e con più scelta, coloro che, per scelta, hanno deciso di eliminare dalla loro dieta non solo carne e pesce ma anche tutti gli altri alimenti derivati da animali, compresi latte e uova? E come orientarsi, quando ci si trova all’estero, se si vuole comunque provare la cucina tradizionale senza sconfessare le proprie abitudini alimentari?
Una prima risposta arriva da Hundredrooms, il portale spagnolo che compara online gli alloggi turistici. La classifica proposta tiene conto del numero dei ristoranti vegan friendly per ogni città, consiglia i ristoranti migliori, dà indicazioni preziose su quale piatto scegliere a chi, per convinzione etica o medica, ha deciso di rinunciare a diversi alimenti. Non è certo la The World’s 50 Best Restaurants.  Si tratta infatti di una classifica parziale che non tiene conto, per esempio, di quei ristoranti vegan friendly che propongono comunque menù a base di carne e di pesce.

Ristoranti vegan friendly. Dove cercarli

ristoranti vegan friendlyEcco allora dove andare a beccare i ristoranti vegan friendly in Europa:

  • Lisbona. Nella capitale portoghese sono stati censiti circa 100 fra ristoranti vegan friendly e negozi alimentari con prodotti per vegani, una cifra importante soprattutto se commisurata ai 550 mila abitanti della città
  • Praga. Nonostante la cucina tradizionale ceca sia fondamentalmente a base di carne, nella capitale di Franz Kafka, anche lui vegetariano, sono aumentate le proposte per vegani. Oggi i ristoranti vegan friendly sono 34 e in diversi chioschi si possono trovare portate, spunti e menù a meno di 5 euro senza ingredienti di origine animale.
  • Varsavia. Non solo vodka e pesce nella capitale polacca, in cui Hundredrooms conta circa 100 ristoranti vegan friendly. Si segnalano, in particolare, i dessert senza latte nè uova.
  • Barcellona. Non solo ristoranti vegan friendly. Hundredrooms conta almeno 100 fra ristoranti, bar e negozi in cui i vegani potranno rifocillarsi. Si tratta senza dubbio della città spagnola più sensibile all’argomento.
  • Roma. Anche la città eterna si ritaglia un posticino in questa classifica, con oltre 50 ristoranti vegan friendly e proposte senza alimenti di origine animale adatte per pranzo, colazione e cena.

Si piazzano bene anche Amsterdam, Berlino, Vienna e Londra. Parigi, patria del fois gras e roquefort, è il fanalisno di coda della classifica stilata dagli spagnoli di Hundredrooms

Vegani in viaggio

Secondo l’Eurispes, nel 2015, l’8% degli italiani ha dichiarato di seguire un regime alimentare privo di carne o derivati animali. La cifra è in crescita rispetto alla precedente rilevazione del 2013.  Sempre secondo i dati Eurispes, questo è l’identikit di chi segue stili alimentari alternativi: fra  45 e i 54 anni (28%),residente nel Nord-Ovest (36%), in grandi città (13%), con un impiego dirigenziale (25%),  spesso in possesso di una laurea (17%): dettagli di cui non poter non tener conto nel caso in cui si voglia investire in un ristorante vegan friendly o in un’altra forma di accoglienza adatta a consumi alimentari alternativi.
Fonte: https://www.hundredrooms.it/

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Hydro, un orto indoor per cotivare in modo sostenibile https://www.business.it/hydro-un-orto-indoor-per-cotivare-in-modo-sostenibile/ Wed, 26 Apr 2017 07:00:38 +0000 https://www.business.it/?p=8371 Avete passione per la coltivazione, vorreste un orto, ma vivete in un appartamento? La soluzione arriva da Agrobotica che ha messo a punto un sistema per far crescere le proprie verdure indoor. Si tratta di Hydro 1216, un sistema di coltivazione autonomo, paragonabile a un elettrodomestico, che verrà presentato all’evento dedicato alla food innovation, Seeds&Chips,… Leggi tutto »Hydro, un orto indoor per cotivare in modo sostenibile

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Avete passione per la coltivazione, vorreste un orto, ma vivete in un appartamento? La soluzione arriva da Agrobotica che ha messo a punto un sistema per far crescere le proprie verdure indoor.
Si tratta di Hydro 1216, un sistema di coltivazione autonomo, paragonabile a un elettrodomestico, che verrà presentato all’evento dedicato alla food innovation, Seeds&Chips, a Milano dal’8 all’11 maggio.
Un sistema semplice, veloce e sostenibile che consente di dar vita a un orto indoor in qualsiasi periodo dell’anno a partire dai semi, oppure direttamente da una piantina già formata. Il tutto senza l’uso di pesticidi o fungicidi.

Come funziona la coltivazione per l’orto indoor

La tecnica di coltivazione Hydro 1216 è basata su un sistema idroponico ideato e presentato in esclusiva da Agrobotica e denominata a Doppio Substrato Attivo. Una tecnica che consente di realizzare un orto indoor senza l’utilizzo di terra, ma semplicemente portando tutti i nutrimenti necessari al vegetale mediante l’acqua.
Una tecnica ibrida, a metà tra idroponico e aeroponico, che si inserisce in un sistema progettato per essere interscambiabile, così da permettere l’utilizzo di diverse tecniche di coltivazione con un unico sistema.
Per cambiare metodo di coltivazione basterà semplicemente sostituire la sezione di coltura: ciò consentirà di utilizzare in futuro nuove  tecniche di coltivazione acquistando esclusivamente la sola sezione idrica di coltivazione.
orto indoor
Per quanto riguarda l’illuminazione, indispensabile per un orto indoor, Hydro 1216 è dotato di sistema a led che utilizza la gamma di colori rosso e blu, con lunghezza d’onda della luce adatta alla crescita dei vegetali.
Hydro 1216 è inoltre dotato di un sistema elettronico di controllo che permette di monitorare costantemente il microclima all’interno del modulo di coltivazione.
orto indoor

L’orto indoor come elettrodomestico IoT

Nel realizzare un sistema per realizzare un orto indoor, Agrobotica ha unito le esigenze della coltivazione con le nuove tecnologie e l’internet of things.  La Versione Top di gamma Hydro 1216 M- PRO è infatti dotato di sistema wireless per comunicare via internet con un server remoto, che riconoscendo in automatico il vegetale coltivato, è in grado di configurare il modulo di coltivazione, e impostare le  varie impostazioni predefinite  ottimizzate per le principali tipologie di vegetali
Grazie a un cruscotto, facilmente consultabile online, l’orto indoor potrà essere tenuto sotto controllo da qualsiasi posto. Il sistema consente infatti di visualizzare tutti i parametri: per faro basterà collegarsi dal proprio computer o da un qualsiasi smartphone con sistema operativo Android, iOS o Windows10

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Torna Seeds&Chips a Milano, e arriva anche Obama https://www.business.it/torna-seedschips-a-milano-e-arriva-anche-obama/ Sat, 22 Apr 2017 07:00:14 +0000 https://www.business.it/?p=8322 Dall’8 all’11 maggio torna a Milano Seed&Chips, l’evento dedicato all’innovazione in ambito food quest’anno alla sua terza edizione. Barack Obama sarà l’ospite di punta del forum internazionale, nato tre anni fa sulla scia dell’Expo per dare forma e sostanza al concetto di “food innovation”. Innovazione e food: due parole che racchiudono insieme filosofie e politiche, [...]

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Dall’8 all’11 maggio torna a Milano Seeds&Chips, l’evento dedicato all’innovazione in ambito food quest’anno alla sua terza edizione. Barack Obama sarà l’ospite di punta del forum internazionale, nato tre anni fa sulla scia dell’Expo per dare forma e sostanza al concetto di “food innovation”. Innovazione e food: due parole che racchiudono insieme filosofie e politiche, stili di vita e ricerca scientifica e i cui confini sono ampi e sempre in movimento.
Dalla food safety all’agricoltura di precisione, dall’urban farming ai big data, dalla stampa 3D alle esperienze di acquisto: il cibo è attorno a noi e permea la nostra vita, e noi con i nostri comportamenti possiamo incidere sulle politiche agroalimentari globali.
Nato da un’idea di Marco Gualtieri, già creatore di TicketOne e di altre startup di successo, l’evento si inserisce nella settimana milanese dedicata al food, la Food Week (4-11 maggio) e in concomitanza con Tuttofood 2017, una delle maggiori fiere internazionali del cibo B2B che si svolgerà a Milano dall’8 all’11 maggio.
Seed&Chips_Gualtieri
Al di là della risonanza internazionale che il cibo ha in questo momento storico, è evidente che eventi di questo tipo organizzati in Italia hanno il preciso scopo di connotare il nostro paese come all’avanguardia nel campo dell’innovazione legata al food, costituendo un ecosistema favorevole alla ricerca e allo sviluppo che mette insieme privati, istituzioni e istituti di ricerca.
Già nel 2015 Gualtieri propose di creare, nel dismesso sito Expo, una “Food Valley”, una sorta di Silicon Valley dedicata al food, che non può che essere in Italia. Non solo per la nostra inconfutabile tradizione manifatturiera agroalimentare, per la nostra cultura enogastronomica e per la biodiversità che contraddistingue il nostro paese, ma anche perché qui grandi gruppi come Microsoft, Whirlpool, Accenture e Cisco stanno facendo ricerca in settori come l’internet of food e il design applicato al food; perché qui hanno sede la FAO, l’EFSA e il World Food Programme; perché qui sono nati Slow Food e il Future Food Programme, un progetto di open innovation che mette insieme l’università di Modena (Unimore) e grandi player dell’agroalimentare come Barilla (che a sua volta ha sviluppato il suo Center for Food and Nutrition) e Alce Nero, allo scopo di formare gli innovatori del settore e fare ricerca con le più avanzate metodologie progettuali come il design thinking Ti potrebbe interessare anche: business.it/il-cibo-del-futuro-secondo-il-future-food-institute
Seed&Chips
Immaginiamo che Barack Obama parlerà della politica alimentare che ha promosso durante il suo governo con riforme come il Nutrition Bill (per migliorare la qualità del cibo servite nelle mense scolastiche) e il Food Safety Modernization Act (per migliorare la sicurezza alimentare del cibo prodotto dalle aziende americane); nonché delle campagne di sensibilizzazione come Let’s Move per sollecitare a uno stile di vita meno sedentario o My Plate, per informare sul corretto bilanciamento degli alimenti nei pasti. Politica però in gran parte fallita perché osteggiata dalle grandi multinazionali del cibo americano (ha riassunto bene la situazione Michael Pollan in questo articolo sul New York Times).
E così dopo Michelle durante l’Expo, due anni dopo a Milano arriva Obama. Speriamo di poter seguire l’intervento in streaming, che sarà sicuramente interessante.

