Un allarme costante, quasi quotidiano. Con gli episodi che si susseguono sulle pagine dei giornali e la rabbia degli utenti sui social, che continuano a chiedere provvedimenti durissimi nei confronti del gruppo Benetton sul fronte autostrade (ovvero la tanto sbandierata revoca). Un quadro reso ancora più inquietante dalle ultime indagini che hanno evidenziato come in tutta Italia ci siano ben 200 gallerie “fuorilegge”, 105 sulla rete in concessione ad Autostrade per l’Italia e 90 alle altre società.
Un’indagine partita con il crollo della galleria Bertè, il 30 dicembre sulla A26, nei pressi del comune di Masone, e che rischia nuovamente di allargarsi a macchia d’olio, con un ciclone giudiziario che potrebbe abbattersi sulla società concessionaria, già sotto inchiesta per il crollo del Ponte Morandi e per lo scandalo dei falsi report sulla sicurezza dei viadotti. Sotto la lente degli investigatori è finito il mancato adeguamento alla direttiva europea recepita dall’Italia nel 2006, i cui obiettivi dovevano essere raggiunti nell’aprile del 2019.Il primo censimento operato dalla Guardia di Finanza, i cui risultati sono emersi in queste ore, fotografa una situazione drammatica che accomuna tutti i concessionari. Il cedimento della galleria sembra avere innescato una reazione a catena, molto simile al canovaccio dei viadotti autostradali. La Procura di Genova, indagando sul crollo del Ponte Morandi, ha infatti scoperto che i rapporti sulla sicurezza del viadotto erano dei “copia-incolla”: i voti erano sistematicamente alternati e resi più morbidi. Lo sguardo dei magistrati si è poi allargato a un intero sistema improntato al risparmio dei costi di manutenzione: decine di altri viadotti entrano nelle indagini per il medesimo motivo.
Nel mirino è così finito un sistema che di fatto si controllava da solo: Autostrade affidava le verifiche, e secondo chi indaga le influenzava, a Spea, società di fatto subordinata. Il problema dei tunnel è che il sistema dei controlli e gli attori coinvolti sono gli stessi. La scala di valutazione dei rischi andava da 10 (valore che indica condizioni ottime) fino a 70 (voto che impone la chiusura del viadotto o della galleria e lavori immediati). La galleria Bertè, da cui si sono distaccate due tonnellate e mezzo di cemento, aveva ricevuto come voto 40, cioè un rischio di cedimento molto contenuto. I fatti hanno dimostrato poco dopo il contrario.
Un fallimento colossale, quello delle autostrade italiane. Figlio della voracità di privati che hanno gestito beni di interesse pubblico come fossero corpi da smembrare pezzo dopo pezzo, fino a esaurimento resti. E di una burocrazia che invece di aiutare è sempre ostacolo. Per rialzare la testa non basta recitare il mea culpa. Serve una politica nuova, diversa, una politica del fare che non passi per le grida di piazza ma dalla voglia di costruire un Paese migliore. Solo così potremo tornare a essere grandi davvero, non solo negli slogan dei sovranisti di turno.
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