Ha fatto un po’ scalpore il fatto che Tria abbia lasciato anticipatamente il Lussemburgo per fare rientro in Italia. Le versioni sono due: o è tornato di sua sponte perché troppo impegnato in patria per la manovra finanziaria della discordia, oppure a casa ce l’hanno proprio mandato loro, dicendogli di ritornare una volta fatti i compiti per bene. Come quando si andava a scuola, per capirci. Ed ecco quindi che la seconda versione appare la più credibile, perché ora emergono retroscena su come Tria abbia presentato i nostri conti al tavolo.
È stato come se Tria avesse provato a fare una “mandrakata” ma non gli sia riuscita. A Lussemburgo, il nostro ministro dell’Economia si è presentato cercando di giustificarsi per quel 2,4% di deficit per il prossimo triennio. Ma lo ha venduto con formule tecniche a dir poco risibili. E la voce è corsa così veloce che ora siamo diventati non solo i pazzi che tentano di sovvertire il sistema, ma anche degli zimbelli.
Il nostro Tria in versione “ragionier Filini” ha provato a dire che il 2,4% è composto da due parti. La prima, il 2%, è dato dall’andamento tendenziale del deficit ereditato da Piercarlo Padoan. Il governo Gentiloni lo aveva indicato allo 0,8%, ma scontava l’aumento dell’Iva (12,5 miliardi, 0,8% del Pil). Senza quest’aumento, sarebbe arrivato all’1,6%. Mettici un po’ di minore crescita, e già sfiorava il 2% in modo spontaneo. E qui arriva la “mandrakata”.
Tria ha voluto dire che quello 0,4% in più, arriva dall’aumento degli investimenti. Ma mica sono scemi a Lussembrugo. Le regole di contabilità europea le hanno fatte loro. Il nostro ministro ha provato quindi a dire che, in realtà, il deficit per il 2019 sarebbe rimasto al 2%. In quanto – ha spiegato – difficilmente l’Italia sarebbe riuscita a spendere in un anno 8/10 miliardi per gli investimenti…
Con il risultato che quello 0,4% di mancati investimenti, poi, li conteggiava come pure riduzione del debito; in quanto non spesi. Un po’ troppo anche per i loro palati forti, forgiati da aringhe a colazione. Così, prima che illustrasse la “mandrakata” all’Ecofin, gli è stato fatto capire che era meglio se tornava a Roma a rifare i conti. E così è stato. Una figura esemplare la sua, e la nostra.
Che poi, poveretto, ancora in molti si chiedono se sia lui il vero autore della manovra, e non quel Paolo Savona che Mattarella aveva bocciato al ministero dell’economia. Se anche questo fosse vero, al povero Tria è toccato di andare a difendere una manovra non sua e beccarsi pure la tirata di orecchie per non aver saputo fare i conti che non erano nemmeno suoi. Quante nuove dal governo del cambiamento.