 

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La più amata dagli italiani? La Nutella https://www.business.it/la-piu-amata-dagli-italiani-la-nutella/ Wed, 19 Apr 2017 07:00:20 +0000 https://www.business.it/?p=5743 Un tempo “la più amata dagli italiani” era una nota azienda produttrice di cucine, grazie – soprattutto – alla notorietà della sua testimonial. Oggi al primo posto, nel cuore degli italiani, c’è la Nutella. Il successo della famosissima crema alle nocciole, frutto dell’ingegno del gruppo Ferrero di Alba, è il risultato della classifica stilata da… Leggi tutto »La più amata dagli italiani? La Nutella

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Un tempo “la più amata dagli italiani” era una nota azienda produttrice di cucine, grazie – soprattutto – alla notorietà della sua testimonial. Oggi al primo posto, nel cuore degli italiani, c’è la Nutella. Il successo della famosissima crema alle nocciole, frutto dell’ingegno del gruppo Ferrero di Alba, è il risultato della classifica stilata da Superbrands, un programma internazionale che ogni anno assegna il “Superbrands Pop Award” a marchi che si sono contraddistinti per la loro eccellenza nei vari paesi in cui la stessa realtà Superbrands è presente.
Per quel che riguarda il mercato italiano, Superbrands si avvale ogni anno della collaborazione di Radio Italia, che coinvolgendo direttamente i propri ascoltatori e i social media a essa collegati, contribuisce a stilare la classifica e decretare la “marca più amata dagli italiani”.
Come ha dichiarato Sergio Tonfi, Editor di Superbrands “Tantissime persone hanno voluto dimostrare la loro passione per i brand esprimendo le loro preferenze e premiando quelli che hanno saputo costruire con loro relazioni autentiche e coinvolgenti. Un brand che vuole essere super deve parlare ai cuori delle persone e la classifica POP celebra quelli capaci di donare emozioni ed esperienze vivide e memorabili, lasciando un segno indelebile nelle nostre vite”.

Nutella e gli altri: la classifica

nutella-loveSono stati in più di 22000 a votare, nel corso delle due settimane aperte per le votazioni, e a voler esprimere le loro preferenze riguardo le marche che amano di più, portando sul gradino più alto del podio la Nutella. Le motivazioni, spiegano in una nota, sono legate alla capacità che Nutella ha avuto nel creare un rapporto di complicità del tutto particolare con i suoi consumatori, scolpendosi in maniera indelebile come icona del Made in Italy nel corso di varie generazioni.
Al secondo posto troviamo Amazon, l’azienda di commercio elettronico più famosa al mondo, vincitore del premio nel 2016. Il brand ha saputo modificare le nostre abitudini di acquisto, sia rispetto ai prodotti che ai servizi, e per questo può ritenersi rivoluzionario.
Il podio si completa, al terzo posto, con Disney. Il marchio continua a far vivere, a grandi e piccoli, esperienze di grande impatto emotivo, che rappresentano i valori più profondi e condivisi.
Segue, al quarto posto, Apple: il brand è riuscito, in pochi anni, a dare nuovo slancio e importanza al design e all’esperienza d’uso. Il quinto posto è della Coca Cola, il sesto di Samsung e il settimo di Google: quest’ultimo, in particolare, riconosciuto universalmente come il motore di ricerca per eccellenza, supporto fondamentale per le ricerche online, diventato celebre anche grazie e soprattutto all’estrema intuitività d’utilizzo.
A seguire, Mulino Bianco, marchio che porta con sé un ampio complesso di valori associati alla famiglia e che, con i numerosi formati dei suoi biscotti, offre una scelta per tutti i gusti, sempre attenta all’alimentazione sana e piacevole; Bottega Verde, per la prima volta in classifica, e per finire, al decimo posto, Vespa, anch’essa entrata nell’immaginario collettivo come simbolo di gioventù e libertà, altra icona del Made in Italy.
Dalla classifica emergono bene gli aspetti che più hanno influito sull’esito delle votazioni e, quindi, sulla rilevanza dei brand più acquistati o utilizzati:
– la capacità di farci vivere meglio, grazie alla tecnologia (Amazon, Apple, Samsung, Google)
– la presenza di lunga data nelle nostre vite (Nutella, Coca Cola, Mulino Bianco)
– il forte coinvolgimento emotivo (Nutella stessa, Disney , Vespa)
La consegna del “Superbrands Pop Award 2017” a Nutella avverrà il prossimo 28 Settembre presso l’Auditorium di Radio Italia, nell’ambito della cerimonia Superbrands Award.

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The World’s 50 Best Restaurants: quattro italiani in classifica https://www.business.it/the-worlds-50-best-restaurants-quattro-italiani-in-classifica/ Fri, 14 Apr 2017 08:32:54 +0000 https://www.business.it/?p=8248 The World’s 50 Best Restaurants è la classifica della gastronomia mondiale organizzata dalla William Reed Business Media, storica agenzia di pubbliche relazioni londinese da sempre specializzata nel settore Food&Beverage. Potremmo definirla la notte degli oscar della gastronomia, che ogni anno muove il meglio della ristorazione mondiale con il suo seguito di giornalisti, PR, imprenditori. Il… Leggi tutto »The World’s 50 Best Restaurants: quattro italiani in classifica

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The World’s 50 Best Restaurants è la classifica della gastronomia mondiale organizzata dalla William Reed Business Media, storica agenzia di pubbliche relazioni londinese da sempre specializzata nel settore Food&Beverage. Potremmo definirla la notte degli oscar della gastronomia, che ogni anno muove il meglio della ristorazione mondiale con il suo seguito di giornalisti, PR, imprenditori.

Il 5 aprile alle 11:00 (ora italiana) si è svolta la 16esima edizione in Australia. Dopo 14 edizioni a Londra, a partire dallo scorso anno a New York l’evento (sponsorizzato da marchi importanti come Diner’s Club International, San Pellegrino&Acqua Panna, Estrella Damm, Grana Padano, Lavazza, e altri) è diventato itinerante, trasformandosi in una enorme operazione di marketing turistico per il paese ospitante, come dimostra la collaborazione con gli enti Tourism Australia e Wine Australia, e la concomitanza con il Melbourne Food & Wine Festival.
E sembra proprio che l’Australia sia riuscita bene nell’intento di farsi percepire come food destination di eccellenza, con la sua grande biodiveristà, i ristoranti gourmet inseriti in contesti agricoli, la variegata offerta vinicola e i resort immersi nel verde dove al mattino il buongiorno si riceve dai canguri.
È dura entrare nella classifica dei 50, perché anche se noi italiani siamo convinti che la nostra sia la cucina migliore del mondo in realtà non è così, in particolare per la cucina stellata e contemporanea. I nostri cuochi infatti concorrono con paesi come il Messico, gli USA, la Cina, il Giappone, il Sud America e, ovviamente, con molte nazioni europee. I ristoranti analizzati si trovano in 23 paesi e 6 continenti, e i meglio posizionati in classifica sono proprio Francia, Spagna e Stati Uniti ciascuno con sei ristoranti nella lista.
 

Il posizionamento degli italiani

I nostri 50 best sono quattro: Massimo Bottura, Enrico Crippa, Massimiliano e Raffaele Alajmo, Cristiana e Niko Romito.
Bottura con la sua Osteria Francescana di Modena è il Miglior Ristorante d’Europa e si attesta al secondo posto, dopo la scalata del podio avvenuta negli ultimi 4 anni che lo ha portato nel 2016 a classificarsi al numero 1.
Enrico Crippa di Piazza Duomo, ad Alba (CN), guadagna la 15esima posizione, mentre i fratelli Alajmo con il ristorante Le Calandre di Rubano (PD) sono alla 29esima posizione.
La new entry ristorante Reale di Castel di Sangro (AQ) di Cristiana e Niko Romito scala 41 posizioni rispetto allo scorso anno ed entra tra i migliori 50 al 43esimo posto, sfiorando di pochissimo il premio Highest Climber Award.
La classifica e la risonanza mediatica che The world’s 50 Best Restaurants scatena sono strategici non solo per il mondo gastronomico ma per il turismo e il marketing territoriale in generale: è ormai dimostrato infatti che l’enogastronomia è un fattore trainante per il turismo, e un grande veicolo di promozione dei territori.
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Home restaurant, l’Antitrust boccia il disegno di legge https://www.business.it/home-restaurant-lantitrust-boccia-il-disegno-di-legge/ Fri, 14 Apr 2017 07:00:05 +0000 https://www.business.it/?p=8235 Limitazioni ingiustificate e, in certi casi discriminatorie, quelle del disegno di legge sugli home restaurant. A dirlo è l’Antitrust per mano del suo presidente Giovanni Pitruzzella che nell’ultimo bollettino pubblicato analizza le criticità della proposta di legge, anche in relazione alla raccomandazione europea che vuole per la sharing economy una legislazione “leggera”, in grado di [...]

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Limitazioni ingiustificate e, in certi casi discriminatorie, quelle del disegno di legge sugli home restaurant. A dirlo è l’Antitrust per mano del suo presidente Giovanni Pitruzzella che nell’ultimo bollettino pubblicato analizza le criticità della proposta di legge, anche in relazione alla raccomandazione europea che vuole per la sharing economy una legislazione “leggera”, in grado di favorirla.

Cos’è l’home restaurant

Fra le ultime espressioni di sharing economy che hanno iniziato a diffondersi in Italia, l’home restaurant non è altro che una ristorazione domestica in cui qualcuno mette a disposizione la sua casa e e le sue doti culinarie per cene da consumare dietro compenso. Cene spesso “veicolate” attraverso piattaforme online.
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Le misure contestate per l’home restaurant

Se da un lato il disegno di legge sull’home restaurant cerca di stabilire regole per tutelare gli utenti, dall’altro prova a stabilire dei paletti per evitare una concorrenza sleale alle attività imprenditoriali di ristorazione.
Per farlo il Ddl, approvato dalla Camera gennaio e in attesa di essere discusso in Senato, stabilisce un tetto massimo annuo di 500 coperti e di 5 mila euro di proventi. Limitazioni che per il Garante della Concorrenza definisce “del tutto ingiustificate” e che nell’intenzione del legislatore dovrebbero servire a garantire l’occasionalità dell’attività.
Fra le misure ritenute discriminatorie dal Garanti anche l’obbligo per coloro che praticano l’home restaurant di operare solo attraverso piattaforme online e di somministrare cene solo previo pagamento anticipato. Una norma che scrive il Garante “crea una discriminazione con i ristoratori tradizionali” escludendo il contatto diretto con gli utenti, e impedendo di raggiungere coloro che sono poco avvezzi all’uso di tecnologie.
“Analoghe considerazioni – prosegue – valgono rispetto all’obbligo di fatto imposto di pagare la prestazione  prima di averne beneficiato” dato che che questa di fatto prevede che “le transazioni  avvengano esclusivamente mediante le piattaforme digitali. Impedendo, o rendendo più oneroso per il cliente di avvalersi, ad esempio, della possibilità di disdire sul posto un servizio rivelatosi inadeguato”.
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Fra le misure previste e contestate dall’Antitrust il divieto di organizzare cene in abitazioni affittate a turisti, come B&B e Case Vacanza in forma non imprenditoriale. Una restrizione che viene definita come “priva di motivazioni” e ingiustificata..
Il disegno di legge prevede inoltre una serie di obblighi per i cuochi domestici, fra cui la la copertura assicurativa su eventuali rischi derivanti dall’attività e sulla responsabilità civile verso terzi (da cui restano esclusi coloro che non superano 50 coperti e 5 cene l’anno). Misure che per il Garante della Concorrenza non risultano necessarie o proporzionate, anche in virtù del fatto che “eventuali obiettivi di tutela della salute dei fruitori sono comunque sufficientemente garantiti dall’obbligo di rispettare le norme sull’igiene degli alimenti e dagli obblighi di copertura assicurativa”.
“In conclusione – scrive Giovanni Pitruzzella – il DDL che disciplina l’attività di home restaurant appare nel suo complesso idoneo a limitare indebitamente una modalità emergente di offerta alternativa del servizio di  ristorazione e, nella misura in cui prevede obblighi che normalmente non sono posti a carico degli operatori tradizionali, risulta discriminare gli operatori di home restaurant, a favore dei primi”.

