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Tecnologia: il primo lavoratore della storia ad essere licenziato da un computer

Non contenti di prendere il nostro lavoro, le macchine hanno già iniziato a licenziare persone. Il progresso tecnologico degli ultimi cento anni ha stuzzicato la fantasia degli artisti che hanno prodotto molte visioni fantascientifiche in cuile macchine si ribellavano agli umani. Ma c’è una storia che ha dell’incredibile, quella accaduta a Ibrahim Diallo, impiegato di una grande azienda largamente informatizzata. Uno sviluppatore di software californiano ha rivelato come è stato licenziato dal suo lavoro da una “macchina in cerca di sangue”, e persino i suoi dirigenti sono stati impotenti a fermarlo. “Non è stata la prima volta che la mia chiave magnetica è fallita, ho pensato che fosse giunto il momento di sostituirla.” Cominciò così una sequenza di eventi che vide Ibrahim Diallo licenziare dal suo lavoro, non dal suo manager ma da una macchina. Ha descritto dettagliatamente la sua storia in un blogpost che spera serva da avvertimento alle aziende sul fatto di affidarsi troppo all’automazione. “L’automazione può essere una risorsa per un’azienda, ma ci deve essere un modo in cui gli esseri umani possono subentrare se la macchina commette un errore”, scrive.

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L’uomo racconta la sua storia

In un ammonimento sui pericoli dell’automazione – e forse del futuro che ci attende tutti – Ibrahim Diallo ha raccontato la bizzarra sequenza di eventi iniziata con un messaggio vocale del mattino presto e si è conclusa con lui scortato dall’edificio da due guardie di sicurezza. Una mattina come tante, si reca sul posto di lavoro: una di quelle grandi corporation in cui i dipendenti di un reparto non conoscono personalmente quelli di un altro e l’ingresso negli edifici è gestito con una serie di cartellini elettronici. Quella mattina, il primo cartellino non gli funziona. Diallo pensa a un errore tecnico e non ci fa troppo caso. Successivamente, anche il cartellino per l’ingresso più interno gli dà un errore. Riesce a entrare grazie al portiere e comunica la situazione al suo diretto superiore. Nei giorni seguenti, non solo la situazione dei cartellini rimane tale e quale, ma viene dapprima espulso dal gestionale online dell’azienda e poi dal suo stesso PC.

Nessuno dei suoi superiori sa cosa stia succedendo, hanno solamente ricevuto una catena di mail aziendali, scritte da un computer, che gli comunicavano che Diallo non faceva più parte dell’organico. La vicenda culmina quando due addetti alla sicurezza prendono sotto le braccia Diallo e lo scortano fuori l’edificio, dopo aver ricevuto una mail ufficiale che ordinava loro l’espulsione del dipendente. Ci vollero tre settimane per vedere i capi del signor Diallo per scoprire perché era stato licenziato. Per tre settimane Diallo è rimasto a casa, non retribuito, licenziato da una catena di mail. Il suo manager, che gli è sempre stato accanto, è infine riuscito a reinserirlo e ha scoperto il problema: l’ex direttore delle risorse umane, da poco costretto a licenziarsi in seguito a una fusione, aveva svolto approssimativamente i suoi ultimi giorni di lavoro e si era scordato di inserire il rinnovo del contratto di Diallo nel nuovo sistema. Il computer, che muove i fili dell’azienda in modo invisibile, aveva quindi seguito la procedura di licenziamento di un ex dipendente.

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E poi c’è il lato umano della vicenda

Sebbene al signor Diallo fosse stato permesso di tornare al lavoro, aveva perso il salario di tre settimane ed era stato scortato dall’edificio “come un ladro”. Ha dovuto spiegare la sua scomparsa agli altri e ha scoperto che i suoi colleghi lo tenevano lontano. Diallo si è licenziato poco dopo: far parte di una corporation impersonale governata da un robot non rientrava nei suoi piani di vita. Decise di trasferirsi in un altro lavoro. La sua storia dovrebbe servire da ammonimento sulla relazione uomo-macchina, pensa l’esperto di intelligenza artificiale Dave Coplin. “È un altro esempio di fallimento del pensiero umano in cui consentono di essere umani contro macchine piuttosto che umani più macchine”, ha detto. “Una delle abilità fondamentali per tutti gli umani in un mondo di intelligenza artificiale è la responsabilità – solo perché l’algoritmo dice che è la risposta, non significa che lo sia realmente.” La vicenda capitata a quest’uomo mina il percorso di robotizzazione del lavoro e riaccende un dibattito mai placatosi: può l’intelligenza artificiale sostituirsi a quella umana, svolgendo le mansioni in maniera migliore?

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