Tempo di analisi e giudizi poco clementi all’interno del Movimento Cinque Stelle, dopo i risultati delle elezioni regionali in Abruzzo che hanno segnato un flop senza appello. E scatenato, come da prassi, la famigerata “caccia al colpevole”, che molti militanti ed esponenti pensano già di aver individuato in Davide Casaleggio. Vengono messe in discussione le sue capacità di stratega politico, le regole auree di cui è sacerdote, il ruolo della stessa piattaforma Rousseau.
Difficile, però, far scendere dal trono il guru assoluto del Movimento. Salvo una vera e propria rivoluzione. Ecco perché in queste ore emerge, tra i Cinque Stelle, la necessità di strutturarsi come “partito” e di abbandonare le ultime briciole di movimentismo rimaste, come rivela l’Huffington Post. In molti vogliono un vice di Luigi Di Maio, che lo aiuti perché “da solo non ce la fa”. E poi creare una segreteria politica nazionale, nominare dei dirigenti e, per radicarsi nei territori, avere dei coordinatori regionali.
Un’operazione che mira a erodere parte di quel potere oggi nelle mani di Casaleggio. D’altronde, Davide non è Gianroberto: “Non ha la visione politica del padre – sostengono esponenti di peso del M5S – né è in grado di capire quando si devono mettere in discussione le regole interne”. La prima virata aprirebbe le porte del Movimento alle alleanze con le liste civiche, anche se solo in occasione delle elezioni regionali. Troppo tardi per il voto in Sardegna, che arriverà tra due settimane e dove la sconfitta è già messa in conto.
Anche il metodo di selezione dei candidati per le regionali, però, crea malcontento. E nel mirino finisce la piattaforma Rousseau, la creatura di Casaleggio: “Siamo costretti ad affidarci totalmente a Rousseau e al voto online. Tanto che in Abruzzo non abbiamo potuto presentare neanche un candidato de L’ Aquila, perché nei paesini lì intorno c’ era qualcuno che aveva ottenuto più clic: una follia”.
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