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Cresce il mercato del vino italiano https://www.business.it/cresce-il-mercato-del-vino-italiano/ Mon, 10 Apr 2017 08:30:04 +0000 https://www.business.it/?p=8178 Ricavi positivi e prospettive rosee per il vino italiano. Il 2016 si è chiuso infatti con un bilancio positivo soprattutto grazie all’export. Il record di crescita va alla trevigiana La Marca, mentre a trainare è il settore degli spumanti. Un’orizzonte sereno quello che emerge dall’analisi di Mediobanca che analizza 140 società produttrici italiane, con un… Leggi tutto »Cresce il mercato del vino italiano

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Ricavi positivi e prospettive rosee per il vino italiano. Il 2016 si è chiuso infatti con un bilancio positivo soprattutto grazie all’export. Il record di crescita va alla trevigiana La Marca, mentre a trainare è il settore degli spumanti.
Un’orizzonte sereno quello che emerge dall’analisi di Mediobanca che analizza 140 società produttrici italiane, con un fatturato superiore ai 25 milioni, e 14 tra le maggiori aziende internazionali quotate, con fatturato di oltre 150 milioni.

I numeri del vino italiano

Il settore vinicolo nostrano, in mostra in questi giorni a al Vinitaly di Verona, chiude il 2016 con un aumento del fatturato del 6% rispetto al 2015, portando a casa il miglior risultato dal 2012: le esportazioni registrano un +6,6%, mentre il mercato interno +5,3%.
Risultati certo inferiori al settore del manifatturiero, dove la crescita del fatturato è del 9,3%, ma migliori del settore alimentare che si ferma a un +2,9%.
vin italiano
A fare da padroni sono gli spumanti, con una crescita del fatturato del 13,6%, con un consumo interno  (+14,1%) superiore alla domanda estera (+13%).
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Di segno più, anche se meno brillante, anche la crescita dei vini non spumante che segnano un +4,4%.
Risultati che incidono anche sulle aspettative per il 2017:

  • il 90,1% delle aziende prevede di non subire un calo delle vendite;
  • il 17,3% si aspetta un incremento delle vendite superiore al 10%
    mentre solo il 9,9 % si attende una flessione dei ricavi.

vin italiano

I produttori di vino più dinamici

Con 566 milioni di fatturato Riunite & CIV, resta stabile in cima alla classifica dei produttori di vino italiano. Seguono Caviro con 304 milioni, Palazzo Antinori con 218 milioni, Zonin con 193, e Cavit con 178.
Sette le aziende vinicole che nel 2016 hanno visto aumentare il fatturato di oltre i 10%:

  • La cooperativa trevigiana La Marca, che passa da 75 a 101 milioni (+33,9%)
  • Santa Margherita (+32,9%)
  • Vivo Cantine (+25,4%)
  • Villa Sandi (+20,7%)
  • Lunelli (+13,4%)
  • Mionetto (+11,3%)
  • Cantina Sociale Cooperativa di Soave (+10,3%).

Il mercato estero del vino Italiano

Le aree mondiali di destinazione delle vendite vedono
ancora la prevalenza dei mercati di prossimità (Paesi UE) che
hanno assorbito nel 2016 il 52,1% del fatturato estero, con un incremento a valore sul 2015 del 7,1% .
Il Nord America rappresenta la seconda area di riferimento, invariata al 34,2 % del totale. Africa e Medio Oriente sommano l’8,4%, in progresso dell’1,9%, mentre i mercati asiatici e del Far East e il Centro-Sud America segnano incrementi di portata rilevante (rispettivamente +7,9% e +13,1%), pur restando ancora marginali (4% e 1,3% del totale)
 

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Vinitaly 2017: al via la 51esima edizione https://www.business.it/vinitaly-2017-al-via-la-51esima-edizione/ Fri, 07 Apr 2017 07:02:00 +0000 https://www.business.it/?p=5359 Dal 9 al 12 aprile Verona sarà ancora una volta la capitale mondiale del vino. Buyer, imprenditori, giornalisti e professionisti del settore vitivinicolo (e non solo) arriveranno da oltre 140 paesi per Vinitaly, il più grande evento dedicato al vino. Focalizzata sul business B2B, Vinitaly non è solo la maggiore fiera del vino e dei… Leggi tutto »Vinitaly 2017: al via la 51esima edizione

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Dal 9 al 12 aprile Verona sarà ancora una volta la capitale mondiale del vino. Buyer, imprenditori, giornalisti e professionisti del settore vitivinicolo (e non solo) arriveranno da oltre 140 paesi per Vinitaly, il più grande evento dedicato al vino.
Focalizzata sul business B2B, Vinitaly non è solo la maggiore fiera del vino e dei distillati al mondo, ma anche una presentazione d’insieme della cultura enogastronomica italiana e un veicolo per la promozione turistica dell’Italia, che tra la mappa dei padiglioni e i due saloni “paralleli” Sol&Agrifood ed Enolitech, dedicati rispettivamente all’agroalimentare di qualità e alle tecnologie innovative per la produzione di vino e olio, ha l’opportunità di presentare a oltre 49.000 buyer esteri (dati 2016) i propri prodotti di eccellenza. E sono già più di 5.000 i contatti organizzati con gli operatori esteri dalle attività di incoming messe in piedi dalla società di gestione Veronafiere.

Le novità del 2017

Veronafiere si trasforma in SPA e mette sul campo investimenti per ben 94 milioni di euro da qui al 2020. Il piano industriale Italian Wine Channel prevede il coinvolgimento attivo di Mise, Mipaaf, Ice in una task force dedicata al mercato asiatico, cinese in particolare, con investimenti quadruplicati rispetto allo scorso anno e obiettivi importanti per il mercato target principale del vino italiano.
L’internazionalizzazione del vino italiano punterà molto anche ad utilizzare la digitalizzazione come leva del business, sfruttando strumenti come e-commerce e strategie di digital trasformation delle aziende per approcciare consumatori geograficamente lontani e con abitudini di consumo variegate, cui si affiancano attività di tasting ed education indispensabili per consumatori così culturalmente lontani dal vino come gli asiatici.
Passi in avanti dunque, in un modo estremamente tradizionalista e conservatore come quello del vino.
Vinitaly 2017

Eventi paralleli

La consorella Vinitaly International organizza durante l’anno roadshow in tutto il mondo per presentare il vino italiano, eventi che aprono la strada ai buyer esteri in arrivo nel nostro paese. Una delle principali manifestazioni correlate al Vinitaly è OperaWine, una maxi degustazione di vini italiani supportata dal prestigioso magazine enologico Wine Spectator.
Ci sono poi il Concorso enologico internazionale (attivo ormai dal 1992) e l’International packaging competition (attivo dal 1996), uno snodo rilevante nell’ambito della manifestazione nel quale giornalisti, produttori e creativi si incontrano per ragionare su immagine e comunicazione visuale del vino.
Vinitaly and the city coinvolge con il centro storico e l’arsenale tutta la città di Verona, arrivando fino a Bartolino, con eventi di spettacolo e cultura che creano un interessante “fuori salone” per i wine lovers, con un focus quindi sul B2C che viene così spostato fuori dallo spazio fieristico riservato invece ai professionisti del settore.
Infine, molti sono gli eventi “food” che coinvolgono chef stellati e non, in una valorizzazione congiunta che unisce enologia e gastronomia nella promozione del territorio e delle eccellenze italiane.

Mercati esteri

Tra i paesi che contano una maggiore presenza troviamo USA, Germania, UK, Francia, Canada, Cina (con un +130% nel 2016), Giappone e paesi del nord Europa, seguiti da Paesi Bassi e Russia.
Vinitaly 2017
E se la Cina sarà interessata dal progetto Italian Wine Channel, negli Stati Uniti la competizione per l’esportazione è ardua, nonostante il vino italiano sia primo per consumi. Stando ai dati dell’ICE – Istituto nazionale per il commercio estero, il vino italiano è ancora debole dal punto di vista del pricing, con prezzi medi che si aggirano attorno ai 2,89$ a bottiglia, contro i 5,12$ dei vini francesi.
Un gap che racconta una necessità di lavorare maggiormente sul marketing del vino italiano che dovrebbe invece essere posizionato come un prodotto di lusso.

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I migliori ristoranti a casa tua grazie ai #desideriadomicilio tutti italiani di Moovenda https://www.business.it/migliori-ristoranti-casa-tua-grazie-ai-desideriadomicilio-tutti-italiani-moovenda/ Tue, 04 Apr 2017 07:00:51 +0000 https://www.business.it/?p=8054 Dallo Startup Weekend all’espansione nazionale, Moovenda, prima impresa italiana nel settore del food deliver, si prepara ad un 2017 di grandi novità Tre ragazzi romani under30, poco più di 48h per conoscersi e mettersi in gioco, e un’idea che in poco più di due anni diventa una società di 18 dipendenti: è il novembre 2015… Leggi tutto »I migliori ristoranti a casa tua grazie ai #desideriadomicilio tutti italiani di Moovenda

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Dallo Startup Weekend all’espansione nazionale, Moovenda, prima impresa italiana nel settore del food deliver, si prepara ad un 2017 di grandi novità

Tre ragazzi romani under30, poco più di 48h per conoscersi e mettersi in gioco, e un’idea che in poco più di due anni diventa una società di 18 dipendenti: è il novembre 2015 quando, durante l’edizione romana dello Startup Weekend, Simone Ridolfi, Filippo Chiricozzi e Simone Terranova creano Moovenda. Nel marzo 2017, Moovenda lancia un importante operazione di rebranding e apre a Napoli: nel frattempo, investimenti, acquisizioni, altre città, oltre 1 milione di euro di transato ed un team che cresce costantemente.

MoovendasitoL’idea, semplice ma vincente, è quella di selezionare i migliori ristoranti e rendere disponibili a domicilio le loro specialità, affidando le consegne a dei moover, ovvero dei fattorini su due ruote- scooter o bici- che tramite un’app dedicata ricevono l’ordine e lo evadono in pochissimo tempo. La soluzione a una cena da organizzare all’ultimo minuto, insomma, o a un desiderio improvviso: #desideriadomicilio, lo slogan scelto dai giovani founder, è vincente al punto che pochi mesi dopo- nel gennaio 2015- Moovenda entra nel programma di accelerazione di LUISS ENLABS e diventa una società a tutti gli effetti, con Ridolfi che assume il ruolo di CEO, Chiricozzi quello di COO e Terranova quello di CTO.

