Un centrosinistra che abbia finalmente un senso di unità dietro l’apparenza, tenuto unito non più soltanto dalle condizioni incidentali ma anche da un programma condiviso, da obiettivi comuni. Ci hanno lavorato a lungo, in questi mesi, i dem guidati da Nicola Zingaretti e quell’ala del Movimento Cinque Stelle che fa capo innanzitutto a Luigi Di Maio e Beppe Grillo. Ottenendo alla fine i risultati sperati, con la nascita di un nuovo asse. In attesa del voto su Rousseau, che benedica l’operazione. Ma con il risultato già ampiamente in tasca dopo settimane di avvicinamenti reciproci, a volte faticosi.
Quella che era nata come semplice alleanza di governo (secondo l’opposizione, “un patto per tenere lontano da Palazzo Chigi”), assume oggi i connotati, ben diversi, di una coalizione politica ed elettorale. Che muoverà i primi passi nel corso delle prossime Regionali, quando in alcuni territori dem e pentastellati andranno compatti all’assalto del blocco di centrodestra, dato per favorito in almeno quattro delle sei partite in corso. E che ha come effetto collaterale, per nulla sgradito, quello di un indebolimento della figura di Giuseppe Conte.
Il premier che fin qui era stato perno fondamentale per l’unità giallorossa può infatti finalmente scendere dal piedistallo, lasciando spazio ai leader dei due partiti che d’ora in poi saranno finalmente arbitri delle rispettive partite. Uno scenario che piace tanto a Di Maio quanto a Zingaretti, schiacciati in questi ultimi mesi dalla popolarità di un premier che agli occhi degli italiani è continuato a sembrare il vero faro dell’azione politica del governo.
Un Conte più debole, insomma, un patto di governo più forte. Per affrontare compatti i tranelli, tanti, disseminati lungo il cammino di un esecutivo che sogna di arrivare fino al 2022, anno in cui toccherà scegliere il nuovo presidente della Repubblica. E per resistere ai possibili scherzetti di Matteo Renzi, lui sì ancora inquieto e molto, molto pericoloso.
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