Entra nel vivo l’inchiesta della procura di Milano sul Pio Albergo Trivulzio, struttura finita nella bufera per la gestione dell’emergenza coronavirus e alla quale guarda ora con apprensione una Regione, guidata dal leghista Fontana, ormai sotto assedio. Medici e infermieri saranno ascoltati dagli investigatori in videoconferenza per capire il motivo di quei quasi 200 morti nel più grande polo geriatrico d’Italia, per i quali i pm Mauro Clerici e Francesco De Tommasi hanno aperto un fascicolo per epidemia e omicidio colposi. Indagati, al momento, il direttore generale Giuseppe Calicchio e la struttura.
Non ci sono soltanto i decessi, però, a far paura. Ai morti va aggiunto un personale ormai decimato dal virus: è positivo o ha sintomi quasi uno su 4 dei circa 1.100 tra medici, infermieri e operatori sanitari. Gli stessi che, in questi giorni, hanno denunciato una serie di irregolarità che avrebbero contribuito all’aggravarsi della situazione, a partire dalla mancanza di mascherine che sarebbero state addirittura “vietate per non allarmare gli ospiti”.
Un’infermiera, già ascoltata, ha parlato di mancanza di presidi sanitari e del continuo viavai di parenti dall’istituto anche dopo che l’epidemia era ormai esplosa e sotto gli occhi di tutti, mentre pazienti e anziani con sintomi sospetti non sarebbero mai stati isolati dagli altri nonostante i rischi di contagio. Parole che confermano quanto già emerso negli scorsi giorni
Nel mirino degli investigatori c’è ora la catena di comando, per capire le disposizioni date alle case di riposo e il motivo per cui sono state adottate misure così scellerate. Nel mirino resta l’ormai famigerata
delibera dell’8 marzo con cui la Regione ha chiesto alle case di riposo di creare reparti Covid per accogliere pazienti “a bassa intensità” provenienti dagli ospedali allo stremo, e “rimborsati” 150 euro al giorno. Sarebbero solo 15 le rsa che lo hanno fatto, tra cui la Fondazione Don Gnocchi, dove sono morti più di 150 ospiti, a fronte però della metà dei posti letto della Baggina.
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