Vincenti sono anche i numeri della società, che in appena due anni diventa la prima interamente italiana in un settore fortemente competitivo come quello del food delivery e costantemente aggredito dalle multinazionali straniere: oltre al milione di euro in ordini evasi, una crescita media degli ordini del 15% su base mensile, oltre 500 ristoranti su tre città ed investimenti per un totale complessivo di 1,5 milioni di euro, di cui l’ultimo round di 335 mila euro da un pool di investitori italiani all’inizio di marzo. E poi, due acquisizioni nel 2016- quella di Loveat in gennaio e quella di iAmbrogio in dicembre- e quella fondamentale, nel 2017, di Jammefood, che apre la strada al lancio del servizio su Napoli.  Dopo Roma e Viterbo, infatti, il capoluogo campano è la terza città in cui è attivo il servizio di consegne a domicilio di Moovenda, prima di altre 5 previste nel corso di quest’anno e contestuale al fondamentale rebranding che ha portato la società a vestirsi di un caldo arancio, in omaggio al proprio carattere mediterraneo, e ad affinare il logo in omaggio alla dinamicità del brand. Un passo importante per un anno importante, quello dell’espansione a livello nazionale, sottolineato da una scelta matura che rappresenta in pieno lo spirito di crescita di Moovenda nel 2017.

Moovendaapp

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Fuorisalone: a Lambrate il design è… gourmet https://www.business.it/fuorisalone-lambrate-design-gourmet/ Mon, 03 Apr 2017 13:26:01 +0000 https://www.business.it/?p=8048 Manca soltanto un giorno all’inizio del Salone del Mobile 2017, il grande evento della settimana del Design a Milano, ma le mirabolanti o esposizioni più ricercate e trendy del mondo, non possono bastare al popolo di appassionati avventori. Serve un luogo dove potersi rifocillare, dove poter trovare cibi sfiziosi, cocktail sorprendenti, magari sulle note di… Leggi tutto »Fuorisalone: a Lambrate il design è… gourmet

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Manca soltanto un giorno all’inizio del Salone del Mobile 2017, il grande evento della settimana del Design a Milano, ma le mirabolanti o esposizioni più ricercate e trendy del mondo, non possono bastare al popolo di appassionati avventori.

Serve un luogo dove potersi rifocillare, dove poter trovare cibi sfiziosi, cocktail sorprendenti, magari sulle note di un’ottima musica ed esiste solo un luogo che racchiude tutto questo: lo Street Food Experinece.

Si tratta dell’appuntamento gourmet che animerà, per tutta la durata del Salone, il Giardino Ventura di Lambrate, il distretto più creativo ed anticonformista del Fuorisalone.

Durante il Fuorisalone, nel Giardino Ventura di Lambrate sarà allestito un vero e proprio mercato dedicato allo street food d’autore: 15 food truck proporranno il meglio del cibo di strada nel panorama italiano e internazionale, dal kebab vegano all’hamburger gourmet, dalle alette di pollo fritte alla pizza napoletana. 

salonedelmobileIIOgni giornata sarà scandita da tre appuntamenti che faranno scoprire al pubblico le ultime tendenze nel mondo del food e del design.

Si ispira ad i mercati metropolitani internazionali, da un’idea di Gianluca Perrelli, Andrea Carletti e Carlo Portioli, professionisti nella comunicazione, nel design e nel digital marketing, Street Food Experince diventerà il primo punto di riferimento per quanto riguarda la ristorazione “temporary”, con un cibo di alta qualità presentato in location decisamente atipiche.

Proprio come gli “urban food market” che si trovano nelle grandi metropoli, pensiamo ad esempio al suggestivo mercato di Londra, presso Camden Town, Street Food Experience si stabilizzerà  nel Giardino Ventura di Lambrate, con sorprese culinarie di ogni tipo; inaugurato nel dicembre 2015 a Courmayeur, ai piedi del Monte Bianco, sarà il punto di riferimento per food and beverage durante tutta la durata dell’evento.

Già lo scorso anno Foodbox, la società che organizza l’evento, aveva gestito in esclusiva l’offerta Food&Beverage al Salone del Mobile 2016 di Milano, all’interno della prestigiosa location di Villa Ventura collocata nel cuore dell’area piu’ creativa e innovativa dell’evento.

Si è registrato un un un numero di presenze superiore a 20.000 persone, un calendario giornaliero di eventi organizzati con Media Partner e Sponsor, e, grazie alla presenza di numerosi speaker tra cui molti chef e designer l’evento è stato una delle attrazioni principali del Fuorisalone.

salonedelmobileIVSTREET FOOD EXPERIENCE 2017

FOOD & DESIGN: A pranzo con il designer. Ogni giorno nuovi piatti ispirati alle ricette di streetfood italiano ed internazionale saranno presentate e interpretate da designer emergenti insieme a Chef Gourmet.

STREET & FOODTECH: il box dove le più promettenti start-up del mondo del food, presenteranno i loro modelli di business e le esperienze nel dinamico mondo del foodtech.

MIXOLOGY, DESIGN & MUSIC: gli spirits, i cocktail e i long drink incontrano il mondo della musica. Ogni giorno al tramonto un Dj-Set e una esperienza di live music accompagneranno le alchimie dei mixologists più trendy.

salonedelmobileIII

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Dal fast food al divano di casa: McDonald’s consegna a domicilio https://www.business.it/dal-fast-food-al-divano-di-casa-mcdonalds-consegna-a-domicilio/ Thu, 30 Mar 2017 07:02:17 +0000 https://www.business.it/?p=5105 Marchio per antonomasia del fast food, McDonald’s si mette al passo coi tempi per recuperare clientela e terreno. Così dopo la pizza, il cibo cinese , il sushi, e innumerevoli altre tipologie di cibarie, sarà possibile farsi consegnare a domicilio anche gli hamburger, e i menù, della nota azienda americana. La sperimentazione è già partita… Leggi tutto »Dal fast food al divano di casa: McDonald’s consegna a domicilio

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Marchio per antonomasia del fast food, McDonald’s si mette al passo coi tempi per recuperare clientela e terreno. Così dopo la pizza, il cibo cinese , il sushi, e innumerevoli altre tipologie di cibarie, sarà possibile farsi consegnare a domicilio anche gli hamburger, e i menù, della nota azienda americana.
La sperimentazione è già partita negli Stati Uniti, consentendo al gruppo di incassare nel 2016  un miliardo di dollari, ed entro la fine dell’anno il servizio a domicilio di McDonald’s si allargherà anche ad altri paesi.
L’obiettivo è riconquistare quella fetta di mercato che ha abbandonato i McMenù per rivolgersi alla concorrenza. Si parla di otre 500 milioni di clienti persi, e di una diminuzione dei ricavi del 5% nel quarto trimestre del 2016. Anche se le vendite globali sono aumentate del 2,7%, i risultati sono molto diversi a seconda del mercato di riferimento: a fonte di una crescita in Giappone (+11,1%), America Latina (+11,1%) e Cina (+4,7%), McDonald’s ha perso terreno proprio negli Stati Uniti dove si è registrata una contrazione dell’1,3%.
 

La strategia di McDonald’s per riconquistare i clienti

Per riconquistare terreno dunque McDonald’s punta sulla consegna a domicilio, a partire da un dato che per l’azienda ha dell’incoraggiante: il 75% dei clienti, in Canada, USA, Francia, Inghilterra e Germania, vive in un raggio di 5 km da un punto vendita McDonald’s.
Scopo dell’operazione è l’incremento delle vendite per il 2019 di una percentuale che oscilli fra  il 3% e il 5%.
“Il mercato delle consegne dei ristoranti – ha spiegato Lucy Brady, vicepresidente di Mc Donald’s – vale 100 miliardi di dollari e sta crescendo. C’è una significativa opportunità che non abbiamo ancora sfruttato”.
Accanto alle consegne a domicilio, che potranno comodamente essere effettuate dal proprio smartphone, McDonald’s si appresta a introdurre i pagamenti online. Entro la fine dell’anno, stima il colosso californiano del fast food,  pagamenti e ordini online saranno introdotti in 20 mila dei suoi ristoranti, dislocati nei principali mercati, Stati Uniti inclusi.
Il piano di sviluppo industriale di McDonald’s, che è stato presentato a Chicago in occasione dell’Investor Day, prevede accanto e di concerto con l’ampliamento del servizio a domicilio, un miglioramento dell’aspetto digitale e tecnologico che consenta di essere più vicini alle esigenze della clientela.
L’Italia resta per adesso esclusa dall’introduzione del servizio a domicilio di McDonald’s, ma gli occhi dell’azienda restano comunque aperti anche sul mercato nostrano.
“Oggi – ha spiegato  l’azienda in una nota – offriamo il servizio di delivery in diversi paesi, e insieme ad alcune aziende partner lo stiamo testando in alcuni mercati. In Italia stiamo osservando con attenzione questi test”.
 

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Firenze va a New York, per far conoscere cibo, vino e artigianato https://www.business.it/firenze-va-a-new-york-per-far-conoscere-cibo-vino-e-artigianato/ Thu, 23 Mar 2017 08:00:58 +0000 https://www.business.it/?p=7779 Da Firenze a New York, per portare il meglio dell’artigianato e dell’enogastronomia fiorentina alla tre giorni di mostre, eventi e incontri con operatori provenienti da tutto il mondo. “Florence in NY”, questo il nome della fiera promossa dal Consorzio Vasari, in programma dal 15 al 17 maggio 2017: una vetrina strategica per le aziende fiorentine… Leggi tutto »Firenze va a New York, per far conoscere cibo, vino e artigianato

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Da Firenze a New York, per portare il meglio dell’artigianato e dell’enogastronomia fiorentina alla tre giorni di mostre, eventi e incontri con operatori provenienti da tutto il mondo.
“Florence in NY”, questo il nome della fiera promossa dal Consorzio Vasari, in programma dal 15 al 17 maggio 2017: una vetrina strategica per le aziende fiorentine e toscane interessate ad aprirsi ai mercati esteri. La fiera è stata organizzata con la collaborazione con l’Istituto del Commercio Estero e con alcune società di assistenza alla vendita in USA. Mentre il Consorzio è nato da un’idea di VasariItaly srls con la Giusto Manetti Battiloro spa e la Akumal Travel srl. La sua missione è quella di sostenere le piccole e medie imprese nel loro processo di internazionalizzazione, ed è stato realizzato nell’ambito del Bando della Regione Toscana «PORFESR 2014-2020», con l’obbiettivo di garantire alle aziende una strategia commerciale di lungo termine, una rete di buyers di riferimento, la creazione di un sito web dedicato con l’attivazione di profili social e una consulenza aziendale professionale.

