l «bambino zero» da cui partì l’inchiesta di Modena a fine anni ’90 e poi quella giornalistica Veleno di Pablo Trincia ricostruisce per la prima volta quel che accadde 24 anni fa, quando i servizi sociali gli estorsero materialmente le accuse che portano in carcere diverse persone. Compresa la sua famiglia. Davide nel 1997, a 7 anni, raccontò di abusi e violenze subite da suo padre e suo fratello nella loro casa di Massa Finalese, in provincia di Modena. Racconti sconcertanti che parlavano di un fenomeno ben più ampio, con macabre cerimonie nei cimiteri, riti satanici e violenze su altre bambini che venivano anche spinti a uccidere altri coetanei. Oggi rivela che erano tutte invenzioni.
Davide, oggi 31enne, ricostruisce la storia di “Veleno”, con un’intervista a Repubblica, che assieme ad altre testimonianze portarono all’allontanamento dalle rispettive famiglie di 16 bambini che non rividero più i genitori, con decide di arresti, tra cui il padre, la madre e il fratello di Davide. Diversi vennero condannati a molti anni di carcere, altri furono assolti, altri ancora morirono durante le indagini, come una mamma che si suicidò o come don Giorgio Govoni, accusato di essere il capo della setta di pedofili, ucciso da un infarto a due settimane dalla prima sentenza nel 2000.
Davide, che nell’inchiesta Veleno di Pablo Trincia era chiamato “Dario”, era un bambino dato in affido a un’altra famiglia perché, dice, “i miei genitori erano poveri”. Nelle prime fasi aveva la possibilità di tornare a casa dai suoi genitori: “Una volta vidi mia madre naturale molto triste. E divenni cupo anche io”. Con quello stato d’animo Davide tornava dalla famiglia affidataria, dove veniva tartassato di domande dalla madre che poi lo adotterà su possibili maltrattamenti: “Ha insistito tanto che alla fine le dissi di sì. Anche perché avevo paura di essere abbandonato, se non la avessi accontentata. Senza rendermi conto delle conseguenze di quello che stavo facendo”.
A quel punto cominciano i colloqui con la psicologa Valeria Donati e gli assistenti sociali durante i quali Davide si ritrova a svelare abusi e violenza mai accadute: “Ricordo diversi colloqui anche di 8 ore. Non smettevano finché non dicevo quello che volevano loro”. E fu lì che Davide inventò praticamente tutto: “Inventai dei nomi a caso, su un foglio per disperazione. Ho inventato che mio fratello aveva abusato di me, che c’erano delle persone che facevano dei riti satanici. Ma non c’era nulla di vero. Mi sono inventato tutto. Perché se dicevo che stavo bene non mi credeva nessuno. A forza di insistere ho detto quello che si volevano sentir dire”.
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