Non era partita male, la rivoluzione personale di Giovanni Toti, con i primi sondaggi che davano la sua creatura figlia della secessione, “Cambiamo!”, al 2,3%. Un dato che però è andato poi calando, inesorabile:i numeri attuali parlano del 2 per cento nel più benevolo dei casi e dello 0,8 nel peggiore. Il tutto nonostante cinque deputati (Manuela Gagliardi, Giorgio Silli, Alessandro Sorte, Stefano Benigni e Claudio Pedrazzini) si fossero mossi per costituire alla Camera la componente totiana.
Peccato, però, che a scombinare i piani di Toti sia arrivato il partito di Matteo Renzi, subito predatorio nei confronti di Forza Italia e con una capacità di attrattiva decisamente superiore. Nel giro di pochissimi giorni dopo la costituzione dei gruppi parlamentari, eccolo subito rafforzarsi con due arrivi dal Pd, il leader dei “Moderati” Portas, e la senatrice Vono annunciata in viaggio dal MoVimento Cinque Stelle.
Non bastasse, Mara Carfagna è riuscita a portare a cena ben cinquantacinque parlamentari azzurri che oscuravano i numeri totiani. E così i nodi sono venuti al pettine: il patto con Salvini è arrivato nel momento peggiore possibile, con lo strappo leghista all’orizzonte. E con Berlusconi che offrendo a Toti un ruolo da coordinatore in realtà privo di poteri lo ha di fatto disarmato.
E così Toti, forte ancora del grande consenso di cui può far vanto in Liguria, ha invertito la rotta. Rinunciando alla campagna personale nel corso delle prossime Regionali e tendendo la mano, a sorpresa, a Berlusconi. Un segnale di pace o quantomeno un rinvio della resa dei conti, ora che d’altronde il centrodestra tenta di mostrarsi unito agli occhi degli elettori. Per il duello all’ultimo sangue con il Cav, ripassare più tardi. Magari, in un contesto leggermente più favorevole.
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