Tutto il meglio di Firenze, in un piano di grattacielo

La tre giorni americana che si svolgerà occupando l’intero 2​9° piano del grattacielo al 180 Maiden Lane, zona Wall Street,​ è resa possibile con la collaborazione della Regione Toscana, del Comune di Firenze, di Confartigianato Firenze, Confindustria Firenze, iBridge e dalla disponibilità della Camera di Commercio Italo-americana.
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La fiera si aprirà con una esibizione degli sbandieratori del corteo storico di Firenze, a cui seguirà una cena coordinata dallo chef Massimo Tanini della Cantinetta di Bolgheri, il concerto con il baritono Devid Cecconi e il soprano Georgina Stelbow, accompagnati al pianoforte dal maestro Massimo Barsotti. Per le aziende sono in programma numerosi workshop sul sistema economico americano e incontri con operatori italiani e americani.
Ospiti d’onore della serata di apertura ​la coppia formata da Gabriele Corcos, chef-imprenditore nato a Firenze e diventato star della tv americana con il programma “Extra Virgin”, da cui è nato l’omonimo best seller culinario del New York Times, e la moglie e attrice holliwoodiana Debi Mazar (Quei bravi ragazzi, Insider, Batman Forever).
Ovviamente la fiera sarà anche l’occasione per i maestri artigiani, di mostrare al pubblico newyorkese le loro opere e le loro competenze, con la creazione live di prodotti artigianali unici.
A disposizione delle aziende inoltre, c’è un app sviluppata a New York dall’ingegnere fiorentino Tommaso Boralevi, chiamata EPTHI. Una sintesi fra Whatsapp e Linkedin che permette di ridurre l’uso dell’email e semplificare la comunicazione all’interno del mondo del business internazionale. Permette la traduzione simultanea dei messaggi, lo scambio dei biglietti da visita, il convertitore valute integrato e la possibilità di gestire documenti commerciali direttamente dalle chat.
“Vogliamo dare una risposta alla domanda estera di artigianato fiorentino e di prodotti di lusso made in Tuscany”, ha detto Vania Terzo, presidente del Consorzio Vasari. “La fiera di New York sarà un’occasione fondamentale per far conoscere negli Usa il meglio del nostro artigianato ed un punto di partenza importante per portare la qualità fiorentina nei grandi mercati esteri.”

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Ferrero cresce negli Usa e compra Fannie May https://www.business.it/ferrero-cresce-negli-usa-e-compra-fannie-may/ Wed, 22 Mar 2017 08:47:28 +0000 https://www.business.it/?p=4780 Dal 1969, quando entrò per la prima volta negli Stati Uniti con l’intramontabile Tic Tac, a oggi, Ferrero si espande oltreoceano e consolida la sua posizione mondiale. La Ferrero International ha infatti annunciato l’acquisizione del produttore di cioccolato americano Fannie May: un’operazione da 115 milioni di dollari, che espande la presenza del marchio italiano dopo… Leggi tutto »Ferrero cresce negli Usa e compra Fannie May

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Dal 1969, quando entrò per la prima volta negli Stati Uniti con l’intramontabile Tic Tac, a oggi, Ferrero si espande oltreoceano e consolida la sua posizione mondiale. La Ferrero International ha infatti annunciato l’acquisizione del produttore di cioccolato americano Fannie May: un’operazione da 115 milioni di dollari, che espande la presenza del marchio italiano dopo l’acquisizione della britannica Thorntons nel 2015.
ferrero

I numeri di Ferrero

Oggi sono circa 225 i dipendenti di Ferrero negli Usa – tra la sede di Parsipanny (New Jersey) e le strutture di assemblaggio e packaging a Somerset (New Jersey) – più circa 500 lavoratori stagionali. Gli Stati Uniti rappresentano il quinto mercato al mondo per il gruppo italiano, che si avvarrà dell’esistente piattaforma di produzione distribuzione e vendita di Fannie May per farne ulteriormente crescere il marchio. Fondata a Chicago nel 1920, Fannie May vende online, sui canali telefonici, televisivi e possiede una rete di 80 negozi, nonché uno stabilimento in Ohio con 750 dipendenti.
L’accordo prevede che Ferrero International acquisti da 1-800-Flowers.Com Inc il brand ‘Fannie May Confections Brand’, il produttore statunitense di cioccolato ‘premium’ dei marchi Fannie May e Harry London. Ferrero inoltre stipulerà un accordo strategico di partnership commerciale, che sarà siglato contestualmente alla chiusura della transazione prevista per fine maggio, con l’obiettivo di includere una selezione di prodotti Ferrero e Fannie May nei cesti regalo e nei siti di e-commerce di 1-800 Flowers.com.
ferrero
Sono molti gli elementi comuni delle storie di Ferrero e Fannie May, entrambi nomi legati a prodotti che sono entrati non solo nel consumo abituale di milioni di persone, ma spesso anche nell’immaginario pop. Il colosso italiano della nutella è stato fondato subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, nel 1946, ed è la terza azienda mondiale nel comparto dei prodotti a base di coccolato, con vendite globali stimate per il 2017 in oltre 11 miliardi di dollari e presente in più di 160 paesi; un colosso con 30mila dipendenti sparsi in 53 paesi.
“Fannie May ha un vissuto strategico e culturale molto coerente con noi”, ha commentato il ceo del gruppo italiano Giovanni Ferrero, “e siamo lieti che le sue persone di valore, il suo marchio premium e i suoi prodotti di qualità entrino a far parte del nostro Gruppo. Gli Stati Uniti – ha aggiunto – rappresentano un importante mercato con un grande potenziale di crescita per Ferrero e siamo entusiasti dell’opportunità di poter supportare lo sviluppo di una grande marca americana, mentre accresciamo la nostra presenza in questo mercato”.
“Fannie May porta al nostro interno risorse umane brillanti e una rete produttiva, distributiva e di vendita”, ha aggiunto Paul Chibe, presidente e Ceo di Ferrero Nord America, “che permetterà a Ferrero di espandere la sua presenza negli Stati Uniti. Abbiamo intenzione di avvalerci dell’organizzazione esistente per supportare la crescita dei marchi Fannie May e Harry London”.
 

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Dal Parlamento Europeo nuove misure per la produzione alimentare https://www.business.it/dal-parlamento-europeo-nuove-misure-per-la-produzione-alimentare/ Wed, 22 Mar 2017 08:00:45 +0000 https://www.business.it/?p=4807 Il Parlamento Europeo ha approvato nuove misure per inasprire i controlli sulla catena di produzione alimentare. La nuova direttiva, frutto di un accordo informale fra deputati e ministri UE, punta a migliorare la tracciabilità del cibo, a combattere le frodi e a ristabilire la fiducia nell’integrità della filiera alimentare. La normativa intende garantire un sistema… Leggi tutto »Dal Parlamento Europeo nuove misure per la produzione alimentare

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Il Parlamento Europeo ha approvato nuove misure per inasprire i controlli sulla catena di produzione alimentare. La nuova direttiva, frutto di un accordo informale fra deputati e ministri UE, punta a migliorare la tracciabilità del cibo, a combattere le frodi e a ristabilire la fiducia nell’integrità della filiera alimentare.
La normativa intende garantire un sistema di controllo completo, integrato e più efficiente nei seguenti campi: quello delle regole di sicurezza del cibo e delle sementi, quello dei requisiti di sanità per piante e animali, e quello della produzione organica e della denominazione di origine controllata.
produzione alimentare
La relatrice del testo è l’eurodeputata Karin Kadenbach (S&D, AT), che ha spiegato così l’origine di questo provvedimento: “Dopo lo scandalo della carne di cavallo – ha detto – i consumatori hanno seri dubbi sulla tracciabilità degli alimenti e sull’integrità della filiera della carne. Il Parlamento europeo si è sforzato per affrontare queste preoccupazioni e per redigere un testo che consenta alle autorità competenti di combattere efficacemente le frodi“. “Sono anche orgogliosa – ha aggiunto – che il Parlamento sia riuscito a rafforzare il capitolo sulle misure d’esecuzione, in particolare per quanto riguarda le sanzioni da applicare in caso di violazione intenzionale delle regole”. Quanto alle sanzioni previste commenta: “Confido che sanzioni davvero dissuasive saranno uno strumento chiave per combattere la frode in tutti i settori”.

L’accordo sulla produzione alimentare

L’accordo sulle norme per la produzione alimentare, raggiunto tra i deputati e il Consiglio dei ministri include:

  • un approccio globale, a copertura di tutta la filiera agroalimentare: dai controlli su cibo, alle sementi, alla sanità della piante, ai pesticidi, e ancora benessere degli animali, indicazioni geografiche, agricoltura biologica;
  • controlli a sorpresa basati sul rischio in tutti i settori;
  • un impegno più diffuso contro pratiche fraudolente o ingannevoli;
  • accordi di importazione su animali e prodotti importati da Paesi terzi;
  •  controlli da parte della Commissione europea negli Stati membri e nei paesi terzi.

Lo scandalo della carne di cavallo degli anni passati – cibi che dichiaravano di contenere manzo e invece era carne equina – ha evidenziato la necessità di controlli più serrati,  per proteggere sia i consumatori sia le aziende oneste e quindi tutta la produzione alimentare.
produzione alimentare
Le nuove regole seguiranno quindi un approccio basato sul rischio, rendendo dunque possibile alle autorità competenti di focalizzare le proprie risorse sui problemi più gravi. Per poter stabilire una struttura generale coerente – spiega una nota del Parlamento Europeo –  la proposta di regolamentazione contiene, in un singolo testo, controlli ufficiali su tutti i settori della filiera agro-alimentare. La proposta di norma prevede inoltre la revisione delle disposizioni esistenti, con l’obiettivo di eliminare sovrapposizioni, mantenendo un approccio proporzionato e flessibile, in modo da essere in grado di reagire più prontamente alle situazioni di emergenza.

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Trionfa il sapore del cioccolato Amedei https://www.business.it/trionfa-il-sapore-del-cioccolato-amedei/ Mon, 27 Feb 2017 15:11:08 +0000 https://www.business.it/?p=7465 Il cioccolato Amedei ancora sul podio. Al Salon du Chocolat di Milano, la più importante manifestazione internazionale dedicata alla preziosa materia, la Compagnia del Cioccolato ha assegnato anche quest’anno alla casa toscana il Premio Tavoletta d’Oro, il riconoscimento più prestigioso in Italia per il cioccolato di qualità. Amedei ha ottenuto 4 Premi Cioccolato di Eccellenza… Leggi tutto »Trionfa il sapore del cioccolato Amedei

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Il cioccolato Amedei ancora sul podio. Al Salon du Chocolat di Milano, la più importante manifestazione internazionale dedicata alla preziosa materia, la Compagnia del Cioccolato ha assegnato anche quest’anno alla casa toscana il Premio Tavoletta d’Oro, il riconoscimento più prestigioso in Italia per il cioccolato di qualità.
Amedei ha ottenuto 4 Premi Cioccolato di Eccellenza e 2 Premi Tavoletta d´Oro. I Premi Tavoletta d´Oro sono stati assegnati al Toscano Brown 32% nella categoria Cioccolato al Latte e alla Pralina Croccantino nella categoria Praline. Il “9” (un cioccolato fondente extra 75%), Bianco e Pistacchi, Blanco de Criollo 70% e la Pralina Chicchi si sono aggiudicati infine il premio Cioccolato di Eccellenza.

Un cioccolato che sa di Toscana e di mondo

Amedei è un’azienda della piccola frazione La Rotta, del comune Pontedera, in provincia di Pisa, nata nel 1990 e oggi firma internazionale del cioccolato. A guidare questo impero del gusto è Cecilia Tessieri, la prima donna maître chocolatier al mondo. Dalle coltivazioni in Venezuela, che segue in prima persona, alla sua fabbrica-laboratorio, realizzata in un’ex fonderia di ghisa immersa nella Valdera, tiene salto il timone di una produzione importante, con un motto: “Rendere il mondo un po’ più dolce, un quadratino alla volta”.
cioccolato amedei_1
L’Italia è il loro primo mercato di riferimento, ma il cioccolato Amedei si vende anche in Regno Unito, a Hong Kong e Singapore, negli Usa, in Canada e da qualche mese a Shangai. Con un fatturato di oltre 3 milioni di euro e circa 1.000 kg di cioccolata prodotta ogni settimana, nel 2015 Amedei ha vissuto un balzo in avanti con l’acquisizione delle quote di maggioranza da parte della Octopus Holdings Foundation, un fondo di investimento di Singapore. Da allora, consolida la sua presenza sul mercato estero con particolare attenzione all’Asia.
cioccolato amedei
Una presenza doverosa quindi, quella di Amedei al Salon du Chocolat, la manifestazione nata a Parigi nel 1994 con l’obiettivo di far scoprire il cioccolato in tutte le sue forme. In questi 22 anni sono stati 165 i “Salon” organizzati, che hanno raggiunto 30 città su 4 continenti, coinvolto 10.000 espositori e un pubblico di 8,2 milioni di visitatori. Ideato da Event International e organizzato da Digital Events, il Salon du Chocolat di Milano che quest’anno si è tenuto dal 9 al 12 febbraio, ha chiuso con un’affluenza record di 34.000 presenze, ottanta espositori provenienti da tutta l’Italia e anche dall’estero. Tavolette, gocce, praline, dolci, cocktail, e infinite variazioni sul tema, con un’attenzione, quest’anno a Camerun, Perù, Venezuela, Togo,  che hanno scelto il Salon per raccontare il loro prodotto e la sua storia.

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Aumentano i consumi alimentari fuori casa degli italiani https://www.business.it/aumentano-i-consumi-alimentari-fuori-casa-degli-italiani/ Sat, 28 Jan 2017 07:40:20 +0000 https://www.business.it/?p=2714 Diminuisce la spesa degli italiani nei consumi alimentari in casa, che mentre aumenta quella per i pasti fuori casa. Questo è ciò che emerge dall’ultimo Rapporto Ristorazione della Fipe – Federazione Italiana Pubblici Esercizi sull’andamento del settore e dei relativi consumi nel 2016. La flessione dei consumi alimentari in casa fra il 2007 e il 2015… Leggi tutto »Aumentano i consumi alimentari fuori casa degli italiani

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Diminuisce la spesa degli italiani nei consumi alimentari in casa, che mentre aumenta quella per i pasti fuori casa. Questo è ciò che emerge dall’ultimo Rapporto Ristorazione della Fipe – Federazione Italiana Pubblici Esercizi sull’andamento del settore e dei relativi consumi nel 2016.
La flessione dei consumi alimentari in casa fra il 2007 e il 2015 è stata  pari a 18,4 miliardi di euro (-12%), un calo che è andato di pari passo con il recupero di qualche posizione del peso  della ristorazione sul totale dei consumi. Un fenomeno che, sottolinea la  Fipe, smentisce le ipotesi secondo cui assistiamo a un ritorno ai consumi in casa a scapito di quelli fuori le mura domestiche.

I numeri dei consumi alimentari fuori casa

Sono 39 milioni gli italiani che hanno dichiarato di aver consumato pasti fuori casa nel 2016. Un dato che restituisce l’immagine di un’Italia in controtendenza rispetto al resto d’Europa, dove al contrario i consumi alimentari fuori casa hanno fatto registrare una significativa contrazione.
Nel 2016 in Italia, secondo le stime dell’ufficio studi di Fipe, è proseguito da un lato il calo dei consumi alimentari domestici (-0,3%), dall’altro l’incremento di quelli fuori casa (+1,1%).
“I dati relativi al 2016 emersi dal Rapporto Ristorazione – commenta Lino Enrico Stoppani, Presidente Fipe – confermano la ripresa dei consumi per il settore del fuori casa e la centralità del lavoro nel settore, dimostrata dal forte aumento dell’occupazione”.
consumi-alimentariA favorire la crescita occupazionale nella ristorazione, secondo Stoppani, i voucher. Uno strumento che per il presidente del Fipe rappresenta “una risorsa vitale per un settore caratterizzato da stagionalità e picchi di lavoro imprevedibili. Una scelta all’insegna della trasparenza che ha contribuito a far emergere  il lavoro irregolare e creare nuove opportunità occupazionali per i giovani, garantendo i contributi INPS e una copertura assicurativa. Una guerra contro i voucher nella ristorazione è totalmente sbagliata, anche se condividiamo la necessità di alcuni correttivi per contrastare gli abusi”.
Accanto all’aumento dei consumi alimentari fuori casa, il 2016 ha però evidenziato anche criticità: l’elevata mortalità delle imprese e l’abbassamento della qualità. Un fenomeno quest’ultimo che per Stoppani è dovuto “soprattutto da eccesso di offerta nel settore, dimostrata dall’elevato numero di esercizi take away, per nulla legati alle tradizioni gastronomiche delle nostra città, che spesso mettono a rischio anche l’identità e l’attrattività dei nostri centri storici”.
Il Rapporto Ristorazione della Fipe offre anche una fotografia del settore dei pubblici esercizi.  La  rete nel 2016 si è ampliata con  l’apertura di 20.184 nuove attività (+8,1% rispetto al 2008), ma dice   lo studio, il livello qualitativo dell’offerta si è abbassato soprattutto nei centri storici italiani. Qui infatti secondo la Fipe “si è acuita la contrapposizione tra l’incremento di attività di ristorazione take away del 41,6% e la riduzione dei bar del -9,5%”.

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Cioccolato Argento, from bean to bar! https://www.business.it/cioccolato-argento-from-bean-to-bar/ Sun, 25 Dec 2016 08:00:46 +0000 https://www.business.it/?p=1918 Cioccolato Argento è un laboratorio artigianale per la produzione di cioccolato con annesso un accogliente punto vendita che si affaccia sulla Via Calcesana, a Ghezzano, una piccola frazione alle porte di Pisa. La titolare di questo scrigno delle meraviglie è Paola Di Bello, un’ex informatica che alle soglie della cinquantina ha chiuso con i numeri… Leggi tutto »Cioccolato Argento, from bean to bar!

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Cioccolato Argento è un laboratorio artigianale per la produzione di cioccolato con annesso un accogliente punto vendita che si affaccia sulla Via Calcesana, a Ghezzano, una piccola frazione alle porte di Pisa.
La titolare di questo scrigno delle meraviglie è Paola Di Bello, un’ex informatica che alle soglie della cinquantina ha chiuso con i numeri binari per dedicarsi a tempo pieno alla sua passione per il cioccolato.
Nel suo laboratorio Paola esegue tutto il lungo e laborioso processo  – qui il video della lavorazione del Cioccolato Argento – che, a partire dalla materia prima e attraverso le diverse fasi della lavorazione, la porta a creare prodotti di altissima qualità: come sintetizza lo slogan “from bean to bar!”
19 diversi tipi di tavolette, 40 tipologie di articoli tra praline, cioccolatocioccolatini, torroni, creme spalmabili, al latte e fondente – racconta Paola – il tutto prodotto con materie prime di pregio come il cacao del Venezuela, i pistacchi, le noci e i fichi della Sicilia e le nocciole IGP del Piemonte. Ora me ne sono fatta arrivare un tipo nuovo, nocciole tostate a legna, oggi le proverò”.
La passione e la cura che Paola mette nel produrre il suo cioccolato arriva forte e chiara ai clienti “ Siamo ancora agli inizi, ho aperto da nemmeno un anno ma sono soddisfatta della produzione e anche della clientela: chi viene nel mio negozio  poi ritorna, insomma, ho tutti clienti affezionati”.
Cioccolato Argento è stato aperto grazie a capitale privato “finanziamenti agevolati non ne ho avuti – racconta Paola – ho fatto tutte le pratiche per ottenere il FURP dalla Regione Toscana (finanziamento agevolato a tasso zero per imprese del settore Artigiano, Cooperazione e Industria), sono stata anche ammessa in graduatoria e ne avrei avuto diritto ma l’erogazione è cessata per esaurimento dei fondi. Per il business plan e le altre pratiche mi ha seguito ASSEFI, della Camera di Commercio di Pisa”.
Per imparare il mestiere Paola ha seguito corsi e stage presso diversi maestri cioccolatai e nel primo periodo di apertura del laboratorio si è fatta affiancare da un consulente che l’ha aiutata nella gestione delle diverse fasi di lavorazione dei prodotti. ”Nel mio mestiere l’innovazione passa attraverso il gusto, non attraverso il processo di produzione, che resta invariato. Cambio accostamenti, creo sapori nuovi, per far godere tutti i sensi, non soltanto la vista”.
Cioccolato Argento parteciperà all’evento dedicato al settore, il Salon du Chocolat a Milano, dal 9 al 12 febbraio 2017.
Per info e ordini ecco la Pagina Facebook di Cioccolato Argento.

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Marco Biasin ci racconta FruttaWeb.com, il primo e-commerce di frutta fresca https://www.business.it/marco-biasin-ci-racconta-fruttaweb-com-primo-commerce-frutta-fresca/ Thu, 15 Dec 2016 11:01:52 +0000 https://www.business.it/?p=6887 FruttaWeb, l’opportunità di ordinare online frutta fresca di alta qualità FruttaWeb.com è un e-commerce di ortofrutta che mette a disposizione dei suoi utenti oltre 1.300 prodotti, tra frutta e verdura, provenienti da tutto il mondo. Probabilmente ne avrete già sentito parlare perché è una startup tutta italiana che sta ottenendo dei grandi risultati. È infatti il primo e-commerce… Leggi tutto »Marco Biasin ci racconta FruttaWeb.com, il primo e-commerce di frutta fresca

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FruttaWeb, l’opportunità di ordinare online frutta fresca di alta qualità

FruttaWeb.com è un e-commerce di ortofrutta che mette a disposizione dei suoi utenti oltre 1.300 prodotti, tra frutta e verdura, provenienti da tutto il mondo. Probabilmente ne avrete già sentito parlare perché è una startup tutta italiana che sta ottenendo dei grandi risultati. È infatti il primo e-commerce di prodotti ortofrutticoli extra freschiche consegna ai propri clienti entro un massimo di 48 ore, in Italia ed Europa.

Basta registrarsi su www.fruttaweb.com, scegliere cosa ordinare tra i tantissimi prodotti, molti dei quali piuttosto rari e difficilmente reperibili presso i comuni supermercati, ed attendere dalle 24 alle 48 ore. È possibile effettuare gli ordini anche tramite un veloce messaggio WhatsApp.
Non vi sveliamo di più perché abbiamo intervistato Marco Biasin, CEO e Founder della giovane startup, che ci ha raccontato la storia di FruttaWeb.com.

Marco Biasin CEO&founderfruttaweb
Marco Biasin, CEO e Founder di Fruttaweb.com

Come è nata l’idea di Frutta Web, l’e-commerce italiano di frutta fresca?

“Dopo essermi laureato ho riscontrato non poche difficoltà ad inserirmi nel mondo del lavoro, così ho deciso di aiutare mio padre nella sua azienda ortofrutticola. Da subito mi sono reso conto della grande arretratezza tecnologica del settore. Mosso dalla passione per il mio lavoro, ho deciso di innovare la metodologia di vendita di frutta e verdura attraverso l’uso del digitale, andando ad inserire prodotti tipicamente venduti nei negozi, sul web. Solo in un secondo momento ho capito, insieme al team di Frutta Web, l’opportunità di essere il primo vero e proprio Amazon della frutta Inizialmente timorosi, ma con il giusto livello di spregiudicatezza, abbiamo raggruppato le conoscenze e competenze necessarie per iniziare l’avventura di Frutta Web.”

Come riesce Frutta Web ad effettuare le consegne in sole 24/48 h dalla ricezione dell’ordine?

“Grazie all’azienda madre nella quale siamo cresciuti, abbiamo potuto affidarci ad una rete logistica e di fornitori favolosa, che ci ha permesso di proporre sul sito più di 1.300 prodotti. La velocità logistica ci ha permesso di non dover per forza acquistare i prodotti prima di averli venduti senza compromettere la rapidità della spedizione. Non siamo stati costretti così a fare magazzino, e questo ci ha dato un vantaggio competitivo senza prezzo. Ora, circa la metà degli ordini che riceviamo vengono consegnati al cliente in 24h, mentre circa l’altra metà in 48h.

Come riuscite a garantire un’alta qualità e freschezza dei prodotti?

“Ci siamo concentrati sul packaging del prodotto. Studiando i corretti metodi di confezionamento, attraverso determinati materiali specifici, un attento posizionamento dei prodotti all’interno del box e l’utilizzo di ghiaccio gel, riusciamo a garantire una freschezza e una qualità della frutta eccellente.”

Quali sono i vostri obiettivi per il futuro?

“In questi due anni dalla nascita di FruttaWeb i risultati conseguiti sono stati molti: abbiamo servito più di 10.000 clienti, fatturando complessivamente oltre 1 milione. Continuiamo a crescere mese su mese, ma siamo determinati e preparati a raggiungere nuovi obiettivi. Agli inizi di dicembre abbiamo inaugurato una nuova sede, per rispondere alla domanda crescente dei nostri clienti e per accogliere nuovi membri del team.”

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Cibo del futuro, assegnati i premi Future Food https://www.business.it/cibo-del-futuro-assegnati-i-premi-future-food/ Sat, 03 Dec 2016 09:00:46 +0000 https://www.business.it/?p=1546 Come sarà il cibo del futuro? L’agricoltura può diventare digitale? Quali sono le app più utili da tenere in cucina? Queste le domande del Future Food, la startup competition dedicata al cibo e all’agroalimentare che quest’anno ha premiato 16 progetti e startup, in arrivo da tutt’Italia. Il premio è il momento conclusivo di una selezione… Leggi tutto »Cibo del futuro, assegnati i premi Future Food

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Cibo del Futuro, un campo di granoCome sarà il cibo del futuro? L’agricoltura può diventare digitale? Quali sono le app più utili da tenere in cucina? Queste le domande del Future Food, la startup competition dedicata al cibo e all’agroalimentare che quest’anno ha premiato 16 progetti e startup, in arrivo da tutt’Italia. Il premio è il momento conclusivo di una selezione a cura del business incubator Digital Magics, in collaborazione con Gruppo Intesa Sanpaolo.

Il cibo del futuro: quale idea per l’avvenire

Dei 76 progetti in gara, la giuria di esperti – professionisti di impresa, finanza, ricerca e sviluppo ma anche food&beverage – ha selezionato 16 diverse proposte. Eccole qui

  • 3Bee è un alveare hi-tech che, dall’interno dell’arnia, invia all’apicultore parametri e dati sull’attività delle api.
  • Agricolus, making precision farming easier, utilizza satelliti, droni, sensori, GPS, per individuare il più efficace metodo di coltivazione dei singoli campi.
  • Alma Eureka promette di allevare insetti commestibili in filiera corta. Gli insetti, infatti, mangeranno scarti di lavorazione di prodotti locali. E noi mangeremo insetti.
  • Cooki è pensato per chi prepara e vende alimenti e deve gestire le ricette. Indica, per ogni ricetta, valori nutrizionali, presenza di allergeni, indicazioni sulle modalità di preparazione anche in base alle direttive nazionali ed europee.
  • Edo, invece, è destinato all’utente finale è fornisce una valutazione, da 0 a 10, sul valore salutistico degli alimenti per il cibo del futuro
  • Kase promette di aiutare chi si occupa di logistica, con un’attenzione particolare a chi gestisce i trasporti su camion refrigerati.
  • Le Cesarine sono cuoche casalinghe esperte che organizzano in casa cene a base di ricette tradizionali. Tutto, naturalmente, gestito con una app.
  • Il cibo del futuro è soprattutto cibo per bambini. Ecco allora Mamma M’Ama che produce e vende pappe per lo svezzamento
  • Su MyAgry sarà possibile comprare on line la propria produzione agricola, dall’orto al frutteto, scegliendo non solo cosa produrre ma quanto e come. La produzione sarà poi recapitata direttamente a casa dell’acquirente.
  • MyCheffy è una piattaforma on line per far arrivare a casa il proprio personal chef a domicilio.
  • MyEatness permette di produrre cibi ipersalutari, nel pieno rispetto dei tempi della natura.
  • Anche MagicBox è dedicato ai salutisti. La scatola magica permette la coltivazione aeroponica, per la produzione in serra, ma senza terreno, di prodotti agroalimentari totalmente bio e naturali
  • Chi non ha mai pensato “Cosa prepariamo oggi per cena?”. Quomi risponde a questo interrogativo attraverso l’organizzazione di un menù settimanale, dalla spesa alla tavola.
  • Per chi non ha il pollice verde, ma vuole coltivare sul balcone di casa le verdure da mangiare, arriva RobotFarm, una mini serra aeroponica per la produzione di verdura.
  • Maturum Project è invece pensato alla produzione industriale e permette di calcolare, con esattezza, il grado di maturazione dei prodotti agroalimentari
  • Per gli amanti della birra artigianale, infine, arriva la piattaforma e-commerce WeBeers che seleziona birra e birrifici tramite catalogo on line.

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Menù Engineering, una scienza per aumentare i guadagni https://www.business.it/menu-engineering-una-scienza-per-aumentare-i-guadagni/ Wed, 30 Nov 2016 07:30:49 +0000 https://www.business.it/?p=1616 Matematica e psicologia alleate per aumentare i guadagni dei ristoratori utilizzando il menù come unico strumento. Nato negli anni ’80 negli Stati Uniti arriva anche in Italia il Menù Engineering: una branca della scienza che attraverso il giusto mix fra le due discipline studia come far spendere di più al ristorante. Aumentando così il guadagno… Leggi tutto »Menù Engineering, una scienza per aumentare i guadagni

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Matematica e psicologia alleate per aumentare i guadagni dei ristoratori utilizzando il menù come unico strumento.
Nato negli anni ’80 negli Stati Uniti arriva anche in Italia il Menù Engineering: una branca della scienza che attraverso il giusto mix fra le due discipline studia come far spendere di più al ristorante. Aumentando così il guadagno del ristoratore.

Come nasce il  Menù Engineering

“Una vera e propria scienza, sorta grazie all’intuizione di due professori universitari,  Kasavana e Smith”, e che in italiano potremmo tradurre come ingegneria del menù”  spiega Lorenzo Ferrari  esperto di Menù Engineering.
I due professori universitari per il loro studio partirono da un semplice presupposto: che la scelta di cosa mangiare sia facilmente influenzabile. Un assunto che verificarono dopo una serie di test.
E in fondo basterebbe pensare a quante volte seduti alla tavola di un ristorante la nostra scelta sia influenzata, ad esempio, da cosa mangiano i nostri commensali, dal suggerimento di un cameriere. O dal prezzo delle portate.

Come funziona il  Menù Engineering

menu-EngineeringDall’intuizione dei due docenti statunitensi la materia si è molto evoluta, arrivando a individuare che sono una miriade di fattori differenti a influenzarci nella scelta del menù.
“Il mio compito – spiega Ferrari – è far combaciare i bisogni del cliente con quelli del ristoratore, che deve guadagnare a sufficienza da un piatto per far crescere la sua azienda”.
Per farlo, la grafica e l’organizzazione del menù che il cliente consulterà sono fondamentali. Ad esempio non incolonnare uno sotto l’altro i prezzi delle diverse portate. “Questa pratica – spiega Ferrari – ha conseguenze nefaste per gli incassi, perché facilita il paragone tra i prezzi, e  statisticamente, tende a far pesare molto di più la variabile ‘prezzo’ sulla scelta del cliente”.
Su un menù ingegnerizzato, dunque, non troveremo mai i prezzi incolonnati, “ma – continua – saranno sempre aderenti alle descrizioni o ai titoli dei vari piatti. Ciò determina un aumento della spesa media, in quanto cliente tenderà a scegliere in base alle sue vere esigenze, e non solamente in base al prezzo”.
Ma sono molti i “trucchi” che gli ingegneri del menù utilizzano, come ad esempio la presenza dei cosiddetti punti di ancoraggio visivo, come cornici, voci in grassetto, colori differenti: “utili  per catturare l’attenzione del cliente verso determinate voci e incentivarne la vendita”.

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Bio-franchising: arriva il biologico in affiliazione https://www.business.it/bio-franchising-arriva-il-biologico-in-affiliazione/ Tue, 22 Nov 2016 08:00:59 +0000 https://www.business.it/?p=1402 Nuove frontiere del retail con il bio-franchising, punti vendita in affiliazione dedicati ai prodotti biologici. Con l’espansione del settore bio, l’unico in crescita nonostante la crisi e il crollo dei consumi alimentari, era prevedibile che reti e catene commerciali decidessero di puntare sui prodotti biologici: all’agroalimentare ai prodotti di cosmesi, passando per i prodotti per… Leggi tutto »Bio-franchising: arriva il biologico in affiliazione

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Nuove frontiere del retail con il bio-franchising, punti vendita in affiliazione dedicati ai prodotti biologici. Con l’espansione del settore bio, l’unico in crescita nonostante la crisi e il crollo dei consumi alimentari, era prevedibile che reti e catene commerciali decidessero di puntare sui prodotti biologici: all’agroalimentare ai prodotti di cosmesi, passando per i prodotti per la casa e l’abbigliamento.

Food e Bio-franchising: ecco i centri specializzati

Si tratta per lo più di colossi commerciali che hanno deciso di avviare punti vendita specializzati. Alcuni di questi sono a tutti gli effetti negozi in affiliazione. È il caso di Naturasì, la catena di supermercati bio, originaria di Verona, che oggi conta 128 biosupermercati. La formula del franchising permette di affiliarsi al marchio, acquisendo assistenza tecnica e consulenza sul metodo di lavoro assicurando, per contro, il rispetto degli standard e dei modelli di gestione dell’azienda madre. Non affiliati, ma legati ad un marchio di distribuzione, ci sono anche altri nomi noti della vendita di biologico. Rientrano nella categoria anche i punti vendita Piacere Terra, che conta già 5 punti vendita, i francesi di Bio c’ Bon, i torinesi di Almaverde Bio Market. Secondo i dati di forniti da Smartweek, i negozi specializzati di bio-franchising rappresentano il 35% del valore di bio-retail, per un totale di 750 milioni di euro

Anche la grande distribuzione si fa biologica

Oltre che nei bio-franchising, le produzione biologiche spopolano anche sugli scaffali della grande distribuzione che punta bio-franchisingsempre più spesso su marchi proprio ma bio. La lista è lunghissima: Esselunga Bio, Coop – vivi verde, Conad il Biologico, Carrefour Bio, Crai Bio, Despar Biologico. In tutto, la grande distribuzione organizzata rappresenta il 40% del valore di bio-retail, per un valore complessivo di 855 milioni di euro. La quota restante del mercato è divisa fra i mercatini, i gruppi di acquisto solidale, l’e-commerce e le farmacie.

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Food Ink: ristorazione futuristica in 3D https://www.business.it/food-ink-ristorazione-futuristica-in-3d/ Sun, 13 Nov 2016 09:00:07 +0000 https://www.business.it/?p=6181   La nuova frontiera della gourmet experience si chiama Food Ink e promette di soddisfare il palato e non soltanto. Food Ink è il primo ristorante con menù creati grazie ad un modello innovativo di stampante 3D e ‘cotti’ con le tecniche della cucina molecolare. Ma la novità che propone non è si ferma qui… Leggi tutto »Food Ink: ristorazione futuristica in 3D

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La nuova frontiera della gourmet experience si chiama Food Ink e promette di soddisfare il palato e non soltanto. Food Ink è il primo ristorante con menù creati grazie ad un modello innovativo di stampante 3D e ‘cotti’ con le tecniche della cucina molecolare. Ma la novità che propone non è si ferma qui perché Food Ink è stato concepito come un’esperienza globale in cui la cucina di autore è soltanto l’elemento centrale attorno a cui ruotano le altre sollecitazioni sensoriali.

Food Ink: il format innovativo

i due fondatori di Food Ink
Antony Dobrzensky e Marcio Barradas, i due founders di Food Ink, sono due amanti dell’innovazione che hanno messo a punto un format futuristico che utilizza le  molteplici possibilità offerte dalle nuove tecnologie per far vivere ai commensali un vero e proprio salto in avanti nel tempo. Avvalendosi di un team di creativi composto da architetti, videoartisti, ingegneri, sommelier, scienziati e del sapere gastronomico di due grandi cuochi pluristellati dalla Michelin, hanno progettato ogni dettaglio della cena del futuro. Arredi e apparecchiatura sono stati progettati e stampati anch’essi in 3D. Mentre la musica ambient è stata composta da un’intelligenza artificiale per accompagnare l’esperienza della visione con realtà aumentata che gli ospiti vivono durante la cena. I due master chef Mateu Blanch e Joel Castanye cucinano e impiattano le diverse portate in diretta, davanti agli occhi dei commensali, utilizzando una stampante 3D creata per loro dalla byFlow, una compagnia specializzata nella realizzazione di modelli portatili multimateriali. Gli ingredienti di base sono tutti prodotti freschi a chilometro zero precedentemente elaborati con i metodi della cucina molecolare fino a raggiungere quello stato liquido o polverizzato che utilizza la stampante.

Food Ink World Tour

Food Ink è un format concepito come pop-up e prevede un world tour. Per adesso è già stato ospitato lo scorso aprile nei Paesi Bassi, a Vila Flora (non distante da Amsterdam) e questa estate a Londra. Il 9,10 e 11 novembre il tour toccherà la Spagna, e Food Ink sarà a La Boscana, vicino a Barcellona. Il tour toccherà prossimamente anche Roma ma ad ora la data non è stata fissata. Sul sito consigliano di fare una prenotazione dal momento che i posti sono limitati. Il costo dell’esperienza non è indifferente (l’evento in Spagna si aggira sui 180 euro) ma lo chef Fabio Tacchella (consigliere della Federazione Italiana Cuochi) la segnala come iniziativa molto interessante.

[FOTO di “Food Ink”]

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Mobile food health https://www.business.it/mobile-food-health/ Fri, 04 Nov 2016 09:13:43 +0000 https://www.business.it/?p=6030 Ordineremo sempre più cibo a domicilio, e questo cibo sarà sano. I trend globali sul cibo infatti ci dicono che le tendenze dominanti sono quelle del bio, della cucina naturale e di un’alimentazione sempre più pensata per le nostre esigenze di consumatori moderni o, come dice qualcuno, prosumer. Si tratta infatti non solo di consumare… Leggi tutto »Mobile food health

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Ordineremo sempre più cibo a domicilio, e questo cibo sarà sano.
I trend globali sul cibo infatti ci dicono che le tendenze dominanti sono quelle del bio, della cucina naturale e di un’alimentazione sempre più pensata per le nostre esigenze di consumatori moderni o, come dice qualcuno, prosumer. Si tratta infatti non solo di consumare del cibo, ma di acquistare prodotti che rispecchiano la nostra personalità e i nostri valori, prodotti con i quali identificarsi.
Qualche tempo fa la società Squadrati Marketing di Milano ha realizzato lo strumento che vedete in foto, ovvero il quadrato semiotico dei foodies. Il quadrato semiotico è uno strumento usato dagli strutturalisti degli anni ’70 per definire modelli semiotici di interpretazione della realtà, questa volta utilizzato per analizzare il mondo del cibo e il nostro atteggiamento nei suoi confronti. Dai caserecci ai gourmet, dagli eco-salutisti agli hipster, tutti facciamo capo ad uno degli angoli del quadrato, e le aziende devono tenerne conto quando mettono sul mercato nuovi prodotti o servizi, o quando impostano campagne pubblicitarie e strategie di branding.
Le novità in ambito food degli ultimi anni prevedono soluzioni altamente centrate sull’esperienza del cliente che si configura sempre più come il vero “prodotto” da vendere. Pensate ad esempio al dilagare dei siti di social eating: non solo Gnammo, ma anche tantissimi supper club privati grazie ai quali il mercato della ristorazione si è aperto ai non professionisti – uno dei più gettonati è Ma’ Hidden Kitchen Supper Club.
Per non parlare di tutti i servizi di food delivery che stanno prendendo piede: dal più diffuso Just Eat all’ultimo Yumami, che consegna a domicilio cibo salutare e bilanciato sulla base delle nostre esigenze nutrizionali. Se aggiungiamo a queste piattaforme le numerose app per lo sport – dallo sharing alla preparazione atletica – disponibili su App Store o Google Play, vediamo che il mobile sta diventando uno strumento sempre più ricco per guidarci nella nostra vita quotidiana, anche sui temi del cibo e della salute.

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IN – Intelligenza nutrizionale: la nuova frontiera della ristorazione ospedaliera https://www.business.it/in-intelligenza-nutrizionale-la-nuova-frontiera-della-ristorazione-ospedaliera/ Thu, 03 Nov 2016 08:30:59 +0000 https://www.business.it/?p=6012 Per indicare un ristorante dove si mangia male, dove i cibi non hanno sapore e i piatti sono esteticamente sgradevoli diciamo che il cibo è “da ospedale”. Il fatto che negli ospedali si mangi male è infatti opinione diffusa, quasi sempre purtroppo confortata dai fatti. Ma potremmo estendere il giudizio e dire in generale che… Leggi tutto »IN – Intelligenza nutrizionale: la nuova frontiera della ristorazione ospedaliera

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Per indicare un ristorante dove si mangia male, dove i cibi non hanno sapore e i piatti sono esteticamente sgradevoli diciamo che il cibo è “da ospedale”. Il fatto che negli ospedali si mangi male è infatti opinione diffusa, quasi sempre purtroppo confortata dai fatti. Ma potremmo estendere il giudizio e dire in generale che in tutta la ristorazione collettiva si mangia male: chi di voi conosce una mensa rinomata per il buon vitto, o nella quale si va con piacere?
Per ovviare a questa situazione Niko Romito, cuoco 3* Michelin, Lorenzo Miraglia, imprenditore della sanità privata titolare dell’ospedale Cristo Re di Roma e Lorenzo Maria Donini, docente universitario del dipartimento di Scienza dell’alimentazione e della nutrizione umana dell’università La Sapienza  di Roma, hanno unito le forze in un progetto che si chiama IN – Intelligenza nutrizionale: un protocollo fatto di metodi di cottura, conservazione e rigenerazione degli alimenti che rinnova completamente sia la forma che la sostanza della ristorazione ospedaliera, e promette di farlo anche nella ristorazione collettiva nel suo complesso.
Partendo dalla constatazione che il cibo deve essere la prima cura per i pazienti e che invece la degenza in ospedale è spesso causa di malnutrizione, lo chef Romito ha completamente rivoluzionato il menu dell’Ospedale Cristo Re di Roma, sede del progetto pilota grazie alla partecipazione della proprietà della famiglia Miraglia e della società di gestione GioService, parte dello stesso gruppo industriale, con il supporto del laboratorio Analysis che ha effettuato test approfonditi sugli alimenti prima e dopo l’applicazione del nuovo metodo e dell’università La Sapienza che ha impostato le linee guida sperimentali del progetto e ne ha certificato la validità scientifica.
Il risultato è un nuovo metodo per la preparazione degli alimenti che, utilizzando le stesse materie prime e lasciando invariato food cost e personale, assicura piatti insieme più nutrienti e più gustosi e apre al contempo nuovi orizzonti al business della ristorazione collettiva. Perché aver creato una metodologia scientifica e perciò replicabile per la produzione massiva di pasti, garantendo preparazioni di qualità a costi contenuti, apre la strada ad un rinnovamento dell’intero comparto della ristorazione collettiva che in questo modo rinnova completamente la propria immagine e la qualità del servizio offerto, peraltro ottimizzando notevolmente i processi produttivi e le procedure interne.

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